Il genere letterario ucronico – dal greco ou-cronos, “nessun tempo” – propone scenari alternativi a una realtà ben nota, esplorando non soltanto i prevedibili sviluppi di un passato verosimile, ma anche le potenziali contingenze di un presente non troppo distante dall’attuale. Non a caso l’ucronìa sembra la risposta più concreta alle grandi domande che ci ossessionavano da bambini: cosa sarebbe successo se i dinosauri non fossero estinti? Cosa se Maometto si fosse convertito al cristianesimo? E cosa se la Germania Nazista avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale? – L’approfondimento, ricco di suggerimenti di lettura

Attraverso una descrizione probabilistica di ciò che sarebbe accaduto se i più noti avvenimenti storici si fossero verificati in maniera diversa da quanto in effetti successo, è sul canone stilistico del romanzo fantastico che il genere letterario ucronico – dal greco ou-cronos, “nessun tempo” – suggestivamente propone scenari alternativi a una realtà altrimenti ben nota in un ipotetico “altrove”, collocando non soltanto i prevedibili sviluppi di un passato verosimile (e se i dinosauri non fossero estinti?, interroga Arthur Conan Doyle ne Il mondo perduto), ma pur anche le potenziali contingenze di un presente non troppo distante dall’attuale (come sarebbe oggi il mondo se nel 1300 l’epidemia di peste nera avesse decimato il 99 per cento della popolazione europea?, si chiede Kim Stanley Robinson ne Gli anni del riso e del sale).

“Si potrebbe rilevare”, premette Tito Livio in un passaggio del suo Ab Urbe condita (27 a.C. – 14 d.C., primo esempio di allostoria relativo all’eventualità che l’esercito di Alessandro Magno si fosse diretto a est, sfidando così la potenza militare dell’antica Roma), “che sin dall’inizio di quest’opera non ho cercato di evitare niente con tanta attenzione quanto il discostarmi da una trattazione ordinata degli eventi (…) infarcendo questa ricerca (…) con amene digressioni”; un esercizio di immaginazione, dunque, ma non per questo meno attendibile: se romanzi storici “puri” come l’Ivanhoe di Walter Scott o I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni appaiano – eccezion fatta per alcuni personaggi ed episodi finzionali – più fedeli al contesto d’insieme rispetto a una qualsiasi riscrittura di fantasia, va comunque sottolineato come le rappresentazioni ucroniche “di livello” non si limitino a semplici dinamiche dalla stesura implausibile, ma bilancino invece la libertà poetica con una scrupolosa attenzione al dettaglio annalistico e bibliografico (in gergo tecnico, la minimal-rewrite rule).

Già, perché volendo intervenire sull’intreccio cronologico senza snaturare la dimensione del reale (nel trattare di ucronìa non ci si riferisce, se non in misura secondaria, a viaggi temporali o paradossi quantici, questi di particolare contaminazione fantascientifica come nella battaglia interstellare per le risorse ambientali raccontata in Limit di Frank Schätzing, traduzione di Romina Tappa e Rosa C. Stoppani, TEA) la sperimentazione alternativa si concentra piuttosto nella delimitazione del cosiddetto punto di divergenza – vale a dire quello specifico momento in cui l’invenzione letteraria prende le distanze dalla verità fattuale – osservandone le variabili biforcazioni in modo da programmare, in ragione di esse, il percorso autonomo dell’intera vicenda narrativa (come nei più famosi libri-game a bivio).

Il risultato, se ben congegnato, è un atipico effetto (farfalla) avente a oggetto gli interrogativi più disparati e inusuali: dall’ucronìa antica del primatista d’opera Harry Turtledove, Basil Argyros (cosa se Maometto si fosse convertito al cristianesimo e l’impero bizantino avesse giocato un ruolo decisivo nel mondo occidentale) a quella moderna del premio Pulitzer Michael Chabon, Il sindacato dei poliziotti Yiddish (cosa se si fosse perseguita la proposta di Roosevelt, e nel 1945 gli ebrei avessero scelto l’Alaska come loro patria), le prospettive della variante fenomenica interessano una moltitudine di questioni centrali nel progredire dell’esperienza collettiva, da osservare con spirito acritico per meglio apprezzare la particolare funzionalità esplorativa del genere.

romanzi ucronici Philip K. Dick

Nello specifico (e senza nulla a che riguardare con deliranti teorie del complotto o aberranti negazionismi), è di certo la seconda guerra mondiale l’argomento più dibattuto nel compendio delle sfasature ucroniche: se nel suo La svastica sul Sole (traduzione di Maurizio Nati per Fanucci, da cui la celebre serie televisiva The Man In the High Castle) il premio Hugo, Philip K. Dick, presuppone che la Germania nazista – qui vincitrice nel conflitto del 1945, come anche in Fatherland di Robert Harris – abbia esteso la sfera di influenza ariana sulla maggior parte del planisfero, spartendo il dominio sulle Americhe con la superpotenza giapponese.

In La parte dell’altro di Eric-Emmanuel Schmitt (traduzione di Alberto Bracci Testasecca, E/O) è il personaggio del Cancelliere nazista a incardinare il fulcro sdoppiato dell’ucronìa, venendo in costanza di romanzo raffigurato e come l’egolatra del Terzo Reich, Adolf Hitler, e come il giovane artista Adolf H., ammesso all’Accademia di Belle Arti di Vienna e di lì (sotto la lente del dottor Sigmund Freud) riabilitato a promettente pittore e sposo di un’ebrea americana a Parigi.

romanzi ucronici Susanna Clarke

Accanto a esso – e con frequenti interpolazioni futuristiche, distopiche e fantapolitiche; non a caso l’ucronìa sembra la risposta più concreta alle grandi domande che ci ossessionavano da bambini – altre tematiche care alla trattazione allostorica sono le epopee dell’antica Roma (su tutte Roma Aeterna di Robert Silverberg, il cui punto di divergenza ci accompagna verso un anno remoto – il 2723 D.C. – in cui un gruppo di cittadini ebrei utilizza una flotta di razzi spaziali per lasciare Alessandria e raggiungere la Terra promessa), le rielaborazioni medievali sulla falsariga del ciclo arturiano (si legga il testo per l’infanzia Un Americano alla Corte di Re Artù di Mark Twain, con il giovane Hank Morgan chiamato a disvelare le scoperte del XIX secolo di fronte all’attonita Tavola rotonda di Re Artù, fata Morgana e mago Merlino), quelle d’ambientazione imperiale nella numerosità di rivisitazioni delle guerre napoleoniche (fra cui spicca, per creatività e atmosfera gotica, Jonathan Strange e il Signor Norrell di Susanna Clarke, traduzione di Paola Merla, TEA, in cui la battaglia di Waterloo viene risolta – con esiti inaspettati – a colpi di bacchetta magica) e quelle più dinamiche relative a fatti notori dell’età contemporanea (si appunti la data del 22/11/’63, quando Stephen King per Pickwick, traduzione di Wu Ming 1, ipotizza cosa sarebbe avvenuto se il professore di inglese Jake Epping fosse riuscito a sventare l’omicidio del Presidente americano John Fitzgerald Kennedy).

Certo è che, di fronte a una tale vastità di argomenti, ben potrebbe lo scettico di natura relegare la visione ucronica a mero RisiKo! di strategia – il gioco da tavolo di prima edizione nel 1968 che, per tattica e redistribuzione di confini, molto somiglia a un canovaccio di fantastoria -; ma non limitiamoci a un superficiale pregiudizio: se, come sostiene Guido Morselli nel suo saggio Contro-passato prossimo (Adelphi), “il paradosso sta dalla parte dell’accaduto: dall’altra parte se ne sta, sconfitta, quella che chiamiamo (sebbene con ottimismo) logica delle cose”, è pur vero che a giovare del tentativo di fornire nuovi epiloghi a una storia già scritta sarebbe non soltanto la nostra esigenza di svago (innegabile il fermento per la prossima uscita della serie televisiva Marvel What If…, volta a indagare i destini dei più famosi supereroi se alcuni degli eventi focali raccontati sul grande schermo si fossero risolti diversamente) ma anche, e soprattutto, il nostro ruolo di protagonisti attivi nelle decisioni che, ogni giorno, scegliamo di intraprendere (sul punto e per profondità di contenuti si legga l’ucronìa ambientata nel XIX secolo, La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead, traduzione di Martina Testa, Sur, che immagina due schiavi del sud-est degli Stati Uniti in fuga dallo sfruttamento nelle piantagioni di cotone attraverso la leggendaria Underground Railroad).

D’altronde – come ci ricorda Frodo ne Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien – “Pensandoci bene, apparteniamo anche noi alla medesima storia, che continua attraverso i secoli! Non hanno dunque una fine i grandi racconti?”. “No, non terminano mai i racconti”. Meglio allora essere ben consapevoli dei cosa/se di volta in volta perseguiamo: perché, nel momento in cui la Storia non potrà essere più cambiata, una Storia che valga l’onore raccontare sarà, comunque, tutta un’altra Storia.

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