Gloria Anzaldúa (1942-2004), poetessa, teorica femminista-queer, nella sua pietra miliare, “Terra di confine La frontiera”, ha rivoluzionato l’idea di donna e di confine, con un’autobiografia carnale, variegata e bruciante – Su ilLibraio.it proponiamo un estratto, in cui si è soffermata sulla necessità di una “nuova mascolinità”

Gloria Anzaldúa, nata nel 1942 nella Valle del Rio Grande, nel Texas meridionale, è stata poetessa, teorica femminista e autrice di narrativa. Venuta a mancare nel 2004, si definì queer, chicana texana, patlache (parola nahuatl per lesbica).

Terre di confine

L’autrice ha fornito un quadro chiaro e unico dell’esperienza femminile: visioni decoloniali femministe, queer, neo-meticce e neo-tribali. Una vita trascorsa a cavalcioni sulla frontiera messicano–americana, dove si incontrano diverse lingue, sapori e saperi.

Terre di confine/La frontiera (Black Coffee, traduzione di Paola Zaccaria) è la pietra miliare della produzione di Gloria Anzaldùa. In originale Borderlands, è allo stesso tempo un’autobiografia e un manifesto politico (e poetico).

Nel libro l’autrice parla del periodo che ha trascorso sulla frontiera messicano-statunitense, rivoluzionando il concetto di confine, inteso non come barriera, ma come luogo dove ogni outsider è libero di essere e di affermarsi. In questo volume, Anzaldúa supera il dualismo uomo/donna e propugna una moltitudine di lingue, di realtà, di culture.

Su ilLibriao.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

«Sei solo una donna» significa che ti manca qualcosa. È l’opposto di essere un macho. Il significato moderno della parola «machismo», come il concetto stesso, è in realtà un’invenzione anglo. Per un uomo come mio padre essere «macho» significava essere abbastanza forte da proteggere e mantenere mia madre e noi, ed essere comunque capace di mostrare amore. Il macho di oggi non è più sicuro della propria capacità di nutrire e proteggere la famiglia. Il suo «machismo» è un adattamento all’oppressione, alla povertà, alla scarsa stima di sé. È il prodotto del dominio gerarchico maschile. L’anglo, sentendosi inadeguato, inferiore e senza potere, disloca o trasferisce questi stati d’animo sul chicano, umiliandolo. Nel mondo dei gringo, il chicano soffre di eccessiva umiltà e autocancellazione, di vergogna e autosvalutazione. Tra i latinos, soffre nel sentirsi linguisticamente inadeguato, con conseguente sensazione di disagio; con i nativi americani, soffre di amnesia razziale che gli fa dimenticare il sangue comune, e prova sensi di colpa perché la sua ascendenza spagnola si è impossessata della loro terra e li ha oppressi. Ha una hubris ipercompensatoria quando sta con i messicani dell’altro lato. Essa si sovrappone a una profonda sensazione di vergogna razziale.

Nel macho la perdita del senso di dignità e rispetto genera un falso machismo che lo induce a disprezzare le donne e perfino essere violento con loro. Questo comportamento sessista coesiste con un amore per la madre che viene prima di qualsiasi altro. Figlio devoto, porco maschilista. Per lavare la vergogna delle sue azioni, del suo stesso essere, e per fare i conti con la bestia nello specchio, ricorre alla bottiglia, alla sniffata, alla siringa, al pugno. Anche se «capiamo» le cause profonde dell’odio e della paura maschile, e le conseguenti offese alle donne, non perdoniamo, non assolviamo, non siamo più disposte a tollerarle. Dagli uomini della nostra razza esigiamo ammissione/riconoscimento/rivelazione/testimonianza del fatto che ci feriscono, ci violano, hanno paura di noi e del nostro potere. C’è bisogno che dichiarino una volontà di porre fine al modo di agire che ci ferisce e mortifica. Ma più che parole, esigiamo azioni. Diciamo: costruiremo una parità di potere con voi e con coloro che ci hanno umiliati.

È assolutamente necessario che le mestizas si aiutino tra loro per cambiare gli elementi sessisti della cultura messicano-indiana. Fin quando le donne verranno offese, verranno offesi l’indiano e il nero in tutti noi. La lotta della mestiza è in primo luogo una lotta femminista. Fino a quando los hombres penseranno che per essere uomini devono chingar mujeres e gli altri, finché verrà insegnato agli uomini che sono superiori e quindi culturalmente privilegiati rispetto a la mujer, finché essere una vieja sarà motivo di derisione, non potrà esserci alcuna vera guarigione della nostra psiche. Abbiamo fatto dei passi avanti – abbiamo tutto questo amore per la Madre, la buona madre. Il prossimo passo è disimparare la dicotomia puta/virgen, e vedere Coatlalopeuh/Coatlicue nella Madre, Guadalupe.
La tenerezza, segno di vulnerabilità, è così temuta che viene riversata sulle donne con insulti e botte. Gli uomini, ancor più delle donne, sono incatenati ai ruoli sessuali. Almeno le donne hanno avuto l’ardire di rompere questa schiavitù. Tra gli uomini, solo i gay hanno avuto il coraggio di esporre se stessi alla loro componente femminile e sfidare la mascolinità corrente. Ho conosciuto, in alcuni isolati e rari casi, uomini eterosessuali gentili, l’inizio di una nuova specie, ma sono confusi, invischiati in comportamenti sessisti che non sono riusciti a sradicare. Abbiamo bisogno di una nuova mascolinità, e l’uomo nuovo ha bisogno di un movimento…

(continua in libreria…)

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