Pubblicato nel 1955, ha inaugurato un filone tutto americano di romanzi massimalisti e postmoderni come “L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon” (1973), “Infinite Jest” di David Foster Wallace (1996) e “Underworld” di Don De Lillo (1997). “Le Perizie” di William Gaddis (1922-1998) non è un libro per tutti (non solo per le sue oltre 1200 pagine…): è una vertigine letteraria sulla fine della Storia e della Letteratura, un caso emblematico del fallimento del postmoderno, ma anche la sua più grande sfida…

È tornato in libreria per Il Saggiatore Le perizie di William Gaddis (traduzione di Vincenzo Mantovani), uno dei capisaldi del postmodernismo americano (da tempo fuori catalogo: l’ultima edizione Mondadori era divisa in due volumi).

Pubblicato nel 1955, con le oltre 1200 pagine ha inaugurato un filone tutto americano di romanzi massimalisti e postmoderni come L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon (1973), Infinite Jest di David Foster Wallace (1996) e Underworld di Don De Lillo (1997).

Le perizie si colloca nello snodo cruciale del dopoguerra negli Stati Uniti: un’ondata di benessere e consumismo inondò la società americana e la letteratura cercò di captare questo cambiamento. Dietro le meraviglie dell’industrializzazione, dello sviluppo tecnologico e della società di massa si celavano infatti le contraddizioni di un Sistema. Sono gli anni, tra l’altro, de Il giovane Holden, il ribelle anticonformista americano che non sopporta la falsità del mondo esterno, tanto è imprigionato in una disperata ricerca di autenticità.

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Gaddis (New York, 1922-1998) ricompone una mappa di una New York del XX secolo abitata da personaggi posticci, impalcature senza anima, sedicenti artisti, critici in cerca di fama e intellettuali ossessionati che si trovano a discutere dello statuto dell’opera d’arte – nell’epoca della sua riproducibilità tecnica – direbbe Walter Benjamin.

Il termine “perizia” si riferisce alla disamina infinita che vede i personaggi coinvolti in un interrogarsi minuzioso sulla crisi del pensiero filosofico occidentale, dalla metafisica aristotelica alla storia dell’alchimia, dalla storia delle dottrine religiose alla storia dell’arte moderna.

Gaddis, Le Perizie, Il Saggiatore 2024

Il protagonista, Wyatt, è figlio di un pastore protestante, cresciuto nel New England dalla zia May con uno spiccato senso di colpa calvinista che richiama i vecchi tempi in cui si vedevano tracce di Dio in ogni dettaglio. La sua unica ambizione è quella di completare il ritratto della compianta madre Camilla, ma la sua arte viene subito compromessa nel momento in cui inizia a imitare i quadri fiamminghi per conto del mercante Recktell Brown. Il suo corrispettivo letterario è Otto Pivner, un commediografo che non riesce a scrivere la sua opera, La vanità del tempo: accusato di plagio non sa più cosa è originale e dove inizia l’imitazione

Copiare è il processo de-creativo del postmoderno: non crea ma distrugge. Ma quanta letteratura si è fondata sull’imitazione dei classici?

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Le Perizie dialoga facilmente con il Faust di Goethe, a proposito di vendere l’anima al diavolo, e per la sua complessità di riferimenti ricorda l’Ulisse di Joyce o La terra desolata di T.S. Eliot.

Il postmodernismo americano nasce da qui: le centinaia di pagine di note di Infinite Jest sono un’evoluzione di questi riferimenti colti, il “rumore bianco” di DeLillo non è che il punto di arrivo di un ragionamento filosofico che comincia già in questo libro con le discussioni sulle falsificazioni dell’opera d’arte.

La realtà è esaminata come materia filosofica insieme alla sua negazione. Se il reale coincide con la verità, e l’opera d’arte conduce sempre alla verità perché rappresenta il reale, Gaddis racconta la degenerazione del reale nel falso, la riproduzione in copia dell’opera d’arte a partire dall’originale, la perdita di valore, la falsificazione e la mercificazione del falso come nuove tendenze dell’arte del XX secolo.

Vincitore di due National Book Award, l’autore di Le perizie fa parte di quella schiera di postmoderni che rifiutano la contemporaneità, ancora nostalgici di una vecchia idea di cultura e portatori di un’idea romantica di letteratura.

A partire dagli anni ’80, invece, si affaccerà nel panorama letterario americano una nuova schiera di scrittori postmoderni che avranno talmente assorbito la cultura popolare mediatica e consumistica da inglobarla nella letteratura tout court. È così che Foster Wallace fa convivere Roger Federer e Kierkegaard, la matematica e la pubblicità, i programmi televisivi con Dostoevskij.

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I riferimenti culturali di William Gaddis sono talmente alti da sfuggire persino al lettore più preparato: lo sfoggio di citazioni erudite e la conoscenza richiesta di alcune materie come l’esoterismo, la teologia cristiana o la pittura fiamminga sono segnali paradigmatici di quello che Jonathan Franzen ha definito “Status model”. In un articolo del 2002 sul New Yorker, intitolato Mr. Difficult: William Gaddis and the Problem of Hard-to-Read Books, Franzen rifletteva sui suoi obiettivi da scrittore e raccontava dei commenti ricevuti da alcuni suoi lettori che lamentavano l’uso di un lessico inutilmente sofisticato nel suo terzo romanzo, Le Correzioni.

L’approccio dell’autore nei confronti del pubblico è alla base della distinzione tra uno “Status Model” e un “Contract Model”, e a posteriori ci spiega anche perché, ad esempio, Crossroads sia decisamente più facile da leggere – e quindi più godibile – rispetto a Le Correzioni. Franzen è infatti tornato sui suoi passi e da autore “Status” ha scelto il modello del “Contract”.

Gaddis, invece, apparteneva a una generazione di scrittori che conferiva tutto il valore del proprio lavoro alla creazione dell’opera d’arte, alla letteratura nel senso più alto possibile. Se il pubblico non capisce l’opera d’arte non è compito dell’autore spiegarlo. L’arte in quanto arte non si spiega, si coglie se si è in grado di interpretarla.

Dopo aver dato a Gaddis l’appellativo di “Mr. Difficult”, Franzen ragionava sulla difficoltà intrinseca delle opere di altri scrittori postmoderni di “Status” come Pynchon, DeLillo, Heller, Coover, Gass, Burroughs, Barth, Barthelme, Hawkes, McElroy, e Elkin, il cui scopo non era altro che trovare una colpa nel Sistema, mostrare l’assurdità della realtà, convinti di un complotto immaginario ai danni dell’Arte: “Noi” scrittori intellettuali contro “Loro”, le masse ignoranti, la società cattiva, una dialettica che sarà insistente in un altro capolavoro del postmoderno, L’arcobaleno della gravità.

Le Perizie non è un libro per tutti, per sua scelta, è una vertigine letteraria sulla fine della Storia e della Letteratura, un caso emblematico del fallimento del postmoderno, ma anche la sua più grande sfida. Tra l’autore e la sua opera d’arte c’è un pubblico di lettori, una comunità di persone che legge per riconoscersi nell’arte, il progetto postmoderno è stato un esperimento andato male, una vera utopia.

 

 

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