Con “Una santa del Texas” Edmund White, autore di recente onorificato con un National Book Award, racconta i percorsi di due “gran brave ragazze” americane degli anni Trenta, non solamente adoperandosi come acuto portavoce delle principali istanze della comunità LGBTIQA+ e identitarie in genere, ma abituando il lettore a relazionarsi consapevolmente con le questioni della sessualità raccontata – L’approfondimento

Nella narrazione tragicomica di una gemellarità similissima alle fattezze ma differente nelle ambizioni – “eravamo identiche (…) Ma dio solo sa quanto desiderassi non accompagnarla in quel sentiero solitario” – l’inedito di Edmund White, Una santa del Texas, traduzione di Martino Adani, Playground, magistralmente evidenzia i percorsi vocazionali di due “gran brave ragazze” americane degli anni Trenta, per antinomie di svolgimento destinate l’una, la molto brillante studentessa Yvette, a una santifica missione evangelica presso l’umile villaggio degli emberá-chamí, mentre l’altra, la capo majorette Yvonne, al sofisticato gratin – o accento alto – della più decadente aristocrazia francese.

È stranissimo che siamo gemelle, e che una di noi stia diventando suora e l’altra stia diventando una baronessa francese. È come se, scontente delle nostre vite passate, vuote e noiose, fossimo andate in due direzioni opposte…”; cresciute infatti nelle contraddizioni di una periferia tanto avara in apparenza (una fatiscente casetta in Elm Street, con vecchi refrigeratori al posto dei ventilatori a soffitto) quanto prodiga nell’interrato (un pozzo petrolifero celato nell’appezzamento di proprietà diverrà la fortuna di famiglia), l’autore ci descrive le due giovani alla stregua di continenti in tutto e per tutto opposti, ma comunque prospicienti il medesimo orientamento vocazionale: travalicare i confini del Texas e di lì, unite ma distanti, realizzare la propria, personale, visione di destino.

Una santa del Texas Edmund White

In tal senso, è nei continui parallelismi fra le storie – l’opera è immaginata nelle forme di un memoriale fittizio dell’aristocratica Yvonne, tramezzato però da un intenso scambio epistolare con la religiosa Yvette – che le situazioni delle Crawford si riflettono l’una sull’altra con simmetria a dir poco speculare, in cronologica successione rappresentando non soltanto quella fase adolescenziale che rendeva le signorine tanto vicine nella condivisione – “Nessun filarino?” (…) Non esci con nessun ragazzo?”/“Dio vuole qualcosa di diverso da me” -, ma pur anche quel maturo distacco che, ormai donne emancipate, non ne intacca ma ne approfondisce il reciproco senso di appartenenza (“noi siamo gemelle, il che mi permette di chiedermi come dev’essere la tua vita interiore”).

Non a caso, è proprio attraverso la più profonda confidenza delle protagoniste – le chiameremmo chiacchiere fra sorelle – che chi legge davvero apprezza le reali dimensioni dell’intento: se alle vicende di superficie è affidato l’esito più fattuale del racconto (mentre la perdizione della “sposa venduta” Yvonne si brutalizza nel matrimonio con l’approfittatore Duca Adhéaume De Courcy, la chiamata della “Sposa in Cristo” Yvette si magnifica con il martirio nella città di Jericó), è nelle intimità del sottotesto che le gemelle spalancano il romanzo a sconfinate note di lettura.

Come ad esempio quando – quasi la liberalità di un diario segreto – la mondana Yvonne ci dettaglia sulle sue “Histoires de cul, storie di sesso, comprese quelle omosessuali, osées e divertenti”, anche nell’esperienza fallimentare dei rapporti a tre, dello scambismo, così pure delle pratiche sadomaso; o ancora quando – sembra di ascoltare un accostato confessionale – la spirituale Yvette ci rende partecipi tanto di bagattelle veniali quanto dell’estasi mistica di Santa Caterina da Siena, si ossessiona per la leggenda del prepuzio di Cristo o, su tutte, ammette l’incesto paterno da lei subito sin dalla prima gioventù (che poi sembra la causa prima del misticismo della donna).

Edmund White

E sono forse queste le pagine in cui Una santa del Texas più riconosce la strutturata poetica dell’autore – “Scrivo di sesso. È un tema comico, non pornografico”, così in un’intervista rilasciata a Marco Bruna per La Lettura -: solitamente aduso al vero letterario della biografia (di Genet, Proust e Rimbaud) e dell’autobiografia (specie nella tetralogia parzialmente ispirata alla sua vita, di cui Un giovane americano, traduzione di Alessandro Bocchi, e La bella stanza è vuota, traduzione di Fabio Viola, entrambi per Playground), è nella sua produzione di romanzi (tra i quali ben rientra quest’ultimo) che il cantore americano, di recente onorificato con un National Book Award, approfondisce ulteriormente gli schemi tipici della sua personale narrativa – quasi a dire che, anche nella finzione, l’autore ci parla comunque di sé – non solamente adoperandosi quale acuto portavoce delle principali istanze della comunità LGBTIQA+ e identitarie in genere, ma abituando altresì chi legge a relazionarsi consapevolmente con le questioni della sessualità raccontata (dalla prostituzione minorile del sedicenne Elliott nello splendido Hotel de Dream, allo stigma della sieropositività in Il nostro caro ragazzo).

Nessuno stupore, dunque, se già nel 1995, parlando di autofiction gay, lo stesso autore paragonava l’artista alla figura di “un Santo che scrive della sua propria vita”: nella propensione agli estremi di Yvonne e Yvette altro non si cela, infatti, che la vocazione finale di Edmund White, ovvero quella di bilanciare, nella consapevolezza di una esistenza vissuta, regole e pregiudizi apparentemente insuperabili; perché in conclusione l’amore è unico, anche se doppi sono i volti della stessa medaglia: “Non dimenticarti che io e te siamo un po’ gay anche se le lesbiche non l’hanno mai capito. (…) Tu hai servito il Signore e i suoi santi. Io ho servito la moda e gli uomini (…) ma a conti fatti siamo sempre rimaste delle gran brave ragazze texane”.

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