Sulla dicotomia delle scarpe con il tacco ragiona Summer Brennan in “Tacco alto”: un percorso a tappe costellato di frammenti di riflessioni, dal mito alla letteratura classica, alle fiabe, ai riferimenti pop (le “tacchettine” del “Diavolo veste Prada” fanno scuola), che parte dalla moda parigina e arriva fino al Messico, dove le scarpe rosse sono diventate simbolo di una strage….

In Sex and the city, l’ossessione di Carrie Bradshaw per le scarpe con il tacco alto di Manholo Blanhik è nota. A un certo punto ha bisogno di liquidità per comprare il proprio appartamento: le amiche si offrono di aiutarla, una le presta il ricavato della vendita del proprio anello di fidanzamento. Potrebbe vendere qualcuna delle sue preziosissime scarpe, ma ogni volta che rischia di venirne separata qualcuno arriva in soccorso della sua collezione, e quella che è la più vera e duratura relazione d’amore di Carrie, insieme a quella con la città di New York, può veleggiare verso porti sicuri.

Tacco alto

I tacchi sono uno status: in un contesto formale fanno donna in carriera. Sono uno strumento di affermazione che può rafforzare una persona nell’incarnare la propria identità. Sono un gioco, un travestimento, ma anche una tortura e il ricordo di una violenza.

Sulla dicotomia delle scarpe con il tacco ragiona la giornalista Summer Brennan in Tacco alto, uscito per 66thand2nd nella traduzione di Sara Marzullo come primo titolo della nuova collana Astratto/Concreto.

Un percorso a tappe costellato di frammenti di riflessioni, dal mito alla letteratura classica, alle fiabe, ai riferimenti pop (le “tacchettine” del Diavolo veste Prada fanno scuola), che parte dalla moda parigina e arriva fino al Messico, dove le scarpe rosse sono diventate simbolo di una strage.

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Quelle scarpe rosse le abbiamo viste, vuote, nelle piazze e nelle strade delle città anche in Europa: Zapatos Rojos è un’installazione dell’artista Elina Chauvet che richiama l’attenzione sui femminicidi che dagli anni Novanta sono stati perpetrati a Ciudad Juárez. Sono centinaia e centinaia le donne che sono state uccise in quella zona a partire dal 1993, nell’impunità di una cultura patriarcale che colpevolizza le vittime.

Il tacco alto fa parte di una determinata estetica, ma è anche considerato l’attenuante per la violenza: se indossa i tacchi, se l’è cercata, altrimenti avrebbe indossato scarpe con cui si poteva fuggire. Brennan ricostruisce un caso dove la persona che ha denunciato delle molestie ha dovuto studiare un abbigliamento ad hoc per andare dalla polizia, in modo da essere “sufficientemente sexy da poter sembrare una plausibile vittima di molestie che al 100% non se l’era andata a cercare”. C’è anche la storia di uno stupratore seriale, in Inghilterra, che collezionava le scarpe delle donne che aveva aggredito

Nelle fiabe, le scarpe sono legate a maledizioni e sofferenza, dalla Cenerentola originale, dove le sorellastre provano a tagliarsi i piedi per entrare nella minuscola scarpetta, a Scarpette rosse, dove una bambina che ha osato desiderarne un paio è costretta a ballare per sempre. A ogni espressione di volontà, a ogni desiderio, corrisponde per la donna una punizione.

Nella sua ricostruzione, che passa agilmente dall’attualità a considerazioni personali e a riferimenti letterari, Brennan risale fino alle Metamorfosi di Ovidio, e a Dafne che chiede solo una cosa mentre fugge dal dio Apollo: essere privata di questa bellezza che si è rivelata una prigione. Ed ecco che i suoi piedi (sì, proprio dai piedi comincia) si ancorano al terreno, diventano radici, e lei si trasforma in una pianta di alloro, le cui foglie saranno poi depredate per coronare nei secoli tante teste maschili (per lo più). 

Al centro quindi il tema della bellezza che richiede sacrifici, e allo stesso tempo è un’arma che si rivolta contro le sue stesse detentrici, e la difficoltà di scappare, ma anche solo di camminare – Brennan più volte fa riferimento anche al testo di Rebecca Solnit, Storia del camminare, dove si approfondisce il legame tra il gesto di camminare e la libertà di pensiero. I meccanismi del corpo che influiscono sulla mente e viceversa.

Mentre presenta le diverse sfaccettature della questione  e ricostruisce la storia dei tacchi, dalle zeppe che proteggevano i piedi dal sudiciume della strada, alla moda della corte di Luigi XIV, al tacco rosso di Maria Antonietta che pesta per sbaglio il piede del boia fino ai tacchi usati da Hillary Clinton in campagna elettorale, Brennan non cerca un punto di arrivo definitivo. Non può prevedere cosa succederà ai concetti di mascolinità e femminilità in futuro: sa che stanno cambiando, e l’augurio è che un giorno si trovi una via d’uscita da quello che lei chiama un “labirinto di cristallo” (contrapposto al famoso soffitto).

Non ha interesse nel demonizzare il tacco alto, e l’affetto che possiamo avere verso scarpe che magari amiamo per come ci fanno sentire (quando non si trasformano in tanti spilli conficcati nel tallone), non denuncia una vera e propria ossessione alla Carrie Bradshaw. La risposta a tutte le sue domande, se i tacchi siano femministi o meno, siano oppressivi o liberatori, per quanto contraddittoria, è sempre sì. Perché quello che dobbiamo fare non è risolvere un rompicapo: è continuare proprio a farci queste domande.

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