Vincenzo Latronico, autore e traduttore, torna al romanzo con “Le perfezioni”, una storia generazionale amara, di sogni e disillusioni, ambientata a Berlino, città in cui vive. I protagonisti sono due giovani creativi digitali. La loro insoddisfazione cresce, mentre il lavoro diventa ripetitivo e gli amici tornano in patria e fanno figli – Su ilLibraio.it un capitolo

In questa vita, in primavera e in estate, si beve il caffè sul balcone approfittando del sole da est, scorrendo i titoli del New York Times e gli aggiornamenti dei social sullo schermo di un tablet. Si annaffiano le piante, come parte di una routine che comprende lo yoga e una prima colazione arricchita da vari tipi di semi. Si lavora dal laptop, certo, ma col ritmo di un pittore più che di un impiegato: a uno scatto di concentrazione intensa alla scrivania si intervalla una passeggiata, una videochiamata con un amico che propone un progetto, uno scambio di battute sui social, un salto al mercato biologico dietro casa. Le giornate sono lunghe, le ore lavorate, alla fine, sono probabilmente più di quelle di un impiegato. Però al contrario di quest’ultimo le ore non si contano, perché in questa vita il lavoro svolge un ruolo importante senza essere un’oppressione o una perdita di libertà. Al contrario: il lavoro è una fonte di crescita e stimolo creativo, il ritmo di fondo per la melodia del piacere…

Vincenzo Latronico, autore e traduttore nato a Roma nel 1984, torna al romanzo con Le perfezioni (Bompiani), una storia amara, di sogni e disillusioni, una parabola su come l’onnipresenza delle immagini sui social media ha cambiato il modo in cui pensiamo le nostre vite e sulla ricerca di un’autenticità sempre più fragile e rara.

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Anna e Tom, giovani creativi digitali, si trasferiscono insieme a Berlino perché nella città d’origine sentono mancare “la libertà di essere se stessi, cioè di inventarsi, cioè di essere diversi da se stessi”. La vita che sognano è quella che un’intera generazione vive e racconta, anzi, illustra attraverso le immagini in rete, i profili, le stories: un appartamento luminoso e pieno di piante, la passione per il cibo, la politica progressista, una coppia aperta alla sperimentazione sessuale, alle serate che finiscono la mattina tardi.

Latronico, che vive a Berlino, narra la vita di tanti coetanei nella capitale tedesca, ma anche quella di Brooklyn, Roma, Stoccolma, Milano…

Anna e Tom sono complici, sono affiatati, sono felici finché la loro vita corrisponde all’immagine che sognano. Ma fuori dai margini dell’immagine cresce un’insoddisfazione sorda. Il lavoro diventa ripetitivo. Gli amici tornano in patria, fanno figli, crescono. Il tentativo di impegno politico si spegne in uno slancio generico. E in quella vita così simile a un’immagine – ben arredata ma piatta, limitata, priva di battaglie da combattere e cause da sposare – Anna e Tom si sentono sempre più in trappola. Devono trovare un altrove più accogliente e più autentico: ma esiste?

Le perfezioni di Vincenzo Latronico

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Anna e Tom erano dei creativi. Il termine sembrava vago e urticante anche a loro. I loro titoli professionali variavano ma anche in patria sarebbero stati in inglese – web developer, graphic designer, online brand stra- tegist. Quello che creavano erano differenze.

Non avevano mai scelto esplicitamente di fare quel lavoro. Si era cristallizzato dalle loro passioni più o meno nello stesso periodo in cui la rete, da passione della loro adolescenza, si cristallizzava in un’industria avviata a fagocitare tutte le altre. Avevano cominciato ad ascoltare musica quando la pirateria incoraggiava la diffusione dei protocolli peer-to-peer; nei pomeriggi infiniti delle superiori alternavano lo studio di storia o matematica e di Photoshop o Flash, zigzagando alla cieca fra i bug per abbellirsi la pagina GeoCities. Passavano ore a crearsi siti personali e profili che riflettessero i loro gusti e desideri, liste di ciò che li rendeva speciali.

Non era un desiderio indotto. Era come sorto da sé dal contesto in cui erano cresciuti.

La rete era caotica e sorprendente, un luogo di scarsità favoleggiate. I social network non esistevano ancora, i motori di ricerca impiegavano gente che inserisse a mano i siti negli indici: una pagina interessante, un archivio di trucchetti o di musica pre-Napster era una scoperta preziosa, un segno di raffinatezza ed esperienza. Ci riempivano paginate intere, le abbellivano con sprite e gif animate, aggiornavano costantemente i collegamenti alle ultime novità, inserivano i nuovi modelli di contatori e animavano in javascript l’espansione dei menu. Non appena un accorgimento grafico li colpiva, scaricavano il codice e ne innestavano un surrogato nel loro sito.

Internet era entrata nell’età adulta nel momento esatto in cui lo avevano fatto loro. E come l’adolescenza quell’epoca della rete si era conclusa senza uno stacco netto, con un irrigidimento graduale la cui inevitabilità era apparsa solo retrospettivamente. Doveva esserci stato un punto in cui le competenze di Dreamweaver avevano smesso di essere un passatempo ed erano divenute una qualifica professionale, proprio come doveva esserci stata una prima volta in cui si erano registrati a un sito con nome e cognome anziché con pseudonimi americaneggianti. Avevano aperto una posizione previdenziale nello stesso anno in cui – dopo l’attesa disperante imposta agli europei – avevano aperto un profilo su Facebook.

Da quando Anna e Tom avevano cominciato a usare un computer c’era sempre qualcuno che chiedeva un favore – un drive da formattare, la homepage del giornalino scolastico, il sito della gioielleria di un’amica dei genitori, il wiki del gruppo di studio. Gradualmente i favori erano diventati lavoretti – l’e-commerce dello zio, i biglietti da visita, le locandine i banner i menu; gradualmente una costellazione di lavoretti aveva composto un lavoro.

Era un lavoro richiesto. Anna e Tom erano cresciuti in un orizzonte di idee in cui l’individualità si manifestava attraverso uno schema di differenze visive, immediatamente decodificabili e in perenne rinnovamento. Erano arrivati attrezzati al momento in cui quel desiderio di esprimere ciò che ci rende speciali si era esteso dai profili dei ragazzini ai marchi, alle aziende, ai negozi e ai professionisti del mondo intero. Tutti volevano una pagina, un logo, una veste grafica. Tutti volevano un po’ di bellezza, intesa come una posizione unica in un sistema di differenze. Anna e Tom capivano questo bisogno in modo istintivo.

In qualche misura era anche per questo che si erano trasferiti a Berlino. Dopo gli studi e gli inizi di carriera, la vita in una città grande ma periferica nel sud dell’Europa cominciava ad apparire monotona, piatta. Sembrava correre su un binario prestabilito: gli stessi quartieri, le stesse destinazioni di vacanza, le stesse frequentazioni degli anni di scuola. La scena musicale, l’estetica dei locali e dei bar, ma anche solo il gusto dei loro clienti aveva qualcosa di provinciale e stantio. I circoli ristretti incoraggiavano il pettegolezzo; il conformismo creava un sistema di aspettative da cui si sentivano oppressi. Fra quelle persone tutte identiche, tutte contente di restare nei giri di amici del liceo, Anna e Tom si sentivano mancare la libertà di essere se stessi, cioè di inventarsi, cioè di essere diversi da se stessi.

Published by arrangement with The Italian Literary Agency

(continua in libreria…)

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