“Speriamo sia soltanto fino a Pasqua, ma altrettanto ovviamente, la paura che dallo scorso anno non sia cambiato niente c’è. Il fatto è che noi grandi non osiamo mai dirle a voce alta le cose, invece i ragazzi sì. E loro sono già passati da ‘non ci posso credere’ a ‘non ci credo più’…”. Si torna alla didattica a distanza. Su ilLibraio.it l’amara riflessione di Valentina Petri, insegnante e autrice di “Portami il diario”

“Non ci posso credere”.

Da un anno a questa parte credo che sia la frase più pronunciata nelle scuole di ogni ordine e grado, parolacce escluse, naturalmente. Anzi, quasi quasi faccio una ricerca per parole chiave sulle chat di classe per vedere quante volte l’abbiamo scritta.

Me lo ricordo benissimo un mio alunno che al primo, primissimo DPCM (che tenerezza, che nostalgia) ha commentato con la gif animata di Aldo che rotea la testa urlando “non ci posso creeeederee!!”. E giù faccine e risatine, che in fondo per i ragazzi stare a casa da scuola è sempre una vacanza. Lo era, almeno. Perché la scuola chiusa è una cosa grossa, grossissima.

Non si è mai vista, la scuola chiusa dappertutto. Non ci potevamo credere a una cosa così. E invece ci abbiamo creduto, ma l’abbiamo spostata su Matrix, l’abbiamo reinventata, l’abbiamo fatta lo stesso, la scuola. E ci è mancata, anche questa è una cosa da non credere, che la scuola manchi.

Cioè, di solito quelli che rimpiangono la scuola sono i vecchietti che raccontano iniziando con “ai miei tempi, a scuola…” e intanto i giovani vorticano gli occhi al cielo vagheggiando l’estate. Invece abbiamo avuto un anno di striscioni, balconi e arcobaleni, la ripartenza tra le frecce per terra e gli ingressi scaglionati, i bollini verdi sotto ai banchi, l’aula covid per il primo beccato a starnutire e gli allergici alla polvere di gesso ci finivano sempre dentro. Ce la stavamo facendo, ci guardavamo increduli, non ci potevamo credere. Anche dopo Natale, con la didattica a corrente alternata, a classi alterne, a giorni alterni, metà classe qui e metà classe a reti unificate, facevamo il meglio possibile. Quando però l’altro giorno il nuovo decreto, il millemilionesimo, che nemmeno più li guardiamo in diretta prendendo appunti tanto sappiamo com’è, ecco, quando il nuovo decreto ci ha riportati indietro di un anno di colpo, non l’ha detto il solito alunno, l’abbiamo detto tutti: non ci posso credere.

Di nuovo tutte le lezioni con le aule deserte, di nuovo il problema dei più piccoli a districarsi tra una piattaforma e un compito da spedire alla maestra, ammesso che si sappia bene dove metterli, i più piccoli non i compiti. Ed è subentrata ormai una fatica sorda che a noi è vietato mostrare, perché intanto la categoria degli insegnanti è sempre vista come il solito compatto plotone di privilegiati lamentosi e quindi “zitti e buoni”, accendiamo i microfoni e facciamo lezione, che c’è chi sta peggio.
Ma siamo fuori di testa, questo sì.

È necessario, indubbiamente. Probabile che si potesse fare di più e meglio, ovviamente.

Speriamo sia soltanto fino a Pasqua, ma altrettanto ovviamente, la paura che dallo scorso anno non sia cambiato niente c’è. Il fatto è che noi grandi non osiamo mai dirle a voce alta le cose, invece i ragazzi sì. E loro sono già passati da “non ci posso credere” a “non ci credo più”.

portami il diario

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO ROMANZO – Valentina Petri vive a Vercelli, dove insegna lettere all’istituto professionale Francis Lombardi. Dal 2017 condivide le sue storie di scuola sulla pagina Facebook Portami il diario. Che dà anche il nome al suo primo romanzo, in libreria per Rizzoli. Un libro in cui racconta la scuola dal punto di vista (autoironico) di una prof di lettere in un istituto professionale.

Quando entra in aula per la prima volta, Valentina è “Quella Nuova” e ha davanti ventotto futuri meccanici: c’è uno che si rifiuta di togliere gli auricolari e un altro che messaggia con la tipa; c’è Amebo che fissa il vuoto con aria indifferente; Piallato steso sul banco per nascondersi; il Trucido che ingurgita un panino al tonno. Siamo a settembre, ma l’anno scolastico sembra già lunghissimo. Eppure i giorni passano: passano sempre. E, tra petardi esplosi in cortile e turbolente gite all’Expo, capitano momenti di inaspettata meraviglia, in cui gli studenti abbassano la guardia e scelgono di fidarsi. Sono i momenti raccontati in questo libro, che ci riporta tra i banchi con lo sguardo amorevole e ironico di una prof. E ci ricorda che i ragazzi, se tendi loro la mano, sanno stupirti come nessun altro.

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