Nel suo nuovo libro, l’intimo “Studio privato” (di cui proponiamo un estratto), la scrittrice Violetta Bellocchio indaga le contraddizioni della protagonista (e della società contemporanea), e affronta il tema della salute mentale. Sullo sfondo Milano, “metropoli in continuo e convulso mutamento”…

A fine ottobre 2024 raccontavamo il ritorno di Violetta Bellocchio con Electra (Il Saggiatore), “romanzo che rappresenta un’immersione nella realtà vissuta dall’autrice”.

Ora, a distanza di una anno, la scrittrice e traduttrice, torna con un nuovo libro, ambientato in “una metropoli in convulso mutamento”, Milano.

Studio privato (66thand2nd) mette i lettori e le lettrici di fronte a una duplice realtà: quella in cui Violetta è considerata una “pazza”, allontana e poi gestita attraverso psicofarmaci; ma anche quella in cui è una professionista impegnata in un “sostegno terapeutico” (pagato in nero) rivolto a ricchi clienti che si affidano a cure di specialisti di vario tipo.

Si sviluppa così una contraddizione che forse ben rappresenta la nostra società, in cui la salute mentale è un tema caldo, a cui bisogna prestare attenzione; al tempo stesso, il mercato costringe uomini e donne a essere sempre performanti.

Bellocchio, che già in altre opere ha raccontato la sua visione del mondo (anche attraverso una descrizione distopica come in Festa nera, Chiarelettere), all’interno del romanzo è sia autrice sia personaggio, ma anche vittima di un sistema sanitario frettoloso, oltre che ingranaggio del sistema stesso: assoldata come “psicologa” per chi, ancor più fragile, si affida a figure che vogliono solo arricchirsi…

Studio privato di Copertina di Violetta Bellocchio libri ultime uscite ottobre 2025

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Alla fine ne veniamo fuori tutti. Ma da lì non ti tira fuori nessuno.

Debra ha dovuto litigare – lasciatemi uscire adesso, oppure chiamo la polizia e vi faccio causa – per venire dimessa da una struttura privata dove al posto del metadone ai clienti eroinomani davano manciate di tranquillanti (era quello il loro metodo all’avanguardia, in una clinica immersa nel verde come gli spot delle assicurazioni).

Cristina con il kaijū verde e azzurro tatuato sulla schiena ha dovuto squarciarsi un polso con una forbice da giardino arrugginita, in strada davanti a tutti, per farsi dire a grandi linee cosa forse poteva avere dai tre specialisti che se la stavano rimpallando tra di loro zitti zitti nella stessa città universitaria.

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BB senza peccato, che usciva di casa durante le tempeste di pioggia e ti mandava una foto della sua bella faccia scintillante sotto un tetto di lamiera per farti sapere che non stava annegando, si è trovata davanti un dottore dell’età di suo padre che dopo trenta minuti di colloquio le ha prescritto un antiepilettico, e lei ha detto «cos’è, uno scherzo?» solo perché era andata su Google a cercare «Depakin effetti collaterali».

Violetta Bellocchio

Violetta Bellocchio (nella foto di Claudia Cosentino) è autrice di racconti e romanzi, traduttrice e giornalista. Qui i suoi articoli scritti per ilLibraio.it

Erica stava rispondendo a una mail della scuola nella sala d’attesa di un pronto soccorso psichiatrico mentre parlottava con il vicino di posto – dinamica normalissima, finché lui le ha detto, «A occhio potresti essere borderline come la mia ragazza, devi andare a Ville Turro a farti controllare, in questo ospedale a voi non vi dicono mai niente».

Anna Rea al pronto soccorso ci è andata e ci è rimasta una notte (le era montata la rabbia, e la pressione, quando aveva scoperto che il fidanzato puttaniere manteneva tutto un albero genealogico di altre donne), il mattino presto l’hanno lasciata uscire, e il personale di turno le ha detto perché la stavano lasciando uscire – Anna Rea, sei arrivata in stato di agitazione, ma avevi appena ricevuto una notizia scardinante: stanotte ti sei calmata, adesso sei lucida, rispondi a tono e ti ricordi tutto, non c’è motivo di tenerti in osservazione. Per noi sei libera di andare. Beh, nemmeno il tempo di tornare e mettere due magliette in un borsone e il suo fidanzato aveva già telefonato a tutta la famiglia, suo padre sua madre suo fratello, e aveva detto che Anna Rea era pazza e si inventava le cose, tanto che era finita in Psichiatria. A chi dovevano credere?

Tra di noi, a un certo punto, ci siamo conosciute tutte. Troppo giovani per sfiorare il manicomio vecchio stampo, a volte è bastato un turno pomeridiano poco movimentato in un bar di campagna, la poca voglia di ripassare lo straccio su una vetrina pulita. A volte siamo tornate insieme da lunghe, fruttuose pause sigaretta a qualche fiera del libro – a te cos’hanno detto che avevi? –, a volte ci siamo inventate una telefonata urgente per dare a qualcun altro il tempo di entrare nel locale e sedersi per primo. E a volte la differenza tra la paura e la solidarietà l’ha fatta un momento di gentilezza accidentale, come quando un’illustratrice per bambini mi ha sussurrato, «Io con la medicina tua me magnavo pure le gambe del tavolo».

Ci siamo conosciute tutte, però non ci piace restare in contatto. Ci ricordiamo l’una dell’altra – o almeno, io mi ricordo di loro – e scegliamo di conservare le informazioni utili a chi rischia di cascarci al prossimo giro. La strada parla: non andare in rehab, non andare in nessuna clinica, non andare in una struttura, non andare da chi ti tiene lì senza dirti cos’hai, non dire a nessuno che sei stata tu a volerti controllare per tranquillità. Menti, ruba, brucia e imbroglia, nega l’evidenza se necessario, scriviti da qualche parte la frase «io là dentro non ci torno» e mettila dove sta la prima cosa che guardi quando ti svegli in casa tua. E mi raccomando, se in uno studio si apre la porta e tu vedi un uomo, o una donna con i capelli a caschetto, scappa.

(continua in libreria…)

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Fotografia header: Violetta Bellocchio (foto di Claudia Cosentino)

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