“Stavamo imparando a essere più consapevoli della relatività delle varie forme di privilegio, del fatto che dipendono da un’intersezione di classe sociale, razza, genere e via dicendo”: nella raccolta di saggi brevi “Questa strana e incontenibile stagione”, Zadie Smith racconta alcune esperienze personali e le riflessioni che da queste sono scaturite, tornando, cicliclicamente, sulla questione del privilegio – L’approfondimento

Indizi, suggerimenti: questi sono i brevi saggi nella nuova raccolta di Zadie Smith, chiamata in inglese proprio Intimations.

“Saggi personali: piccoli per definizione, brevi per necessità”, li descrive lei stessa nella prefazione; densi, si potrebbe aggiungere, per gli spunti brillanti contenuti in così poche parole (una novantina di pagine, nella versione italiana, pubblicata da Sur nella traduzione di Martina Testa).

Smith ha prodotto questi saggi durante il primo momento di quarantena negli Stati Uniti, periodo che lei definisce “strana e incontenibile stagione di morte” – da cui deriva il titolo italiano, Questa strana e incontenibile stagione -.

zadie smith questa strana e incontenibile stagione

L’autrice di opere come Denti bianchi e Swing Time (Mondadori) non scrive per imporci la sua visione del mondo, o per raccontarci significati profondi che non abbiamo colto perché troppo presi dall’angoscia e dal dolore. Vuole parlare di sé, di alcune brevi esperienze della sua vita e delle riflessioni da lì scaturite. A fare la differenza è il fatto che operi da intermediaria, trasformando momenti apparentemente insignificanti in ispirazioni, o meglio in indizi, colmi di significati personali, che sta al lettore tramutare in collettivi.

Smith, che oltre a essere saggista è anche romanziera e scrittrice di racconti, si abbandona a momenti di scrittura poetica e carezzevole – difficile non fermarsi a rileggere più volte le pagine in cui destituisce qualsiasi atto artistico in favore della grandiosità dell’amore- ma ciò che racconta è spesso destabilizzante e fonte di disagio. Non c’è, in effetti, un vero e proprio fil rouge a legare questi saggi, ma le sue riflessioni, come in un flusso di coscienza, tornano ciclicamente sul tema del privilegio.

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Privilegio inteso come questione politica, sì, ma non ci troviamo di fronte a un pamphlet. La scrittrice lo dichiara subito con la citazione di Grace Paley in epigrafe: “Possiedo un lessico adeguato a scrivere biglietti e a tenere diari, ma del tutto inservibile a un’attività morale“.

Il privilegio, inoltre, non è uno solo, e affrontare quello altrui non è per tutti la stessa esperienza; Smith può descrivere la propria: “Stavamo imparando a essere più consapevoli della relatività delle varie forme di privilegio, del fatto che dipendono da un’intersezione di classe sociale, razza, genere e via dicendo”. Non ci sono accuse, recriminazioni, ma solo un riconoscimento dei vantaggi della propria posizione e dei privilegi istituzionalizzati, dilaganti, che si abbattono in modi diversi su chiunque non sia considerato capitale per la società, o a cui si impedisce deliberatamente di diventarlo.

Zadie Smith Getty Editorial 31-07-2020

Il fatto che l’autrice britannica tramite i suoi racconti metta se stessa per prima sotto giudizio, per poi ampliare in un secondo momento il suo sguardo verso gli altri, provoca due livelli di scomodità del lettore: il primo in cui si è in imbarazzo per le esperienze da lei raccontate (la più iconica è uno scambio di parole tra Smith e un’anziana vicina di casa; quando la vicina commenta che supereranno il momento difficile – l’epidemia – aiutandosi a vicenda, come una comunità, Smith annuisce sommessamente, perché sa di essere in partenza per passare la quarantena in un cottage in campagna) e un secondo in cui la sincerità di Smith convoglia nel lettore, che non può non ammettere che avrebbe fatto lo stesso potendo accedere ai suoi stessi mezzi.

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Ed è questo forse, lo spirito con cui leggere questa breve raccolta: la voglia di aprire gli occhi sulla sistematicità del privilegio che ci circonda, che non sempre siamo bravi a riconoscere quando spetta a noi subirlo, ancor meno quando siamo noi a detenerlo: “Il privilegio e la sofferenza hanno molto in comune. Entrambi si manifestano sotto forma di bolle: circondano completamente le persone e ne distolgono lo sguardo. Ma la bolla del privilegio è possibile penetrarla e perfino farla scoppiare: mentre la bolla della sofferenza è impermeabile”.

La prosa di Smith, lucida e onesta, ci offre l’ago: sta a noi imparare a usarlo.

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