“Non usate i punti e virgola… L’unica cosa che fanno è mostrare che siete andati al liceo”: sapete quale scrittore lo ha lasciato scritto in un saggio? E ricordate chi, tra Tom Wolfe e F. Scott Fitzgerald, non amava il punto esclamativo? In questo articolo, alcuni dei più celebri (e più curiosi) casi di idiosincrasia nei confronti della punteggiatura da parte di grandi autori del passato…

Molti intellettuali e artisti del passato, nel corso della loro vita, hanno sviluppato una qualche idiosincrasia che è poi passata alla storia. Immanuel Kant (1724-1804), per esempio, odiava stare in casa nel primo pomeriggio e usciva a passeggiare alle tre e mezza in punto, mentre Ludwig van Beethoven (1770-1827) contava a ogni colazione 60 chicchi di caffè uno a uno.

Non fanno eccezione nemmeno scrittori e scrittrici, da Marcel Proust (1871-1922) che si alzava fra le tre e le sei del pomeriggio perché non amava le levatacce, a Honoré de Balzac (1799-1850) che, invece, per restare sveglio durante il giorno consumava oltre 50 tazzine di caffè.

E c’è stato perfino qualche autore che, non amando proprio tutti tutti i ferri del suo mestiere, ha evitato deliberatamente di ricorrere a degli specifici segni di punteggiatura, disprezzati per le ragioni più svariate e finiti per diventare i nemici numero uno della loro prosa: di seguito alcuni dei casi più celebri, alcuni dei quali raccontati da Emily Temple su Lithub.com in un articolo successivamente tradotto dalla rivista Eco del nulla.

1. Il punto e virgola

Forse non sono solo le grandi penne del passato a nutrire una certa avversione per il punto e virgola, ma senza dubbio anche fra di loro si possono annoverare un paio di modelli. Il primo è certamente Ernest Hemingway (1899-1961), che, come ha spiegato in modo sintetico ed efficace Ursula K. Le Guin (1929-2018), “sarebbe morto piuttosto che ricorrere alla sintassi. O ai punti e virgola“.

E il secondo, non con meno astio del collega, è stato in seguito Kurt Vonnegut (1922-2007), che in un saggio contenuto nel libro A Man Without a Country ha lasciato scritto: “Ecco un insegnamento sulla scrittura creativa. Non usate i punti e virgola… L’unica cosa che fanno è mostrare che siete andati al liceo“. A dir poco inequivocabile.

2. Il punto esclamativo

Il punto esclamativo, invece, nato grazie agli amanuensi dei monasteri medievali (e del quale abbiamo parlato più approfonditamente in questo articolo), da una parte era amato da Tom Wolfe (1930-2018), convinto del fatto che l’essere umano non pensasse in unità frasali, ma in modo emozionale, e pronto quindi a riprodurne l’enfasi nei suoi testi.

Dall’altra parte, tuttavia, si tratta di un segno di punteggiatura detestato da uno scrittore del calibro di F. Scott Fitzgerald (1896-1940), autore fra gli altri de Il grande Gatsby, il quale a sua volta ha lasciato un’ammonizione in merito: “Toglieteli, tutti quei punti esclamativi. Un punto esclamativo fa lo stesso effetto di quando si ride alle proprie battute“.

3. La virgola

Altra grande nemica di chi scrive per definizione, la virgola – tanto in italiano quanto in diverse altre lingue – non sempre è stata vista di buon occhio, o utilizzata con cognizione di causa. Toni Morrison (1931-2019), per citarne una, aveva l’abitudine di ascoltare le sue frasi ad alta voce e valutare di conseguenza se e dove andassero inserite eventuali virgole (sbagliando molto di rado, fra l’altro).

Ancora più refrattaria era invece Gertrude Stein (1874-1946): “Una virgola che ti aiuta a tenere il cappotto e a metterti le scarpe ti impedisce di vivere la tua vita attivamente come dovresti e lo ha fatto con me per molti anni e io mi sento ancora così nei suoi confronti e solo ora le sto prestando meno attenzione”. Una presa di posizione, la sua, in cui avrete notato che non per niente non appare neanche una virgola

4. Il punto

E chiudiamo in bellezza con il punto, perché, ebbene sì, c’è chi non ama neppure la fine di un periodo sintattico e aggira anche questo problema come può. Un maestro in merito è stato James Joyce (1882-1941), il quale specialmente nell’Ulisse ha ridotto al minimo il ricorso a questo segno grafico, per rendere quanto più realistici possibile i lunghi flussi di coscienza del suo testo.

Della sua stessa opinione, per quanto sia stato più moderato, si è rivelato poi lo statunitense Cormac McCarthy (1933), che tuttora sostiene di tollerare il punto solo quando deve proprio: “Credo nell’esistenza dei punti, delle maiuscole, delle virgole occasionali, e questo è quanto”, ha detto infatti, lasciando intendere fra le righe di non essere un credente molto praticante.

Libri consigliati

Abbiamo parlato di...