“Anche io per un periodo ho avuto successo. Un successo che è durato una meravigliosa stagione. All’inizio alle presentazioni c’era una grande folla, e poi sempre meno. L’interesse delle persone inizia a scemare, si affievolisce. Credo sia fisiologico. Nella mia vita reale non è stato drammatico, devo dire la verità, però ecco, mi intriga l’idea di durare poco, e l’ho voluta affrontare nel romanzo…”. In occasione dell’uscita di “Sembrava bellezza”, ilLibraio.it ha intervistato Teresa Ciabatti, con cui ha parlato di realtà, di immaginazione, di ossessioni, di premi letterari, e della nuova generazione di narratrici e narratori italiani: “Penso che sia necessario dar loro spazio… L’idea che un domani mia figlia possa leggere ‘Febbre’ o ‘Anestesia’ mi rende orgogliosa. È come se io affidassi la sua formazione alle loro parole”.

C’è una voce che parla e, proprio come se fosse una melodia conosciuta, bastano poche note per riconoscerla: è lei, la più amata. Magari adesso è più ruvida, più cupa – è cresciuta, invecchiata – ha qualcosa dentro che si aggroviglia e stringe lo stomaco, ma è impossibile non rintracciare lo stesso andamento: “Volevo ritrovarla, volevo che avesse quel piglio lì. Per me era molto importante tornare a quella voce sguaiata e spudorata che aveva caratterizzato La più amata”, dichiara Teresa Ciabatti (nella foto di Chiara Pasqualini/MIP, ndr) intervistata da ilLibraio.it.

Ora quella voce ha quarantasette anni e ha cambiato storia, approdando in un nuovo romanzo, Sembrava bellezza (Mondadori), e prendendo posto un po’ in disparte: “Non è più protagonista, ma testimone”.

Ecco lo sguardo di cui si serve l’autrice per raccontare una nuova vicenda, altri personaggi, altri avvenimenti. Al centro una scrittrice di successo o, meglio, una scrittrice di successo sul viale del tramonto. “Lei all’inizio non lo accetta, non si rende conto che tutto questo sta per finire. Lo nega perfino a se stessa. Ma era proprio questo che volevo mettere in scena, la caduta, il fallimento. In fondo sono sempre stata affascinata dalle cose che finiscono“, dice Ciabatti, e poi continua: “Anche io per un periodo ho avuto successo. Un successo che è durato una meravigliosa stagione“.

Arriva prontamente una smentita: è durato molto di più. “No, no, è vero. Parlo anche di dati concreti, reali. All’inizio alle presentazioni c’era una grande folla, e poi sempre meno. L’interesse delle persone inizia a scemare, si affievolisce. Credo sia fisiologico. Per chiunque, anche per i più grandi, ci sono periodi di discesa. Nella mia vita reale non è stato drammatico, devo dire la verità, anche perché ormai ho una certa età…”. Arriva di nuovo una smentita. “Però ecco, mi intriga l’idea di durare poco, e l’ho voluta affrontare nel romanzo”.

sembrava bellezza

Durare poco: come un’estate, un sogno, come la vita di una farfalla che splende al sole, per poi spegnersi il giorno dopo. Come un momento di gloria, come la giovinezza.

Sono questi i temi che si rincorrono nel romanzo, in un sovrapporsi continuo di presente e passato. Così come la fama della scrittrice protagonista, anche il periodo dell’adolescenza – quello che nel libro viene rimpianto e ricordato – ha un tempo di vita brevissimo. Un batter d’ali. “Nel romanzo, come nella vita, fatico a credere a qualcosa che possa durare per sempre“.

La giovinezza perduta ha il volto e il corpo di Livia, una Laura Palmer irresistibile ed enigmatica, che va incontro a un destino nefasto, lo stesso che tutte, negli anni Ottanta, temono e desiderano: essere come Emanuela Orlandi, in pericolo, ricercate, svanire nel nulla, rimanere un mito.

“Livia rappresenta le paure le fragilità di tutte le donne”. È una ragazza splendida, capelli biondi e occhi abbaglianti, oggetto di desiderio per gli uomini e d’invidia per le donne (l’invidia, lo stesso sentimento che dà il titolo al podcast uscito per Audible, “beh, alla fine le ossessioni di uno scrittore sono sempre quelle, no?”). Ma tutte le cose belle nascondono dietro un mistero, un’ombra. Più ti avvicini e più ti sembra di vederla. È appunto la consapevolezza che non saranno eterne, l’epifania di qualcosa che le distruggerà per sempre.

“Questo romanzo nasce in parte dal momento della vita che sto attraversando. Ho una figlia di dieci anni, che si avvia a sbocciare, mentre io mi trovo nella fase opposta. Forse per questo per la prima volta sono passata a un’altra narrazione, più matura, che affronta un’altra età, abbandonando invece l’adolescenza“.

Effettivamente molti dei libri di Ciabatti vedono come protagonisti giovani, si pensi al suo esordio, Adelmo, torna da me (Einaudi), oppure a Il mio paradiso è deserto (Rizzoli), se non proprio a La più amata (Mondadori), dove a narrare troviamo una bambina: “Sono passata dall’adolescenza direttamente alla vecchiaia, saltando completamente una fase intermedia. Sono fatta così, anticipo sempre i tempi“.

Parlando de La più amata, un testo che si presentava come una sorta di memoir, viene allora spontaneo chiedersi quanto ci sia della vita vera – quella dell’autrice Teresa Ciabatti – in questo nuovo libro, che sembra rientrare a tutti gli effetti nel genere dell’autofiction. A partire dalle prime parole introduttive che recitano: “I fatti e le persone di questa storia sono reali. Fasulla è l’età di mia figlia, il luogo di residenza, altro”.

Cosa si intende per “altro?”.
“Niente”.
Oppure tutto.
“Vorrei che questo romanzo gettasse anche una specie di luce su La più amata, un libro che io ho spacciato per autobiografia, ma in realtà era un misto. Credo che uno scrittore scriva sempre un misto di immaginazione e realtà. Inserire il proprio vissuto è imprescindibile, ma quel vissuto è sempre composto – non so dire in quanta percentuale – di fantasia”.

E quale delle due è più rilevante? “L’ho detto anche a Ilaria (si riferisce all’intervista di Ilaria Gaspari uscita su Sette nei giorni scorsi, ndr), nella mia vita ho vissuto poco da protagonista, per cui ho trascorso molto tempo a immaginare. Vivo con una confusione dei piani. Se ricordo i miei periodi del liceo, sicuramente ero ai margini, non ero al centro di niente, però al tempo stesso conoscevo tutti, sapevo tutto di tutti, vivevo le loro vite, le osservavo. Queste persone sono state la mia giovinezza, ma purtroppo io non sono stata la loro. Sono state persone su cui ho fantasticato tantissimo, ma che non si ricordano di me in nessun modo. Loro fanno parte della mia vita, sono la base della mia esistenza, io invece per loro non sono niente. Anche questa suggestione è interessante, perché mi fa effettivamente domandare: conta davvero quello che si è vissuto?“.

Impossibile non pensare a un articolo uscito anni fa sul Corriere, in cui Ciabatti raccontava la sua esperienza in cinquina al Premio Strega 2017, mescolando proiezioni ed eventi accaduti, desideri e realtà, dando vita a una narrazione in cui non si distingue – non è importante distinguere – quello che è stato: “L’immaginazione vale da esperienza e consuma anche l’esperienza. Questo è uno scudo per chi vive una vita marginale. Ti prepara alle cadute in modo eccellente. Così anche per lo Strega, mi ero immaginata così tante volte di ritirare il Premio che era come se fosse accaduto per davvero. Anche in quel caso è stata l’immaginazione a prepararmi alla sconfitta. È stata la mia difesa più grande”.

A proposito di premio Strega, si parla di una possibile candidatura all’edizione 2021… “Per ora non credo sia il caso di progettare nulla. In generale penso che sia fondamentale vedere la reazione dei lettori, il modo in cui accoglieranno il romanzo dopo l’uscita. Se piacerà bene, altrimenti pazienza. La carriera di uno scrittore è fatta anche di tanti tentativi falliti. Sicuramente per me è importante andare ai premi con un libro che possa parlare, che possa avere delle risposte, che possa lasciare una traccia. Bisogna partecipare con un libro che ha forza… anche perché, se non ha forza, perché togliere il posto a qualcuno? Esistono anche gli altri“.

Gli altri chi? “Abbiamo una nuova generazione di narratori e di narratrici incredibili. Parlo di firme come Jonathan Bazzi, Mattia Insolia, Fuani Marino, Josephine Yole Signorelli, Giulia Caminito. Sono persone che hanno fatto fare un passo avanti non solo alla letteratura, ma anche alla società, all’Italia. Stanno dando vita a una letteratura che è liberissima, meravigliosa, coraggiosa, che ringiovanisce anche noi che siamo più anziani. Perché ci sono cose che noi stiamo lì, a cercare di capire, mentre loro le hanno già capite semplicemente perché le hanno vissute. Sono oltre la discussione, sono sui fatti. Penso che sia necessario dare spazio a loro, perché veramente dicono cose importanti. L’idea che un domani mia figlia possa leggere Febbre Anestesia è una fortuna immensa, perché sono testi che io non ho avuto a disposizione da ragazza, e che hanno il potere di incidere sulla sua crescita e sulla sua conoscenza. Questo mi rende orgogliosa. È come se io affidassi la formazione di mia figlia a questi scrittori e a queste scrittrici. Mi sento sollevata, penso crescerà bene, capirà tanto con le loro parole”.

 

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