“Nenti di più fruttuoso custodivano l’esorcista e la detective, se non dui segreti passati di caduta in caduta. […] L’esorcista con singolare cautela la guardò e idda, con la paura di interrompere uno scantu ancora privo di senso, abolì la riflessione sul viaggio e spustò la guardata” – Su ilLibraio.it un estratto dal nuovo romanzo di Orazio Labbate, “Spirdu”, un horror filosofico tra la Sicilia e gli Stati Uniti

A Falconara, zona marittima di Butera, il giovane esorcista Jedediah Faluci spossessa i contadini indemoniati nell’ex macelleria del paese. Dall’altraparte del mondo, a Milton, in West Virginia, la detective Kathrine Pancamo dà la caccia a un sanguinario serial killer che semina terrore nelle chiese della contea.

Questo il filo conduttore di Spirdu (Italo Svevo Edizioni, nella collana “Incursioni” diretta da Dario De Cristofaro, progetto grafico di Maurizio Ceccato), nuovo romanzo con cui Orazio Labbate porta a compimento un horror filosofico che si ispira alla metafisica di William T. Vollmann e alla “letteratura del disgusto” di Thomas Bernhard, dove italiano e siciliano si cesellano in una lingua mistica, feroce, fitta di neologismi ed ebbra di suoni.

Due solitudini incolmabili, quelle di Jedediah e di Kathrine, due destini opposti e dolorosi che si incontreranno in una Sicilia dell’orrore per confrontarsi insieme con l’essenza del male e della paura.

Labbate è nato a Mazzarino nel 1985, ma ha vissuto sin dall’infanzia a Butera. Ha pubblicato i romanzi Lo Scuru (Tunué, 2014) e Suttaterra (Tunuè, 2017), la raccolta di racconti Stelle Ossee (LiberAria, 2017) e i due volumi Piccola Enciclopedia dei mostri (24 Ore Cultura, 2016) e Atlante del mistero (Centauria, 2018). Suoi racconti, tradotti da Anne Milano Appel, sono apparsi sulle riviste letterarie statunitensi pen America, Guernica e TheShoutflower. Per i suoi libri la critica ha parlato di Gotico siciliano.

Spirdu di Orazio Labbate

Per gentile concessione della casa editrice, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto:

Dall’orrore del cielo non venivano fuori le stelle. Ffunìvunu depresse nel mondo più sconvolgente della vigilia di Natale.

In uno stadio nìvuru di deprimazione, un si vidìva niente della natura spropositata e orribile attorno alla locanda Spinacardidda, vicino a Butera. La strada pareva andare a fondo nel miserabile crimine della notte e un’infelicità perfetta non risparmiava le ùmmire commiserabili dell’esorcista e della detective. Inadeguate e asservite, le ombre lassàvunu il piazzale luordu con lentezza allarmante, mentre l’intrico cristico di rami al neon dell’unica putìa ittàva poca luce. Iddi due, solitudini insopportabili, si muovevano, scattiùsi come lampi elettrici, in direzione della Pilato Mercedes. U vientu tagliava di netto le loro sagome che esistevano a sé, nonostante traboccassero dai corpi di provenienza. Kathrine, intra u so silenzio inviolato, con determinatezza seguiva Jedediah e lo scrutava a fondo mentre l’esorcista, preparato al terribile, caminàva con uno sforzo di dignità verso la macchina. Frivolezze accidiose e noie declassanti dormivano nelle campagne ai lati. Avanzi di creature ridotte a un ammasso di concetti sdirrummàti, timorosi di rimuginare sull’antica potenza ora sommersa.

Nenti di più fruttuoso custodivano l’esorcista e la detective, se non dui segreti passati di caduta in caduta. In quel clima asmatico di nègghia irresistibile tuttavia respiravano assicurando dentro d’iddi una longevità impertinente per non disfarsi di una solitudine fatale e odiosa. Frugava nella notte di entrambi la notte stissa, finché li ammantò di un ùrtimu splendore confusionario, mentre le profondità dello stomaco dei campi furono travolte dalla nostalgia impotente delle luci del carro funebre acceso. Come muti questuanti del soprannaturale entrarono in macchina. Sulènziu. Due pesci appesi al collo sutta un firmamento amante dei de cui, due carnevali umani chini di differente saggezza nefasta, due stumpagnàti delle proprie fatuità.

L’esorcista con singolare cautela la guardò e idda, con la paura di interrompere uno scantu ancora privo di senso, abolì la riflessione sul viaggio e spustò la guardata. Si prepararono picca dintra la màchina, con sospiri e senza verbi, come a violentare il nuddu e la vertigine dei bassifondi che erano destinati a incontrare.

Guardarono davanti a loro. La durata fu morta e straripante, come l’orrore della pace. Scutàvunu il veleno della noia campagnola non più massacrata di vita. Poi, con minuziosità sospetta, l’esorcista dichiarò guerra al corpo; cchè nerba delle turbe principiò a guidare verso Butera, mentre la detective spiò fuori cercando quarchi albero convulso dal vientu.

Ma nenti, ancora una pianura buia, felice del proprio laceramento.

(continua in libreria…)

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