“La famiglia” della scrittrice spagnola Sara Mesa racconta una storia di ordinaria oppressione, e della ricerca spasmodica di uno spazio di libertà, da parte dei membri. Un’opera commovente e ironica allo stesso tempo, in cui la famiglia è un gorgo pronto a inghiottire chiunque non abbia la forza d’animo di opporsi…

La famiglia è il sistema di relazioni in cui riponiamo spesso la speranza di essere capiti, di essere compresi per chi siamo veramente, accettati, amati. Il problema è che a volte non è affatto così. Non è il legame di sangue, non è l’aver passato molto tempo insieme, non è l’aver condiviso affetti, fine settimana, pasti, a creare l’ascolto incondizionato.

Forse, poi, in fin dei conti, non è nemmeno un problema, ma solo un grande malinteso.

Copertina La famiglia di Sara Mesa

La famiglia di Sara Mesa (La Nuova Frontiera, traduzione di Elisa Tramontin, illustrazione di Giuseppe Conti) è basata su un malinteso originale: l’incontro tra due esseri umani che non si capiscono e che non si capiranno mai, pur attraversando insieme tutta la vita, fino alla fine dei loro giorni.

Sono una coppia normale, e poi saranno una famiglia normale, all’apparenza. Come tutti, però, sono normali solo da fuori, poi presi nel quotidiano e analizzati, sono creature assurde, piene di nevrosi, certezze e ipocrisie.

Sara Mesa studia tutti loro con attenzione, senza giudizio, spogliandoli e mostrandoceli in tutta la loro minuscola presunzione.

Damián, un “uomo onesto – un uomo probo -“, è guidato da ferree (e condivisibili) convinzioni. La non-violenza, la giustizia sociale, il rifiuto del consumismo, che applica però con una rigidità che sconfina nella psicosi; sua moglie è una donna depressa, che ha rinunciato a molto di sé in cambio di quella sicurezza che sperava di ottenere sposando Damián.

Hanno quattro figli: tre naturali, Damián, Rosa, Aquilino, e una adottiva, Martina, e ognuno di loro se la cava come può, raschiando un poco di approvazione, amore, soddisfazione, da quell’atmosfera soffocante, guardati a vista da un grande manifesto di Mahatma Ghandi in cucina.

La famiglia è un gorgo pronto a inghiottire chiunque non abbia la forza d’animo di opporsi.

Sara Mesa foto di Sonia Fraga

Sara Mesa nella foto di Sonia Fraga

Un romanzo di racconti, quello di Sara Mesa, che restituisce una storia corale, un puzzle i cui pezzi viaggiano nel tempo – ma non nello spazio, perché dalla famiglia è difficile scappare.

Un affresco che racconta una comune famiglia madrilena i cui rapporti, spesso confusi per chi li vive e per chi li osserva da fuori, sono ulteriormente complicati dalla grande rigidità, da una naturale riservatezza, coltivata fino a diventare ritrosia.

Il lavoro di Mesa è un vero e proprio character study: per ognuno dei personaggi isola avvenimenti apparentemente minuscoli, che invece sono il fondamento della loro personalità, il momento in cui si sono dimostrati per quelli che erano per davvero.

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La famiglia dimostra il grande talento di Sara Mesa, un’autrice spagnola già molto amata e premiata – il suo romanzo, Un amore (La nuova Frontiera, traduzione di Elisa Tramontin) è stato anche finalista nella cinquina del Premio Strega Europeo.

Le atmosfere che riesce a evocare con solo pochi tratti, senza sbavature, sono tanto intime quanto violente. Il malinteso su cui si fondano è che la casa, la famiglia, sia il luogo più sicuro in cui stare.

“Il progetto”, come lo chiama Damián padre, è la famiglia. In una sorta di cortocircuito concettuale, la famiglia è il progetto più importante della vita della famiglia.

Quello che emerge è una storia drammatica e asfissiante che, come devono essere i drammi, è divertente e patetica, commovente e ironica. Così vera, così luminosa quando si sofferma su delle piccole epifanie e momenti di svolta. Ogni personaggio merita un abbraccio, una tenerezza, perché ognuno di loro ne avrebbe davvero un gran bisogno.

In un periodo storico in cui le saghe familiari sono tenute in grande conto, Sara Mesa dipinge una relazione fragile e piena di contraddizioni, una relazione che non sostiene, non abbraccia, non appoggia e che forse è molto più simile – nella sua eccezionalità – alle vite degli esseri umani, incerte, a volte inconcludenti, con pochi lieti finali, ma fatta di tanti preziosissimi istanti.

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