Con 10 anni di pubblicazioni alle spalle, l’Inquieto è una delle riviste online più longeve del panorama letterario italiano. In occasione del compleanno, la rivista festeggia con un numero speciale, il primo cartaceo della sua storia – Su ilLibraio.it il racconto di Andreea Simionel, illustrato da Bbraio
Oltre trecento tra scrittrici, scrittori e illustratori pubblicati, parole, disegni. Con 10 anni di pubblicazioni alle spalle l’Inquieto è una delle riviste online più longeve del panorama letterario italiano.
In occasione del compleanno, la rivista (curata da Bernardo Anichini, Nicolò Ciccarone e Martin Hofer) ha deciso di festeggiare con un numero speciale, il primo cartaceo della sua storia.
All’interno, sette racconti illustrati, come da tradizione, firmati da alcuni amici della rivista (Andreea Simionel, Simionel, Paola Moretti, Simone Lisi, Alessio Mosca, Francesco Mila, Mattia Grigolo e Claudia Grande), mentre la cover è firmata da Upata.
Il numero speciale, Decade (che si acquista online qui a partire dal 20 settembre, e nel corso degli eventi fisici), verrà presentato in librerie e festival, a partire da Firenze Rivista (il 24 settembre, alle ore 18.30, con Francesco Quatraro, Simone Lisi e live painting di Spiovee).
Su ilLibraio.it proponiamo qui di seguito uno dei racconti, Carogna, firmato da Andreea Simionel (nata nel 1996 in Romania, vive a Torino da diversi anni. Suoi racconti sono apparsi su varie riviste letterarie, tra cui effe, Altri Animali, Verde, l’Inquieto e Nazione Indiana. Nel 2021 il racconto Addio Sicilia viene tradotto in tedesco all’interno dell’antologia Literatur Tandem letterario. Nel 2022 ha pubblicato per Italo Svevo Male a Est, suo romanzo d’esordio) ed è illustrato da Bbraio (classe 1993, nato in Sudtirolo, l’atmosfera è un elemento fondamentale del suo lavoro. Ama sperimentare con tecniche digitali e perdersi in paesaggi sonori e immagini in movimento. Produce videoclip e spot pubblicitari animati, storie brevi e collabora con diverse riviste autoprodotte).

L’illustrazione di Bbraio per il racconto” Carogna”
CAROGNA
di Andreea Simionel
Dopo aver ucciso il nostro cane siamo andate a fare la spesa. Ho camminato tra gli scaffali con la scatola delle sue ceneri in mano. Sentivo ancora quel calore. Un po’ mi dispiaceva, perché non era mai stato in un supermercato da vivo. Avrebbe pisciato su tutti gli scaffali.
A volte mio padre ferisce mia madre. E allora lo mettiamo in catene. Gli diamo l’acqua e il cibo, diventa lui il nostro cane.
Al supermercato ho pensato di prendergli qualcosa da mangiare, ma ho cambiato idea. Poiché avevamo ucciso il nostro cane all’improvviso, a casa erano rimasti ancora parecchi snack.
Ho incontrato mia madre lungo lo scaffale con il latte. Ha l’abitudine di parcheggiare il carrello a metà di una corsia, così io e mia sorella sappiamo sempre dov’è il carrello e dov’è mia madre. Mia madre è al sicuro. Come il carrello. Mia madre è il carrello.
Sono tornata con la scatola delle ceneri tra le mani. Mi ha chiesto se non volessi niente e ho detto di no e mi è sembrata triste. Ho pensato che fosse perché le avevo ricordato i tempi in cui non volevo mai niente perché eravamo poveri. Ma poteva anche essere altro. Dopotutto, avevamo appena ucciso il nostro cane.
Mia madre mi ha ferito mentre lo uccidevamo. Gli ha messo il palmo destro sulla fronte e lo ha accarezzato. Piangeva e ha detto: non c’è più.
Lui aveva gli occhi chiusi e la flebo gli scorreva dentro una zampa. Mia madre gli stava tirando il pelo all’indietro e le palpebre si sono aperte. Si è visto il bianco. Questa immagine mi fa ancora visita. Ho cercato di scacciarla via.
Ho camminato via da mia madre e dalla sua tristezza. Ho svoltato verso lo scaffale delle bibite. Ho incontrato mia sorella. Hello, ho detto. How are you, ha detto, senza girare lo sguardo.
Stava guardando le bevande energetiche. Ama le bevande energetiche. Colleziona le lattine colorate e ne beve parecchie ogni giorno per dare zucchero al cervello. Ne ha bisogno. Mia sorella mi piace molto, ma non adesso. Ha amato il nostro cane più di tutti. Il suo dolore mi ferisce.
Ho camminato via da lei. L’ho lasciata a guardare le bevande energetiche. Da quando l’abbiamo ucciso guarda le cose attraverso. Ho camminato per il supermercato con il cane. Gli ho fatto vedere la pasta fresca Giovanni Rana, il reparto surgelati. Ho chiuso gli occhi. Le immagini mi hanno fatto visita.
L’avevamo appena incenerito. La ragazza alla reception ci ha chiesto se volessimo assistere. Ho guardato mia madre e lei mi ha guardato. Da quando lo avevamo ucciso, eravamo le uniche con gli occhi normali. Con questo, intendo dire che i nostri sguardi sembravano avere ancora una direzione e incontrare una destinazione. La ragazza indossava un paio di pantaloni neri e un blazer nero. Aveva lunghi capelli ondulati che le scendevano sulle spalle. Era un po’ spagnola. La sua voce era dolce e delicata e stava facendo il possibile per non sorridere educatamente. L’ho molto apprezzato.
Mia sorella le ha guardato attraverso e ha detto di sì. L’abbiamo seguita lungo un corridoio. Ci stava guidando verso il posto in cui il corpo del nostro cane morto era conservato. Più la guardavo, più mi rendevo conto di quanto fosse elegante. Guardo spesso le donne e rubo i loro outfit. È indubbio che alcune donne sanno essere più donne di altre donne. La cosa più interessante della ragazza alla reception era che riusciva a essere donna in un posto così pieno di morte, ma non in modo solenne. Anche io un giorno avrei voluto essere così elegante, ma non per la morte.
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Il cane era sdraiato su un tavolo, sotto una copertina con disegnate impronte di zampe nere. Era piena dei peli di altri animali morti. Non l’ho apprezzato. Questo mi ha ferito. Era evidente che la coperta fosse già stata usata per i corpi di tutti gli animali morti lì. All’entrata c’era un muro con le foto che i proprietari avevano dedicato ai loro ex animali dopo averli uccisi. C’erano scritte come: la mamma ti ama, Ovunque tu sia, guardaci. Mia sorella mi ha indicato una foto. Look, ha detto. A chicken. Solo questo. In altre situazioni, avremmo riso.
La copertina con le impronte di zampe era usata solo per cani morti e gatti morti e chickens morti. Questo mi ha fatto rabbia. La sua vera copertina era a casa. Bastava chiederla.
Mi ha colpito il suo odore. Sapeva di carogna. Mentre lo guardavo, ho capito il significato del termine carogna. Il mio cane era diventato carogna. L’avevamo ucciso due giorni prima, l’avevamo lasciato sul tavolo del veterinario e ora era diventato una carogna ufficiale.
La carogna si è posata sulle labbra del mio cervello. Continuavo a ripeterlo. Carogna. Avevo paura che qualche sillaba uscisse dalla mia bocca. A un certo punto mia sorella si è girata e mi ha chiesto: hai detto qualcosa?
Abbiamo pianto un po’. Mia madre mi ha di nuovo ferito. Ha posato il palmo destro sulla fronte del nostro cane e lo ha accarezzato e gli ha di nuovo tirato gli occhi. Solo che questa volta non si sono aperti perché erano cuciti. Questo mi ha ferito più dell’altra volta.
Hanno spinto il tavolo, che aveva le ruote. Ci hanno invitato a sederci in una piccola sala, con due poltrone e un divano. Mia madre si è seduta sul divano, in mezzo. Io e mia sorella sulle due poltrone ai lati. Davanti a noi c’era un vetro. Il corpo del mio cane morto è comparso dall’altro lato, sul tavolo con le ruote spinto da un uomo. Non era vecchio, ma dal modo in cui camminava e dal silenzio intorno a lui sembrava vecchio. Sembrava un bidello.
L’ha messo dentro la bocca del forno e ha chiuso lo sportello. L’ha bruciato. L’abbiamo guardato bruciare. Non si poteva vedere attraverso la macchina che lo bruciava, ma l’ho comunque immaginato. Prima il suo pelo, poi la carne che si scioglieva contro le ossa.
Salterei questo pezzo, se per voi va bene.
Quando la cremazione è finita, l’uomo ha preso un secchio ed è andato sul retro della macchina e ha buttato le ceneri dentro con una scopa. Ha preso le ossa e le ha messe nel frullatore. Abbiamo ascoltato il rumore del frullatore in silenzio.
Siamo tornate alla reception, questa volta con le nostre ceneri. La scatola che le conteneva era in legno, con l’impronta di una zampa nera sopra. Anche questo mi ha fatto rabbia. Non era la sua zampa. La ragazza alla reception non ha sorriso, e di nuovo l’ho apprezzato. Ho messo la scatola sul bancone.
Quanto viene, ha chiesto mia madre. Duecento cinquanta euro, ha risposto la ragazza.
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Mia madre l’ha guardata male. Al telefono ci avevano detto duecento. Ha iniziato a tirare fuori il portafogli dalla borsa lentamente, si vedeva che non era contenta. La ragazza della reception ha preso la scatola delle ceneri tra le mani e ha chiuso gli occhi. Sentite, ha detto, questo è il momento più bello. Emana ancora calore.
Mia madre era ferma con il portafogli in mano. Mia sorella guardava attraverso, altrove. Io avevo paura che se avessi aperto bocca la parola carogna sarebbe schizzata fuori. Insieme all’odore della carogna. Non si sentiva più, ora che l’avevamo bruciato. Ma era dentro di me. L’avevo inalato e assorbito. Ero la carogna.
Ha rimesso la scatola sul bancone. Ci ha raccontato che aveva iniziato lavorando in un’impresa di umani morti. Poi aveva deciso di passare agli animali morti, ma mantenendo la stessa etica di lavoro. È necessario, ha detto. Accompagnare i nostri animali fino all’ultimo momento, piangerli in modo umano. È necessario, ha ripetuto.
Nessuna di noi ha detto niente.
In macchina, mia madre ha annunciato che bisognava fare la spesa. Poiché nei giorni precedenti eravamo state troppo occupate a uccidere il cane e a ferirci a vicenda, a casa non c’era più niente da mangiare. Ha chiesto se potevamo aiutarla con le buste. Io non ho risposto. Ho fatto molta attenzione a non aprire la bocca, per non far uscire la carogna.
Mia sorella ha detto sì, guardando dritto attraverso il parabrezza. Ma possiamo posarlo? Cosa?, ha chiesto mia madre. Il cane, ha detto mia sorella, sollevando la scatola. La teneva lei, ora. Facevamo a turno. Un po’ io, un po’ lei.
No, ha detto mia madre, è fuori strada. Ma non possiamo andare al supermercato con la scatola, ha detto mia sorella. Perché no, ha detto mia madre. La conversazione è finita.
Dopo la spesa siamo tornate a casa. Abbiamo detto ciao a papà. Era nudo sul divano letto nella nostra stanza. Aveva le catene intorno a polsi e caviglie, ma non erano abbastanza lunghe e lo costringevano a stare scomodo, sdraiato di lato, con i polsi sopra la testa e le ginocchia strette al petto. Non sopportavo che stesse lì. Era il divano letto in cui dormivamo io e mia sorella e il nostro cane. Avete presente quando ami qualcuno molto forte e odi qualcuno molto forte e non vuoi che le due cose si tocchino? Non volevo che toccasse il nostro letto. Mi repelleva. Gliel’ho detto: scendi, mi repelli. È sceso sul tappeto. Mi sono sentita meglio.
Mia madre non sapeva che mio padre era diventato un cane. Sapeva solo che era di là. Ogni volta che mio padre ferisce mia madre, lui viene a stare di qua mentre lei resta di là. E non si toccano e non si incrociano. Come sta?, chiede mia madre. Bene, rispondo. Sì, ma che cosa fa?, chiede. Gli affari suoi.
Mio padre aveva le labbra asciutte e cerchi viola sotto agli occhi. Sono andata a prendergli dell’acqua fresca. Gli ho riempito la ciotola sotto il getto del rubinetto e gliel’ho messa davanti. Non ha bevuto. Mi ha guardato. Hai fame, papà?
Siccome avevamo appena ucciso il cane, la sua ciotola del cibo era ancora intatta. Quel mattino mia madre l’aveva presa in mano e aveva detto: cosa devo farci? La vista della sua ciotola la stava ancora ferendo. Ma non l’ha buttata. L’ha solo messa sopra il microonde, lontano dagli occhi.
Sono andata e l’ho presa e l’ho messa per terra davanti a mio padre. Non ha mangiato. Ha guaito. Era ancora molto grasso. Aveva tanto adipe a disposizione. Si può andare avanti senza cibo e senza acqua per settimane, o anche mesi. I monaci lo fanno. L’ho visto in tivù.
Ha guaito ancora. Non è necessario, gli ho detto. Cosa sei, un cane? Non morirai, gli ho detto, ma non mi deve aver creduto, perché ha guaito ancora.
Uccideremo anche te, se non la smetti. Devi iniziare a comportarti da uomo. Se non ti comporti da uomo, non sei più uomo e dobbiamo ucciderti. Hai capito?
Ha guaito. Non gli ho detto tutto questo, comunque. Solo pezzi. La comunicazione tra me e mio padre non è mai stata molto buona. Dalla mia bocca è uscita della carogna che avevo conservato fino a quel momento.
Mio padre è diventato un cane da un giorno all’altro. Ha cercato di mordere mia madre. Poi si è rivoltato contro mia sorella. Non ricordo di averlo messo in catene. In ogni caso, deve essere stato per il suo bene. Gli ho messo anche la museruola. Ho usato le catene invernali della mia macchina che tenevo nell’armadio.
Sono andata a prendergli uno snack di carne secca. Lui si è alzato sulle ginocchia, con i palmi molli contro il petto. Ha aperto la bocca e ha cominciato ad ansimare. Ho alzato lo snack per aria. Seduto, gli ho detto. Seduto. Lui è tornato carponi, muoveva il culo nudo a destra e sinistra.
È un bravo cane. Un cane perfetto. È migliore come cane che come padre. A differenza del mio cane precedente, che era un husky di razza e pertanto aveva una grande, imprevedibile e indomabile personalità, mio padre obbedisce.
Vai di là, gli dico. Seduto. Lui striscia carponi fino al balcone, con le ginocchia nude contro le piastrelle. Bravo, gli dico. A volte mi sembra che ci provi gusto. Gli piace ricevere ordini da sua figlia. Seduto, gli dico. I suoi occhi diventano più scuri e profondi, come se un buio lo soffocasse.
E spesso, guardandolo, mi chiedo se l’amore è umano o l’amore è un cane. Ho cercato di ricordare com’era prima che diventasse cane. Mi sono dovuta concentrare molto.
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Mi sono ricordata di quando andavamo a fare le guide con il foglio rosa. Mio padre è un bravo autista e mi ha insegnato a guidare. Mi ha anche insegnato come scegliere le catene e come metterle. Un giorno eravamo sul lato della statale vuota, sulla strada verso la montagna. Ha parcheggiato in salita ed è sceso ed è andato a prendere le catene dal baule.
È facile, ha detto, è come mettere le calze a un bambino. Ha infilato le catene intorno alle ruote. È salito in macchina e l’ha fatta partire ed è andato avanti di un giro di ruota. Le ruote si sono mangiate le catene. È sceso. Hai visto?, ha detto. È facile, no?
Ora le catene gli mangiano i polsi e le caviglie.
Durante le mie prime guide, prima dell’esame, sedeva accanto a me in silenzio. Parlava poco e la sua calma si sprigionava nell’abitacolo. A differenza degli altri padri, non era nervoso. E non tirava mai il freno a mano. Si lamentava degli abbaglianti delle altre macchine. Ti accecano, diceva. Se non li sai inclinare, ti accecano. La gente non sa come usarli. Si dimenticano di averli.
Sosteneva anche che gli anabbaglianti di oggi fossero molto più potenti degli anabbaglianti di dieci anni fa. Bastano dieci minuti nel traffico di notte, diceva, e hai mal di testa e ti bruciano gli occhi.
Si arrabbiava soltanto quando passavamo accanto a qualcuno con gli abbaglianti accesi, proveniente dal lato opposto. Guarda questo stronzo, diceva. Questo bastardo. Si allungava dal mio lato, suonava il clacson oppure premeva a sua volta la leva degli abbaglianti.
Tu non guardare mai la luce, mi diceva. E non chiudere mai gli occhi. Guarda giù, sull’asfalto, nel cono di luce proiettato dai tuoi fari.
Sto cercando di insegnargli ad abbaiare. È facile, gli dico. Non chiudere mai gli occhi. È come mettere le calze a un bambino.
Mio padre ruota la testa da una spalla all’altra. Non capisce. Non ha ancora imparato, ma ci sta arrivando. È tutta questione di linguaggio. Negli anni, il suo linguaggio si è ridotto all’osso. Finché qualche giorno fa ha smesso di parlare di colpo. Non è umano, no? O sì? Non penso. Non appena avrà imparato ad abbaiare, sarà un cane completo. E anche io dovrò imparare un nuovo linguaggio, con lui.
Il linguaggio mi ha ferito. Pensavo che fosse mio amico, ma non ha fatto come volevo. Le cose che volevo dire non uscivano, o venivano fuori diverse. Ti voglio bene, papà. Non esce.
Abbaia, papà, gli ho detto. Ha abbaiato, un solo latrato. Gli ho lanciato lo snack di carne secca. Lui ci si è gettato sopra contento. L’immagine di mio padre cane mi ha ferito. Ma conservo quest’altra immagine di lui, seduto in silenzio al mio fianco, mentre guidiamo incerti nella notte.
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