Pubblicato nel 1967, “L’uomo che gridò io sono” di John A. Williams ancora oggi è un romanzo potente e attuale: Max Reddick, alter ego dell’autore, scopre dei documenti segreti che parlano di un piano per eliminare la minoranza nera in caso di disordini… Ma quanto di ciò che Max scopre è reale? E quanto di ciò che Williams scrive è frutto della sua fantasia?
L’uomo che gridò io sono (Elliot, traduzione di Massimo Ferraris) di John A. Williams (1925 – 2015) è un romanzo che al suo interno contiene tutto. Parla di razzismo, di guerra, di amore, di morte, ancora di razzismo e di molta letteratura.
Si muove lungo due linee temporali, un passato (gli anni ’40) e un presente (gli anni ’60) che sono estremamente intrecciati. Parallelamente, la storia si muove tra gli Stati Uniti e l’Europa.
Il protagonista è Max Reddick, giornalista, scrittore e alter ego dell’autore: Reddick, come Williams, ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale, ha scritto su diversi giornali di politica e cronaca ed è stato al centro della scena culturale nera americana.
Ma L’uomo che gridò io sono non è una biografia con qualche elemento inventato, nemmeno per sogno. Questo è un romanzo di denuncia che assorbe le caratteristiche di molti generi e stili letterari. Per utilizzare la parole della saggista e critica letteraria Merve Emre, che introducono la storia, questo è “un romanzo realista e sociale, un romanzo d’amore, un lavoro di reportage appena mascherato…”.
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Un’opera che certamente prende tutta l’esperienza vissuta ma che poi la trasforma in una narrazione nella quale realtà e finzione non sono più distinguibili.
Così accade anche al protagonista: vittima di una paranoia secondo la quale tutti sono razzisti, Max scopre dei documenti segreti del governo americano, parlano di un piano, chiamato King Alfred, per eliminare la minoranza nera in caso di disordini. Ma quanto di quello che Max scopre è reale? Quanto di quello che Williams scrive è frutto della fantasia di un romanziere?
Pubblicato nel 1967, L’uomo che gridò io sono è un libro estremamente potente: il tema del razzismo (declinato in più forme e in diversi contesti sociali) domina la storia. E si pone in una sorta di continuità con le opere di scrittori e scrittrici contemporanee a Williams come Paura e Ragazzo Negro di Richard Wright.
Quello stesso Wright che è un personaggio del romanzo di nome Harry Ames e che esprime il dramma di essere uno scrittore nero negli Stati Uniti: “Quel dannato governo non mi lascia in pace, te lo dico, Max, un uomo con carta e penna è pericoloso, ma se in più è nero… è cento volte peggio”.
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Sono molti i riferimenti a figure realmente esistite: intellettuali francesi come Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Albert Camus (e non è un caso visto che questo romanzo ha una radice esistenzialista, come affermato nell’introduzione), ma anche scrittori e pensatori americani, tra cui James Baldwin, Malcolm X, Ernest Hemingway (“l’uomo della corrida”) e William Faulkner (“il maestro della letteratura del Sud”).
Williams continua a muoversi nel tempo e nello spazio, il narratore segue principalmente Max ma non è strano ritrovarsi in capitoli dedicati interamente ad altri personaggi (sempre legati a Reddick), creando un senso di spaesamento in chi legge.
Una sensazione trasmessa dallo stesso Max, sofferente a causa del cancro e intontito per il mix di morfina e alcol. Ma proprio sapere della fine imminente lo rende determinato a proseguire, recuperando legami dal passato – come quello con l’ex moglie -, verso un futuro che lo spaventa.
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La portata del romanzo si può cogliere anche da ciò che circonda la dimensione più letteraria: in attesa della pubblicazione, nell’estate del ’67 John Williams pagò di tasca sua per stampare i documenti del piano King Alfred e inviarli a diversi librai come allegati al romanzo, altre copie vennero invece lasciate nella metropolitana, nelle redazioni dei giornali e nelle sedi di partito. Tutto questo era parte di un’idea di marketing ma soprattutto si basava sul concetto che il Piano potesse essere reale.
L’effetto fu tale da rendere in poco tempo L’uomo che gridò io sono un bestseller, e il piano King Alfred concreto per molte persone, tanto da portare a delle indagini governative.
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Ancora una volta emerge la dimensione di una fantasia estremamente realistica: se da un lato, è comprovato che la CIA sorvegliasse e seguisse gli intellettuali neri all’estero, dall’altro il King Alfred è l’estremizzazione di una sensazione di controllo e pericolo che ancora oggi prova parte della comunità nera.
L’uomo che gridò io sono trasmette, soprattutto nella seconda parte, le atmosfere del romanzo di spionaggio, ma forse una definizione più corretta sarebbe romanzo di spiati…
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