“Non quindici minuti di fama per ciascuno, ma ciascuno famoso per almeno quindici persone, e per tutta la vita…”. Con l’avvento di internet e dei social media, la società e il comportamento sociale dell’essere umano sono cambiati. Alessandro Lolli riflette su questa mutazione antropologica – Su ilLibraio.it un estratto dal saggio “Storia della fama. Genesi di otto miliardi di celebrità”
Si potrebbe dire che oggi, nel presente dominato da internet e dai social media, la fama sia più centrale che mai. Ma cos’è veramente la fama, e cosa è cambiato dalla definizione che veniva data nell’antichità?
A queste e ad altre domande risponde Alessandro Lolli, autore del saggio La storia della fama – Genesi di otto miliardi di celebrità (effequ), in un percorso che parte dal passato e affronta le diverse forme, le evoluzioni del concetto e le accelerazioni che la fama ha avuto negli ultimi anni.
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Lolli già nel 2017 si è occupato dei cambiamenti della società partendo da un elemento come i meme: in La guerra dei meme – Fenomenologia di uno scherzo infinito (effequ) era proprio questa forma di comunicazione a essere la lente di osservazione e lo strumento di riflessione per descrivere il mondo.
Filosofia, cultura pop e nuovi media continuano a essere al centro degli studi di Lolli, che avverte lettori e lettrici: la fama nell’era di internet ha ribaltato la profezia di Andy Wharol, “(…) non quindici minuti di fama per ciascuno, ma ciascuno famoso per almeno quindici persone, e per tutta la vita”.
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Con l’avvento di internet e dei social media il comportamento sociale dell’essere umano è cambiato e gran parte dell’umanità, oggi, si trova immersa in una condizione sociale mai sperimentata prima: la prospettiva di una celebrità allargata a tutto il mondo. Ecco perché Lolli rende centrale la fama, non più una caratteristica delle celebrities ma elemento essenziale per definire la mutazione antropologica ormai in atto.
E le conseguenze di questa nuova condizione sociale, e poi psicologica, sono espresse nella vita di tutti i giorni, compresa la politica.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:
La profezia di Andy Warhol
Quella che si formalizza nella prima metà del Novecento è la fama a cui pensiamo adesso, la fama paradigmatica che emerge e si impone per tutto il secolo come modello ideale.
Riprendendo la periodizzazione introdotta all’inizio di questo libro abbiamo quindi una fama antica che inizia dall’alba dei tempi e arriva fino alla pubblicazione del primo quotidiano nel Diciottesimo secolo, poi un periodo di transizione lungo circa due secoli in cui troviamo coloro che abbiamo chiamato protofamosi, e infine la fama novecentesca o paradigmatica, che facciamo nascere col cinema e che arriva fino al 2008 circa. Ci arriveremo. Vediamo nel frattempo quali caratteristiche della fama sono sopravvissute e quali si sono perse.
La fama come merce urbana è la prima vittima dell’epoca dei mass media, tanto che in epoca contemporanea dobbiamo fare un certo sforzo per slegare la nostra concezione della fama, la fama paradigmatica, alla sua universalità.
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Ancora più incomprensibile ai nostri occhi e ancora più morta è la concezione di ‘fama pubblica’ tipica degli antichi: finito il tempo in cui i famosi erano per lo più regnanti, condottieri, politici che incarnavano l’idea di un popolo, finito anche quello dei santi, modelli di comportamento e simboli della cristianità, la fama novecentesca è incarnata dalla persona che rompe con la collettività, che si innalza al di sopra di essa e, come abbiamo anticipato, manifesta spesso comportamenti tanto individualistici da essere antisociali, proibiti alla gente comune. La star è eccessiva, esagerata, egoista, innamorata di sé stessa. Può finire per autodistruggersi come una supernova ma la sua esplosione è meravigliosa. Esseri celesti al di sopra del bene e del male, la cui esistenza è invidiata proprio per l’infinita potenza che può esprimere.
La fama dei posteri sopravvive in forma accessoria ma sufficientemente celebrata. Se nell’antichità, come conseguenza della natura urbana e limitata dalla fama in vita, la fama dei posteri era sostanzialmente l’unica fama possibile, nel Novecento diventa l’attributo ulteriore che sancisce coloro ‘davvero grandi’. Le celebrità diventano una merce inflazionata, tanto che alcune di loro durano lo spazio di una stagione: si può essere stelle o meteore.
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Per quanto riguarda l’ultima e più interessante caratteristica, quella che vedeva la rappresentazione della fama come mostro, il Novecento è l’unico periodo in cui questa caratteristica sembra inabissarsi nell’oblio dell’inconscio collettivo. Questa funzione della fama era chiarissima per Virgilio, il primo a rappresentarla così. Era presente anche nell’immaginario cristiano che nella vanità vedeva uno dei più insidiosi peccati, e anche i protofamosi dell’età moderna ne erano consci: Rousseau vedeva dei potenziali tirannicidi negli sconosciuti che lo osservavano quando entrava in un caffè; per lui come per Cesare la fama era ancora un fenomeno urbano in cui le persone a cui era noto gli erano prossime, i loro pensieri impenetrabili, le loro azioni a portata di pugnale. La fama novecentesca è invece vista sotto una luce generalmente positiva, sommamente desiderabile. Le varie storie ammonitrici che abbiamo nominato, come Viale del tramonto, Bellissima, Re per una notte o perfino il Martin Eden di London, non scalfiscono davvero la desiderabilità di quelle vite. Gli scandali, le cadute in disgrazia, i burnout dei famosi poco importano al grande pubblico che continua a invidiare e bramare quella condizione. Per un motivo molto semplice: proprio come la fama in sé, i suoi lati negativi sono esperienze estranee al pubblico. È un po’ la storia del ricco che dice “i soldi non fanno la felicità” e il povero che risponde “sì, ma intanto dammeli”.
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Nel Novecento la ‘lagna del famoso’ diventa una sorta di sottogenere letterario, diffuso trasversalmente in tutti i media, come abbiamo avuto già modo di vedere: rockstar che sputano nel piatto in cui mangiano, registi che rappresentano le ‘logiche spietate’ dello showbusiness, scrittori che perdono l’anima appena raggiungono il successo. Non importa con quanta insistenza le celebrità parlino degli aspetti negativi della loro condizione, il volgo da quell’orecchio è sordo. Possiamo infatti leggere la seconda metà del Novecento come il periodo in cui la promessa della fama diventa una delle principali armi di seduzione che il mondo dello spettacolo usa verso i suoi spettatori e le sue spettatrici.
(continua in libreria…)
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Fotografia header: Alessandro Lolli, credit Ufficio Stampa effequ