La visibilità raggiunta dallo sport femminile negli ultimi anni ha dimostrato che non è più possibile raccontare le imprese di Federica Pellegrini, di Paola Egonu e di tutte le altre atlete senza liberare la narrazione dai canoni fissati in passato per celebrare lo sport maschile. Non si può infatti raccontare lo sport femminile prescindendo da una prospettiva femminista. I contributi raccolti in “Fondamentali”, firmati da cinque autrici impegnate da tempo a ragionare su temi di genere, allargano il campo della scrittura sportiva, scegliendo di concentrarsi sui temi alla base dello sport femminile e del suo spazio, i fondamentali, appunto, spesso trascurati dal discorso mainstream – Su ilLibraio.it un estratto dalla raccolta, firmato da Elena Marinelli

La visibilità raggiunta dallo sport femminile negli ultimi anni, in Italia e all’estero, ha dimostrato che non è più possibile raccontare le imprese di Federica Pellegrini, di Paola Egonu e di tutte le altre atlete senza liberare la narrazione dai canoni fissati in passato per celebrare lo sport maschile. Non si può raccontare lo sport femminile prescindendo da una prospettiva femminista. È la tesi alla base di Fondamentali (66thand2nd), antologia di racconti firmati da cinque autrici impegnate da tempo a ragionare su temi di genere, allargano il campo della scrittura sportiva, scegliendo di concentrarsi sui temi alla base dello sport femminile e del suo spazio, i fondamentali, appunto, spesso trascurati dal discorso mainstream: il ciclo mestruale e l’impatto che ha sulla performance; il dibattito sulle presunte frodi di genere emerso con il caso di Caster Semenya; il valore simbolico di oggetti e capi di abbigliamento, come la catsuit di Serena Williams; le traiettorie umane, oltre che agonistiche, della schermitrice kenyana Alexandra Ndolo e della cestista azzurra Cecilia Zandalasini.

A raccontarle sono Elena Marinelli (Il terzo incomodo, il suo romanzo d’esordio, è stato pubblicato nel 2015 da Baldini&Castoldi, mentre Steffi Graf. Passione e perfezione è uscito proprio per 66thand2nd; Marinelli scrive di tennis femminile sull’Ultimo Uomo e cura il podcast sul tennis Volée, oltre a scrivere di libri per ilLibraio.it), Olga Campofreda (vive a Londra, e ha pubblicato con NN Ragazze perbene), Tiziana Scalabrin (ha partecipato all’antologia Rivali edita Einaudi e co-conduce Quiet please, il podcast di tennis di Fenomeno) e Alessia Tuselli (post-doctoral researcher all’Università di Trento). La curatrice, Giorgia Bernardini, è autrice di Area piccola (Marsilio) e del saggio narrativo Velata (Capovolte).

Idee, carriere, battaglie legali che sono appunto fondamentali per cercare di comprendere in che direzione vada oggi lo sport praticato e raccontato dalle donne. E per raggiungere – sul campo, in pista e sulla pagina scritta – quell’equità di trattamento per cui le atlete si battono da anni.

Fondamentali di Giorgia Bernardini, Olga Campofreda, Elena Marinelli, Tiziana Scalabrin e Alessia Tuselli

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro, la prima parte del racconto firmato da Elena Marinelli:

ELENA MARINELLI – ICONE

MARTA
Con un calcio spinge la sediolina contro il muro. Lo spogliatoio, le grucce appese e sottili, gli armadietti, persino i calzettoni sudati e le sacche mezze aperte sul pavimento le sembrano rimpicciolite. Marta cammina su e giù con i tacchetti che cigolano sul pavimento, e il rumore sbatte contro le pareti, rimbalza sulle ante, riverbera nella testa come una palla impazzita che non riesce a trovare la rete. Sta soffocando dentro uno dei suoi posti preferiti, mentre Marco Aurélio Cunha dice in televisione che il calcio femminile può crescere, anche in Brasile, dove al pubblico non interessa nient’altro che la Seleção maschile.

Marta si accomoda su quella seggiolina a braccia conserte: le compagne stanno festeggiando la vittoria contro la Corea del Sud, mentre lei rimugina. Ha segnato il gol del 2-0 su calcio di rigore. È una di quelle cose da capitana che non hanno bisogno di spiegazioni: i calci di rigore sono un rito e dunque c’è chi ha il compito di amministrarlo sul dischetto.

È il 53’, non si è nemmeno aggiustata l’erba. Ha posato il pallone, come altre volte prima di allora, come fa sempre in allenamento, senza guardare dritto, concentrandosi sugli spalti ovattati e sul respiro. La pressione scende, deve scendere, man mano che la tensione sale: il calcio di rigore perfetto è un tiro sicuro e spietato.

Il 2-0 ha consegnato la vittoria al Brasile nella gara d’esordio del Gruppo E: la Coppa del Mondo è la competizione in cui si dovrebbe celebrare ogni partita, ogni gol, ogni risultato come se fosse il solo che conta per una nazione e una cultura riunite, per un movimento intero. In tv, Fernando Ferreira, a capo di Pluri, l’associazione dedicata allo sviluppo dello sport in Brasile, commenta il paradosso che il Brasile femminile vinca e venga celebrato in tutto il mondo come un fatto normale tranne che in casa: «È un circolo vizioso. Non c’è interesse da parte dei fan, quindi non c’è interesse da parte delle tv; quindi non c’è interesse da parte degli sponsor. È difficile dire cosa venga prima. Forse i fan arrivano prima, perché il calcio maschile ha il monopolio dei sostenitori».

Marco Aurélio Cunha, invece, ha fiducia nel calcio femminile: durante il servizio la sua voce al telefono, doppiata in inglese per il pubblico canadese, è accorata e raggiante. Parla come presidente della Confederazione di calcio brasiliana: la squadra femminile ha vinto, ci sono ottime possibilità che arrivi alla fase a eliminazione diretta, persino alla finale, e che porti la Coppa del Mondo in Brasile, perché le giocatrici sono cresciute, sono talentuose, ma soprattutto sono finalmente femmine: «Ora le donne sono più belle, si truccano. Scendono in campo in modo elegante. Le calciatrici erano solite copiare i calciatori. Persino le maglie da gara erano più mascoline. Vestivamo le ragazze come i ragazzi. Quindi la squadra mancava di eleganza, di femminilità. Ora i calzoncini sono più corti, i capelli sono più curati. Non è più una donna vestita come un uomo».

A causa di un decreto presidenziale firmato da Getúlio Vargas nel 1941, il calcio femminile in Brasile è proibito fino al 1979; Marta Vieira da Silva, detta Marta, nasce nel 1986 e cresce sportivamente parlando in un vuoto di professionalità, di strutture e di programmi adeguati allo sviluppo del movimento: la nazionale brasiliana di calcio femminile non ha mai vinto una Coppa del Mondo e il risultato più rilevante è nel 2007, con un secondo posto, la finale persa contro la Germania e Marta miglior marcatrice della competizione.

Il 2-0 di Marta contro la Corea del Sud in Canada nel 2015 è il suo gol numero quindici in Coppa del Mondo, e concorrerà a costruire il record per il più alto numero di reti segnate da un calciatore o una calciatrice ai Mondiali; e mentre in tv nessuno descrive il suo rigore perfetto e nelle strade del Brasile nessuno sfoggia la sua maglietta, nello spogliatoio alla fine delle gare Marta si toglie la divisa più arrabbiata che mai: quale ragazzina vorrà mai diventare un giorno come lei? C’è bisogno di andare a prendersi un riconoscimento, conquistarlo sul campo non è abbastanza, perché quando nessuno racconta ciò che accade, quel fatto semplicemente non esiste.

(continua in libreria…)

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