“Denti da latte” della premiata scrittrice bosniaca Lana Bastašić è una raccolta di racconti che parla senza retorica di bambini e adolescenti costretti a vivere in una realtà dura, indifferente e talvolta brutale: quella della società balcanica – Su ilLibraio.it proponiamo uno di questi testi, “Il dio del miele”…

Dodici storie di bambini costretti a crescere in una società in alcuni casi dura, brutale, patriarcale e sciovinista come quella balcanica. Lana Bastašić, nata nel 1986 a Zagabria ma cresciuta a Banja Luka (Bosnia ed Erzegovina), in Denti da latte (Nutrimenti) racconta il mondo dell’infanzia senza retoriche: i bambini di cui parla vivono in una realtà difficile, e hanno il compito ancora più complesso di liberarsi di un’eredità ingombrante per costruirsi un’identità e affrontare il loro futuro.

Denti da latte

L’autrice dà voce ai pensieri e alle paure dei suoi piccoli protagonisti, come la bimba che apre la finestra per far uscire Dio dalla propria stanza, o quella che ha paura della fata, dalle mani grandi e rudi, che compra i denti da latte. Sono bambini e adolescenti che devono affrontare il mondo sordo e indifferente degli adulti, tra fantasia, immaginazione e rassegnazione.

Bastašic, che nel 2021 ha vinto il Premio Latisana per il Nord Est, mette su carta l’imbarazzo di dover fare i conti con un corpo che si trasforma, e che spesso non corrisponde alle aspettative degli adulti, mostrando sullo sfondo un paese in cui vivere è spesso difficile. Un paese fatto di villaggi in cui l’opinione è anche una sentenza sommaria, e in cui la guerra incombe anche quando è finita

Lana Bastašić, che oggi vive a Belgrado, ha pubblicato due raccolte di racconti, un libro di storie per bambini e una raccolta di poesie. Con Afferra il coniglio (Nutrimenti 2020), suo primo romanzo, ha vinto l’European Union Prize for Literature 2020.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo uno dei racconti:

Il dio del miele

La madre uccide le formiche. Arrivano da tutte le parti: escono dalla credenza, s’infilano nelle fessure della finestra, dormono nei cassetti. La bambina le guarda mentre fa colazione. Le formiche sono briciole e una linea e poi ancora briciole. Sono rapide e spaventate. Hanno un’idea. Un’idea di qualcosa. Questo qualcosa dev’essere importante. Lei non vuole che le formiche muoiano. “Dobbiamo andare in cortile”, dice la madre, “dobbiamo trovare la loro casa”. Porta dei fondi di caffè in un sacchetto di plastica. Li raccoglie da molto tempo e con attenzione: sono le sue munizioni. La bambina guarda ogni mattina i genitori che bevono il caffè e sua madre che una volta terminato getta i fondi nel sacchetto. “È tutta colpa di quella strega”, dice la madre. “L’ho vista buttare del cibo in cortile”. Chiamano così la vicina. E la bambina pensa che nella casa di quella donna vivano milioni di insetti che la sera la coprono per dormire, si uniscono tutti in una grande coperta di formiche e proteggono la loro padrona. La madre raccoglie i fondi e dice: “Una strega, una strega”. Il padre beve il caffè e dice: “Sì, sì”. La bambina in generale guarda e ascolta. “Eri una bambina silenziosa”, le diranno quando sarà grande.

Osserva i fondi del caffè che cadono sul formicaio. “Le formiche si spostano verso il profumo”, le spiega la madre, “il caffè le confonde, così i piccoli muoiono perché non sanno come tornare”. Lo dice allegra, spargendo la neve nera sulla vita delle formiche. La bambina pensa ai figli, piccoli e spaventati, che si perdono tra i fili d’erba, che toccano inutilmente la corteccia degli alberi che non gli dice più niente, che cadono stanchi e affamati sul terreno secco. Allora muoiono e il vento li trasporta via.

Mentre la madre è altrove, la bambina prende il barattolo del miele e lo porta fuori, al formicaio. Se fa una strada di miele che porta dalla casa al formicaio, forse i piccoli riusciranno a sopravvivere. Il miele può vincere i fondi di caffè? Sì, se ce ne sarà a sufficienza, pensa la bambina. Perché le formiche erano lì già prima di loro. Le formiche non hanno gettato i fondi del caffè sulla sua casa. Lei le salverà. I figli perduti si risveglieranno inspirando il profumo del miele. Lo mangeranno, ritorneranno a casa. Lei sarà la loro dea. Non lo saprà nessuno, neanche le formiche. E questo le sta bene: una piccola buona azione di cui non si parla. Basta che non muoiano.

Poi scende la pioggia e inghiotte il miele in cortile. Inghiotte anche i formicai e allaga le tombe delle formiche. Il padre dice: “Questo è Dio che piange su noi peccatori”. La bambina tira fuori la lingua e beve le lacrime di Dio. Non sono salate come le sue. Dio e noi non abbiamo le stesse lacrime. Le sue sono fredde, dolci e polverose. Le sue lacrime uccidono le formiche, come i fondi del caffè. Se le lacrime di Dio entrano dalla finestra, rovinano il parquet e la madre e il padre litigano. A volte Dio è arrabbiato e si sentono i tuoni. La madre le racconta del grande diluvio nel quale la gente annegò e di un uomo che costruì per sé una barca e ci mise dentro gli animali. Questa storia spaventa la bambina. Pensa a tutti i bambini che sono annegati nel mare infinito, mentre sulla barca muggivano le vacche. Quanti bambini potevano trovare posto sulla barca invece di una vacca? La madre dice che il loro compito non è studiare la volontà divina, ma vivere liberi dal peccato. La bambina immagina il peccato come una specie di fango che ti macchia se non stai attento, ed è meglio indossare gli stivali di gomma quando Dio piange. I figli sulla barca avevano gli stivali? Gli è dispiaciuto per gli altri che sono affogati? E perché era importante salvare le zanzare e gli scarafaggi? La bambina odia le zanzare, è allergica alle loro punture. La sera la madre le mette la crema sulle punture rosse, bollenti, e pretende di sentire l’Ave Maria. La bambina recita rapidamente perché grattarsi non è permesso mentre si prega, la Madre di Dio si arrabbia. Benedetta sei tu tra le donne. Perché Noè ha salvato le zanzare? E benedetto è il frutto del seno tuo. Non lo pungevano di sicuro.

Chiede al padre perché Dio ha annegato dei bambini e il padre le risponde che tutti i bambini sono peccatori prima di essere battezzati perché sono nati da genitori peccatori. La bambina gli chiede delle formiche, del peccato materno. Il fango sulle mani della madre. Il padre sorride. “Sono soltanto formiche, tesoro”. Poi recita la preghiera della buonanotte assieme a lei e spegne la lampada, anche se lei ha chiesto di lasciarla accesa. “Presto andrai a scuola”, dice. “Non sei più una bimba piccola”. “Va bene”, dice lei. “Ma non chiudere del tutto la porta”. Alla bambina piace quel passaggio che crea un legame tra lei e i suoi genitori, anche quando dormono. Di notte guarda il soffitto e le luci della strada che ci giocano, passano sulle bambole e le icone, sugli occhi della Madre di Dio che nel buio è più terribile della vicina. Dove sono le formiche? Si fa il segno della croce e chiede a Dio delle loro minuscole anime, ma Dio tace. Dio tace sempre. La madre dice che lui è sempre lì, che guarda sempre. Questo spaventa la bambina, nel buio della stanza, pensa che Dio forse sta in quell’angolo accanto all’armadio oppure sotto al letto. Tace e si nasconde. Per questo prima di dormire gli promette sempre che farà la brava, che non ruberà, non ucciderà né commetterà adulterio, che lei crede sia una cosa da adulti. Poi immagina quel Dio silenzioso, nascosto, che nel buio evita di punirla. Forse porta su di sé le anime delle formiche, come un cappotto consunto. Forse è il Dio del miele.

A volte la bambina si sveglia nel cuore della notte dall’altra parte della casa. Di solito sta davanti alla porta d’ingresso, piccola, dentro la camicia da notte sottile, e tocca il legno verniciato. “Dove stavi andando, amore”, sente la madre. “Ritorniamo a letto”, dice il papà. Spesso si sveglia nell’ingresso e si accorge di avere una pelliccia sopra la camicia da notte. Una pesante pelliccia puzzolente di cincillà. “Si chiama sonnambulismo”, le dicono i suoi. “Succede quando dormi e vorresti andartene”. Chiudono a chiave la porta e lasciano le chiavi sulla mensola più alta dove la bambina non le può toccare. “Potresti farti male”, spiega la madre. “Potresti perderti”, aggiunge il padre. E Dio non dice niente, anche se vede tutto e potrebbe svegliarla in qualsiasi momento.

Ma, nonostante tutte le precauzioni, la bambina riesce a uscire in cortile dalla grande finestra della cucina. Non ricorda come ha fatto, dev’essere salita sulla sedia, poi sul freezer, deve aver aperto la finestra e saltato sull’erba. Si sveglia accanto al cancello. Avverte l’erba che la punge sotto i piedi nudi. C’è silenzio, si sente solo il vento nei cipressi e il cigolio della porta nella corrente. Improvvisamente fa freddo. Ha paura. Vede la vicina che si allaccia un grembiule da casa e corre nel suo cortile. “Bimba cara”, dice la vicina, solo questo: “Bimba cara”. Che aspetto terribile ha la vecchia: i capelli rossi abbandonati che luccicano al chiarore della luna, con un grembiule verde che si è slegato appena quel poco da lasciar intravedere del pizzo bianco. E il collo rugoso, pieno di pelle. “Chi l’ha mai vista truccarsi negli ultimi anni”, dice la mamma, “chi l’ha vista tingersi di rosso, chi l’ha vista portare così tanti anelli…”. E la bambina pensa: io l’ho vista, io!

La vicina si riconosce dall’odore raffermo di fiori. Le punte dei capelli rossi solleticano il viso della bambina. Capelli rossi tinti, alla sua età. L’accompagna alla porta d’ingresso e la riporta ai genitori dormienti. “Grazie, grazie! Lei ogni tanto lo fa… sa come sono i bambini… Grazie”, mentre nel petto della bambina restano le esclamazioni: Strega! Strega! Quella notte parla di nuovo con Dio. Non va bene che l’abbia lasciata uscire di casa. “Tu hai visto tutto e non hai fatto niente!”. Ma Dio tace di nuovo e la bambina è arrabbiata.

I genitori sistemano dei nuovi meccanismi sotto tutte le finestre in modo che sia impossibile aprirle senza le chiavi. Ora di notte è tutto chiuso. Sigillato. Neanche le formiche hanno un posto per entrare. Il piano della madre ha funzionato, si è sbarazzata di tutti gli insetti e la casa è di nuovo pulita e vuota, chiusa a tutta la vita che la potrebbe disturbare. Solo una formica viene nella sua cameretta e lei per un attimo è felice. Le formiche hanno certamente capito che lei non è loro nemica. Poi però la formica scompare per sempre. Fugge sotto al letto come Dio.

Le comprano delle tartarughe, perché la bambina parla continuamente delle formiche e dell’arca di Noè. Il padre era contrario a tenere in casa degli animali vivi. Le tartarughe però sono piccole, più piccole del palmo della bambina e quando le prende la solleticano con le loro unghiette minuscole mentre tentano di scappare. Hanno il loro acquario con due pietre e l’erba finta. La madre dice che bisogna dargli un nome. La bambina si domanda se gli animali sull’arca avevano un nome, come pure tutti gli altri che sono affogati, ma il papà le spiega che è una cosa diversa. “Questi sono i tuoi animali domestici”, dice. La bambina allora pensa che le sue tartarughe sono fortunate ad avere lei. Sono tre. Se le avesse avute Noè, ne avrebbe sicuramente gettata una in mare.

Ragiona a lungo sui nomi da dare. Inventa un nome e già il giorno dopo cambia idea. Alla fine, diventano Grande, Piccola e Terza, senza nome come pure le tartarughe del diluvio universale. La sera la bambina prega per papà, mamma, Grande, Piccola e Terza. Prega Dio di non mandare un nuovo diluvio perché non potrebbe mai sapere quale delle tre uccidere. Poi dice: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, guardando le sue tartarughe come rivolgendosi a loro. Finalmente qualcuno la ascolta mentre prega. E la bambina prega continuamente, le insegnano la mamma e il papà: una preghiera prima di pranzo, una prima della cena, una della buonanotte, Ave Maria, Padre Nostro, addirittura un accenno di Credo, che rende il papà terribilmente orgoglioso. Tutt’intorno alla bambina ci sono occhi, gli occhi piani disegnati dei santi che la guardano qualsiasi cosa lei faccia. A volte pensa che tutte quelle preghiere servano ai santi per non farli sentire soli. Ma con le tartarughe è diverso. Loro possono sentire davvero. La bambina sa che Grande, Piccola e Terza hanno orecchio perché reagiscono sempre alla musica che proviene dalla casa della vicina. Tirano fuori le testoline fino alla fine, come volessero fuggire dal guscio.

Un giorno fuggono veramente. La bambina si sveglia e sente la loro assenza ancora prima di guardare l’acquario. Salta dal letto e guarda sotto, là dove si nasconde Dio. Ma le tartarughe non ci sono. Né sotto al letto, né sotto al tavolo, né nell’armadio. Devono essere salite sulle pietre e da lì si sono ribaltate fuori dall’acquario. La porta era aperta perché la bambina ha paura di chiuderla la notte. È colpa sua. È tutta colpa sua. Corre fuori dalla stanza e le cerca per tutta la casa. Solleva tappeti, apre le ante degli armadi, analizza le scarpe all’ingresso e le chiama: “Grande! Piccola! Terza!”.

“Si faranno vive, prima o poi”, dicono i genitori. Trascorso qualche giorno non lo dicono più. Si faranno vive diventa Forse sono partite per un viaggio. La bambina si offende. Non è così piccola da credere che le tartarughe siano partite per un viaggio. Del resto, dove sarebbero andate? Là fuori è il caos: macchine, gatti… che cosa gli mancava nella sua stanza?

Prega tutte le notti. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Poi apre gli occhi e controlla se sono tornate. “Sei stato tu”, dice a Dio. Ha già cominciato a comportarsi come un insopportabile fratello minore che la passa sempre liscia con i genitori, qualsiasi stupidaggine faccia. “Sei stato tu a spaventarle”, dice piano e alla fine aggiunge: “Amen”.

La madre decora le uova per Pasqua. Raccoglie trifoglio, margherite e foglioline di ogni tipo. Fa bollire una buccia di cipolla in una grande pentola finché l’acqua non diventa marrone, poi ci versa dell’aceto e ci immerge dieci uova avvolte in una calza con le foglioline attaccate al guscio. Non nominano più le tartarughe. La bambina la prende come una grande perdita personale, la prova che non può prendersi cura di un animale, e ha paura che i genitori non le permetteranno mai più di avere un animale domestico. Tra le uova decorate passeggia una formica. Il grande dito della madre si abbatte come un fulmine e sul posto la priva della vita. “Beh, non c’è verso di liberarsi delle formiche, neanche se sei Dio”, si lamenta la mamma. “Sicuro che quella strega butta del cibo dalla finestra. Non mi stupirei se avesse formiche, scarafaggi e anche topi… Li farà venire anche qui”.

La bambina allora capisce: le tartarughe sono senz’altro andate dalla vicina. Dio l’ha visto ma, come sempre, non le ha dato il minimo aiuto. Forse è arrabbiato perché le ha perse. Forse non gli interessa per niente. Tra l’altro, se le tartarughe sono andate là, Lui non lo può sapere perché – come ha detto la mamma tante volte – in quella casa non c’è Dio.

Quel giorno non riesce a decidersi ad andare dalla vicina. Guarda la sua porta d’ingresso dal cortile. È incredibile come qualcuno possa vivere tanto vicino alla sua famiglia ed essere parte di un’altra vita, diversa dalla sua. La vicina è anche lei un’adulta. Ha una cucina dove prepara il pranzo. Lava i piatti, lava la biancheria, si lava i capelli rossi. Forse guarda qualcosa alla televisione. Ma non uccide le formiche. La bambina è convinta che tra la vicina e tutti gli insetti ci sia fiducia e rispetto reciproco. Le tartarughe sono là di sicuro.

Chiede ai genitori se il giorno dopo può portare qualche uovo alla vicina. Le sembra una buona scusa per andarci. La mamma scoppia a ridere. “La vicina non festeggia la Pasqua, tesoro”, dice come fosse ovvio. “In che senso non festeggia la Pasqua?”. “Così, semplicemente. Quelli come lei non pensano che Gesù sia Dio”, dice papà. “Loro hanno ucciso Gesù”.

La bambina non capisce. Non capisce chi sono loro. Non ha mai visto nessuno dalla vicina. Tra l’altro, non è chiaro come qualcuno possa non festeggiare la Pasqua. Pensava fosse obbligatorio per tutti.

Quella notte non riesce a prendere sonno. Non sa più neanche come pregare. Se le tartarughe sono dalla vicina, e là Dio non c’è, allora non ha senso chiedere a Lui dei consigli. Probabilmente le formiche sanno cosa sta succedendo: loro vanno in quella casa e vedono tutto. La bambina chiude gli occhi, poggia un palmo all’altro e prega le formiche per le sue tartarughe. Le formiche non le possono rispondere perché non parlano la sua lingua.

La mattina sul banco della cucina giacciono due tartarughe morte. La madre le ha posate su un pezzo di carta. “Ci dispiace, ma non volevamo mentirti, ora sei già grande”, dice il papà. La bambina guarda i loro corpi immobili riversi fuori dal guscio. Grande e Piccola. Non le vuole toccare. Ha paura dell’immobilità della morte. “E Terza?”, domanda. Non riesce a distogliere lo sguardo dai piccoli cadaveri. “Non l’abbiamo trovata”, risponde la mamma. “Queste erano vicino al formicaio, accanto alla recinzione. Mi dispiace, tesoro. Facciamo colazione adesso, è Pasqua, devi scegliere il tuo uovo”.

“Dobbiamo prima seppellirle”, dice la bambina. “Così vanno in paradiso”.

“Gli animali non vanno in paradiso”, dice il papà dolcemente. Questo la stupisce. Poi si arrabbia. Pensa che al padre piaccia dire sciocchezze; nonostante sia un papà, dovrebbe fare attenzione a ciò che dice.

“Come non vanno in paradiso? E dove vanno allora?”.

“Da nessuna parte, amore. Gli animali non hanno l’anima”.

Guarda di nuovo Grande e Piccola. Le zampette sembrano proprio lunghe ora che sono morte. La cosa peggiore sono gli occhi piccoli, ciechi e secchi. La bambina pensa all’oscurità. Solo l’oscurità. Nient’altro. L’oscurità per sempre. Comincia a piangere. Le sembra più giusto bruciare all’inferno piuttosto che essere inghiottite dal grande nulla. Piange per tutte le tartarughe morte. Per tutti gli animali che Noè ha salvato per niente.

I genitori le offrono vuote consolazioni finché non si calma. “Su”, dice la mamma, “asciugati il viso. Vestiti bene, è Pasqua”. Il padre legge una preghiera prima di colazione. La bambina rompe alcune uova decorate. È l’unica Pasqua che ricorderà.

Ricorderà le uova decorate, come stavano seduti, il vestito che indossava la mamma, la cravatta di papà. Ricorderà le tartarughe sul banco della cucina e il papà che le porta fuori sopra quella carta per gettarle da qualche parte. Non le hanno detto dove. Ma soprattutto ricorderà di essere entrata in casa della vicina.

Come ogni domenica dopo pranzo mamma e papà fanno un sonnellino. Lei attende pazientemente il momento: non piange più per le tartarughe, non fa domande. Fa la brava, lava i piatti con la mamma, li asciuga e rimette a posto. Guarda i genitori che gustano il dolce, siedono sul divano e accendono la televisione, respirano sempre più lentamente e chiudono gli occhi. La bambina avverte l’assenza della paura come fosse cresciuta durante la notte, tutto si è come rimpicciolito, anche le stanze, e il papà e la mamma. Esce di casa e attraversa il cortile. Sull’erba non ci sono formiche, fuori c’è silenzio, e il cancello della vicina si sente appena quando la bambina lo schiude. Profumo di tè, lana vecchia, polvere e libri. Entra nella casa senza Dio. Lui è rimasto là, nell’altro cortile, dove i cadaveri delle formiche ricoprono la terra arida.

La bambina ricorderà i quadri alle pareti, le piante – grandi e piccole – ovunque, alcune pendono dai secchielli e tendono le loro lunghe membra fino al pavimento. Ricorderà lei e la vicina mentre cercano Terza, nelle scatole piene di lana e di aghi per fare a maglia, sulle mensole con grossi libri dal dorso consumato, sotto tavoli e tavolini, dietro ai grandi vasi, addirittura dentro le scarpe. Ricorderà il set da tè con piccole roselline dipinte sulla porcellana e le maniglie arricciate come se la tazza avesse le orecchie. Ricorderà il disco che gira sul grammofono e la musica che esce poi dalla scatola. Ricorderà la musica e che non c’è televisione da nessuna parte, ma neanche formiche. Ricorderà le fotografie sulle pareti, i grandi gobelin ricchi di dettagli, e la tenda sdrucita in basso, proprio in fondo. Più di tutto ricorderà la storia dell’unico animale domestico che la vicina abbia mai avuto: un topolino. Si arrampicava tra i letti di metallo, sui corpi magri e piangenti, silenziosamente, spaventato, perché sapeva che sulla cima lo aspettava una bambina con qualche briciola di pane che aveva tenuto da parte per lui. La vicina le racconta altre storie ma la bambina è troppo piccola per capire fino in fondo.

Esce fuori all’aria secca della primavera. Sopra la sua testa un merlo chiacchiera con altri uccelli. A parte loro, tutto il resto tace. La bambina oltrepassa il cancello e ritorna nel cortile di casa sua. Apre attentamente la porta e passa accanto ai genitori che dormono ancora, uno sul divano e l’altra sulla poltrona, immobili. In televisione un uomo fa una torta.

Sale al piano, entra nella sua stanza e chiude la porta. Spalanca la finestra. Dio spunta da sotto il letto e senza una parola vola fuori. La bambina chiude la finestra e si stende a letto. Finalmente può dormire serena. Nessuno la guarda più.

(Continua in libreria…)

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Fotografia header: Lana Bastašić foto di Radmila Vankoska

Libri consigliati