“Nessuno scrive al Federale”, il nuovo romanzo di Andrea Vitali, ci porta negli anni del fascismo. Torna uno dei personaggi più amati nato dalla fantasia dello scrittore di Bellano, il maresciallo Ernesto Maccadò – Su ilLibraio.it un estratto

Le rive del lago di Como sono punteggiate da paesi dove non succede granché. Tranne a Bellano, come sanno bene i lettori di Andrea Vitali, che torna in libreria per Garzanti con uno dei suoi personaggi più amati: il maresciallo Ernesto Maccadò. Esce infatti Nessuno scrive al Federale, che ci porta negli anni del fascismo.

La trama? Nell’ultimo anno e mezzo il Federale del fascio ha dovuto sostituire già due segretari della sezione locale del partito. Il primo a saltare è stato Bortolo Piazzacampo, detto Tartina, per una vicenda legata alle bizzarrie di un toro. Il secondo è stato Aurelio Trovatore, che ha deciso di accasarsi in quel di Castellanza preferendo l’amore alla patria. Ora ha nominato Caio Scafandro, un pezzo d’uomo che usa le mani larghe come badili per far intendere le proprie ragioni. Avrà la forza d’animo, visto che quella fisica non difetta, per mantenere l’incarico? Perché nel passato dello Scafandro qualche fantasma c’è. E più di uno lo sa.

Basterebbe una parolina sussurrata all’orecchio del Federale e anche il terzo segretario del fascio farebbe la fine dei precedenti. Per questo, lo Scafandro ha preso le sue contromisure senza preoccuparsi di sconfinare nell’illegalità. E lì appunto si trova il maresciallo Ernesto Maccadò. Fresco padre di Rocco, la mattina del 20 novembre 1929 il maresciallo scampa per un pelo a una disgrazia: un oggetto metallico scaraventato giù in contrada da un potenziale assassino. Chi sarà mai quel deficiente?

Vitali, classe 1956, medico di professione, ha esordito nel 1989 con il romanzo Il procuratore, che si è aggiudicato l’anno seguente il premio Montblanc per il romanzo giovane. Nel 1996 ha vinto il premio letterario Piero Chiara con L’ombra di Marinetti. Approdato alla Garzanti nel 2003 con Una finestra vistalago (premio Grinzane Cavour 2004, sezione narrativa, e premio Bruno Gioffrè 2004), ha continuato a riscuotere ampio consenso di pubblico e di critica con i romanzi che si sono succeduti, costantemente presenti nelle classifiche dei libri più venduti, ottenendo, tra gli altri, il premio Bancarella nel 2006 (La figlia del podestà), il premio Ernest Hemingway nel 2008 (La modista), il premio Procida Isola di Arturo Elsa Morante e il premio Campiello sezione giuria dei letterati nel 2009, quando è stato anche finalista al premio Strega (Almeno il cappello), il premio internazionale di letteratura Alda Merini, premio dei lettori, nel 2011 (Olive comprese). Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterario Boccaccio per l’opera omnia, nel 2015 il premio De Sica e nel 2019 il premio Giovannino Guareschi per l’Umorismo nella Letteratura. Con Massimo Picozzi ha scritto anche La ruga del cretino. I suoi romanzi più recenti sono Certe fortune e Sotto un cielo sempre azzurro.

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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

A una sola settimana dal suo arrivo a Bellano il nuovo direttore delle Regie Poste Miriano Bagnarelli era già stato soprannominato Gnègnè.
Autrice della pensata l’impiegata Fiamma Simile, zitella come la collega Angioletta Trinca, ma più acida a causa di una lontana delusione d’amore, tanto lontana che la ricordava solo lei. A indurle l’idea era stato un evidente difetto del Bagnarelli che gli rendeva impossibile pronunciare correttamente il digramma «gn» seguito dalla vocale «a» senza una contrazione delle ali del naso e l’emissione di un rumore umido, come schiacciasse una lumaca senza guscio. Tant’è che al momento di presentarsi s’era subito corretto allo scopo di far intendere con chiarezza il proprio cognome.
«Bagnerelli», aveva detto, «ma con la a al posto della e.»
«Bagnarelli quindi», aveva chiesto conferma la Simile.
«Esatto», aveva confermato lui, «Bagnerelli.»
Va be’, s’erano detti i tre impiegati. E dopo una settimana il nomignolo era diventato d’uso comune, ma solo tra le due impiegate.
Ne aveva rigettato l’uso invece Omario Consiglio per il quale, con la a o con la e, il Bagnarelli restava sempre e comunque il signor direttore. Accomodante tra l’altro, come aveva subito dimostrato di essere, senza troppi grilli per la testa a differenza del suo predecessore Massamessi. Qualche piccola mania semmai, niente di più. Tra queste, una era quella di curare con particolare attenzione una frangetta di neri capelli che gli cadeva sulla metà sinistra della fronte e che spesso, forse quando credeva di non
essere visto, schiacciava e compattava passandovi la mano umida di saliva. L’altra era un rispetto che sfiorava il servilismo per autorità e maggiorenti del paese, atteggiamento che aveva pregato gli impiegati di condividere, annunciandoglieli quando li vedevano comparire in ufficio così da poterli riverire personalmente e garantire loro un trattamento di preferenza rispetto ai comuni clienti.
A tal proposito aveva anche istruito il procaccia Erminio Fracacci affinché quelle stesse autorità fossero sempre in testa alla lista delle consegne quotidiane. Podestà, prevosto, inteso quale canonica nel suo insieme, maresciallo dell’Arma, e con lui i suoi sottoposti, segretario comunale e del fascio locale, medico condotto: loro dovevano essere i primi a ricevere la posta qualora ve ne fosse poiché, in quanto autorità, era a loro che giungevano comunicazioni di pubblico interesse. Tutti gli altri a seguire.
Al Fracacci, pur giudicando peregrina l’idea, non era rimasto che ubbidire e l’aveva fatto con lievità d’animo, considerando quanto aveva dovuto subire durante l’interregno del Massamessi mentre il Bagnarelli non aveva nemmeno detto be’ sul fatto che aveva ripreso ad andare in giro senza divisa. In più, quasi subito, aveva potuto constatare come l’ordine ricevuto non scompaginava più di tanto il suo consolidato criterio di consegne, la ragionata mappa che gli evitava di zigzagare per il paese. Benché persone di spicco, i pulcini del Bagnarelli non ricevevano poi ’sta gran posta. A volte passavano settimane senza che giungesse loro nemmeno una cartolina.
Nel mese di settembre appena trascorso, per esempio, aveva dovuto consegnare solo una lettera al dottor Lesti, speditagli dalla sorella Veneziana residente in Pavia, e in canonica c’era andato per la sola e solita consegna de «Il Resegone», settimanale della diocesi di Lecco, e del mensile «Vita e Pensiero». Ai primi di ottobre invece una cartolina al podestà, spedita dal collega di Morbegno che stava passando le acque in quel di Montecatini, annotando che c’era più vita in un qualunque cimitero che non dove si trovava.
La mattina di venerdì 11 ottobre 1929 però si trovò per le mani una lettera che gli pose un serio problema. Era una busta intestata, proveniente dalla Federazione provinciale del fascio, indirizzata al segretario Caio Scafandro. Che fare?, si chiese il procaccia. Perdere l’intera mattinata per raggiungere a piedi l’abitato di Dervio, dove sapeva che lo Scafandro, capomastro dell’impresa edile Calcarena, stava seguendo certi lavori, e così obbedire alla direttiva del Bagnarelli, oppure…
Dopo aver ragionato un istante, Erminio Fracacci decise.
Oppure.

(continua in libreria…)

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