“Morgana – Il corpo della madre” è il terzo e ultimo volume che chiude il progetto “letterario e politico” a cui Michela Murgia e Chiara Tagliaferri hanno dato vita nel 2019 attraverso un podcast di grande successo, poi diventato il primo libro della celebre serie – Su ilLibraio.it la prefazione di Tagliaferri
Morgana – Il corpo della madre, in libreria per Mondadori, è il terzo e ultimo volume che chiude il progetto “letterario e politico” a cui Michela Murgia e Chiara Tagliaferri hanno dato vita nel 2019 attraverso un podcast di grande successo (Storielibere.fm) che è poi diventato il primo libro della celebre serie: Morgana.
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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, qui di seguito proponiamo la prefazione di Chiara Tagliaferri, che introduce i temi di questo terzo libro.
La cosa che più ricordo, e mi manca, di Michela Murgia è che faceva molto ridere, e riusciva a trasformare ogni cosa in letteratura.
Lo ha fatto, per esempio, con i fenicotteri di Villa Invernizzi a Milano. Lei che a nove anni, a San Giovanni di Sinis, collezionava piume di fenicotteri – lo racconta in Ricordatemi come vi pare: “Andavamo dove quegli uccelli rosa si nascondevano, li spaventavamo facendoli alzare e rubavamo le piume che cadevano dalla frenesia dello sbattere d’ali del volo” – sui pennuti acquatici la sapeva lunga.
Prima di conoscerla, ho sempre pensato che i fenicotteri milanesi dimorassero felici e rimanessero di loro sponte in zona Porta Venezia, come le ragazze di Myss Keta. Ogni volta che mi trovavo a passare in via Cappuccini spiavo quel giardino segreto: li vedevo tutti rosa, elegantissimi, intuendo una felicità che attribuisco spesso erroneamente alle cose che suonano bene, anche solo per la bellezza che emanano.
Avevo persino controllato la vita media di un fenicottero: possono campare serenamente cinquant’anni. E visto che Romeo Invernizzi, proprietario della villa e papà dei fenicotteri, è morto nel 2004, pensavo che – come quei cani che vegliano le tombe dei loro padroni – loro rimanessero in quel santuario da lui approntato per affezione e pigrizia, pettinati ogni giorno e nutriti con piccoli gamberetti rosa chiamati “scimmie di mare”, utili a ravvivare il piumaggio sgargiante (garantisco che in foto vengono più in technicolor dei loro amici della Camargue).
Questo, finché un giorno Michela e io siamo passate da quelle parti. Io le ho detto: «Aspetta, faccio una foto ai fenicotteri», e lei è scoppiata a ridere dicendo: «Solo tu puoi trovare romantici degli uccelli migratori con le ali clippate».
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Avendo vissuto per buoni quarant’anni senza sapere niente del clipping, le ho risposto che mi voleva rubare i sogni, e che non poteva sindacare la libertà di scelta di un fenicottero, che magari preferiva il centro di Milano alle lagune salmastre francesi. Per amore si fanno cose bizzarre.
Lei però mi ha risposto: «Esiste un solo modo di non far volare via un uccello migratore, ed è spuntargli le ali. Ogni domesticazione è violenta. Siamo tutte clippate, da qualche parte».
Aveva ragione: le penne dei fenicotteri di Villa Invernizzi vengono spuntate costantemente per impedire loro di volare via, e io negli anni ho accumulato cartoline, calamite e peluche a forma di fenicottero, perché ogni volta che Michela trovava una qualche riproduzione del pennuto, me la regalava (prendermi per i fondelli la divertiva molto).
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Anche le nostre Morgane conoscono il clipping, ma con i loro corpi – seppure mutilati – hanno combattuto pregiudizi di etnia, di genere e di classe per creare fratture capaci di allargare prospettive e visioni, dandoci nuove possibilità di essere, moltiplicando all’infinito le categorie in cui vorrebbero infilarci.
Così in questi ultimi anni abbiamo raccontato donne e uomini che hanno scelto di non considerare mai il proprio corpo come un limite e persone che non avrebbero voluto, potuto e forse nemmeno dovuto essere madri, eppure lo sono state, talvolta fuori e talvolta contro il canone, esprimendo della maternità anche il lato più feroce e oscuro. Mentre ragionavamo su queste madri che forse non avremmo voluto per noi ma, come sempre, compiacerci non è mai stata una loro preoccupazione, Michela aveva iniziato a pensare alla prefazione del libro mandandomi queste righe: “La madre è sempre certa e nella vita ce n’è una sola, o almeno questo è quello che abbiamo imparato a pensare, inchiodate all’incontrovertibilità della biologia. La maternità pensata in questi termini è una scarpa stretta dove tutte prima o poi abbiamo dovuto spezzarci un dito per riuscire a entrare, persino quando i figli non li abbiamo fatti.
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Lo stereotipo della maternità mitica produce solo madri inadeguate, perché nessuna riesce a portarci dentro per intero la propria irripetibile individualità, compresa di fatica, di frustrazione, di limiti e di sogni che il mondo intorno continua a chiamare egoismi. La mitologia della madre uccide quotidianamente le madri e mai come oggi il mondo è pronto a lodare il martirio delle donne per meglio giudicare le vite che al martirio non si adeguano”.
In questo terzo volume troverete Morgane terroriste, ragazzine che arrivano da Nazaret per cambiare il mondo, madri che non smettono di marciare intorno all’obelisco di Plaza de Mayo, scrittrici senza corpo o rinchiuse in campane di vetro, pioniere del femminismo e della chirurgia estetica… Le loro storie mostrano un mondo liberante ricco di fecondità alternative, tutte diverse, nel quale nessuna è una madre migliore o peggiore delle altre.
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Troverete anche Michela Murgia (nessuna più di lei è una Morgana), e mi piace da matti immaginare che venga studiata insieme alle sue sorelle in un’enciclopedia come questa, perché come ha detto lei: «Siamo cresciute con in casa i volumi dell’Enciclopedia della donna, il manuale della perfetta padrona di casa. Ci piace pensare che un’enciclopedia di Morgane possa riparare a molti dei danni derivati dall’aver costretto le donne a immaginarsi per anni dentro a un unico percorso».
Poco prima del 10 agosto 2023, in una delle nostre conversazioni su WhatsApp, Michela Murgia mi ha scritto: “Non finisco mai di meravigliarmi della quantità di storie straordinarie di donne, che anche quando sono arrivate alla fama al loro tempo, sono poi state dimenticate dopo. La grandezza delle donne è come se non producesse permanenza. È pieno di storie incredibili. Non basterebbe la nostra vita per raccontarle tutte”.
Le ho promesso che non avrei smesso di raccontare, perché noi siamo e saremo sempre Michela Murgia e Chiara Tagliaferri.
Chiara Tagliaferri, luglio 2024
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