Avete mai provato il “book hangover”? Cosa si intende per “shippers”? E per “page-à-vu”? Di cosa parliamo quando parliamo di “credibility bookcase”. Alla scoperta di acronimi ed espressioni proprie diffuse online tra gli appassionati di libri, in un vademecum linguistico che raccoglie curiosità, neologismi e nuove espressioni

I libri sono ottimi compagni: ispirano, consolano, distraggono e aiutano a scoprire nuovi mondi. Specialmente durante il lockdown, dati alla mano, come più volte abbiamo raccontato sono stati di supporto a una gran parte degli italiani, che hanno dovuto trovare nuovi modi per occupare il proprio tempo e far fronte alla solitudine: a questo proposito, secondo un sondaggio di Babbel, la app dedicata allo sviluppo delle conoscenze linguistiche, un italiano su tre si è dedicato alla lettura durante i mesi di confinamento.

In occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, che si celebra il 23 aprile, la stessa Babbel ha quindi stilato un vademecum linguistico raccogliendo curiosità, parole ed espressioni di tendenza legate al mondo della carta stampata.

In rete, com’è noto, esistono numerose community di appassionati di libri con tanto di acronimi ed espressioni proprie. Uno dei più comuni è CR, che sta per “currently reading“, utilizzato per segnalare ciò che si sta leggendo al momento. Ma quali sono le altre parole del gergo degli amanti della lettura?

Ecco il glossario realizzato da Babbel:

tsundoku: termine giapponese usato per descrivere una persona che acquista libri su libri, che magari non leggerà mai;

bookaholic: letteralmente “drogato/a di libri”, indica gli amanti della lettura. Si differenzia da un tsundoku in quanto un bookaholic si immerge subito nella lettura;

book therapy: significa utilizzare i libri per affrontare meglio un problema personale o per distogliere l’attenzione da esso. Esiste poi la biblioterapia, una vera e propria terapia psicologica attraverso la “prescrizione” di libri;

bibliosmia: la piacevole sensazione data dal profumo di un libro;

page-à-vu: sulla falsariga di déjà-vu, questa parola denota l’esperienza di leggere un libro mai letto prima, che risulta però molto familiare;

binge-reading: descrive l’atto di leggere molti capitoli, o un intero libro, di fila e senza interruzioni, perché troppo coinvolti dalla lettura;

book hangover: è quella sensazione di vuoto che si prova dopo aver terminato un libro molto coinvolgente, che spesso porta i lettori anche più avidi a non sentirsi pronti a iniziarne subito uno nuovo;

shippers: dal verbo “to ship” che significa tifare perché due personaggi di fantasia si uniscano romanticamente.

I “bookaholic“, a proposito, avranno sicuramente notato una nuova tendenza quest’anno. Qual è infatti l’accessorio lavorativo più presente degli ultimi tempi? La libreria! Ovvero lo sfondo preferito di molti per le videochiamate di lavoro o per gli aperitivi virtuali. C’è poi chi sceglie molto accuratamente l’inquadratura e lo scaffale da mostrare, mettendo bene in mostra determinati volumi – tra i più gettonati i saggi di filosofia, i grandi classici e i libri d’arte. Per questo è stato coniato il termine “credibility bookcase”, come se dai libri che si mostrano dipendesse la propria credibilità e autorevolezza.

Tuttavia, mostrare la propria libreria è un’usanza nata ben prima dell’inizio del lockdown, dello smart working e delle feste su Zoom. Da anni, infatti, i social media contano milioni di “shelfie” (dall’unione di “selfie” e “shelf”, “scaffale”), ovvero foto di uno scaffale della propria libreria o di una pila di libri – solo su Instagram l’hashtag #shelfie conta 2.5 milioni di post. Il mondo letterario si è quindi adattato alle piattaforme social e su Instagram è addirittura nata una community definita bookstagram, dove gli utenti postano immagini e video di luoghi accoglienti in cui rannicchiarsi con un buon libro, condividono estratti interessanti e consigli di lettura.

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