Attivista inglese per il cambiamento climatico e cofondatore del movimento Extinction Rebellion, Roger Hallam è l’autore di “Altrimenti siamo fottuti”, un saggio che sottolinea l’importanza della disobbedienza civile non violenta nella lotta al riscaldamento globale… – Su ilLibraio.it un estratto dal libro

Attivista per il cambiamento climatico, Roger Hallam, inglese, classe 1966, è l’autore del saggio Altrimenti siamo fottuti (Chiarelettere, traduzione di Elena Cantoni), un pamphlet che mira a sottolineare l’importanza della disobbedienza civile all’interno dei movimenti di protesta legati al riscaldamento globale.

Roger Hallam Altrimenti siamo fottuti cambiamento climatico

In Altrimenti siamo fottuti Hallam evidenzia la disobbedienza civile non violenta come l’unico strumento possibile per indurre la politica ad agire contro il cambiamento climatico, prima che sia troppo tardi; non solo, si sofferma anche sull’inefficacia del riformismo neoliberista, che negli ultimi anni si è rivelato inadatto a gestire il problema, anche a causa del ruolo giocato dall’industria dei combustibili fossili nel diffondere il negazionismo riguardo all’origine antropica del riscaldamento globale.

Si tratta di un argomento quanto mai attuale, imposto all’attenzione dei media dalla giovane Greta Thunberg, dagli scioperi scolastici dei Fridays For Future e da manifestazioni di attivisti come quelle di Extiction Rebellion, un movimento noto con la sigla XR e fondato proprio da Roger Hallam e Gail Bradbrook, nel aprile 2018, in Inghilterra; XR si è poi diffuso rapidamente in diversi altri paesi del mondo, compresa l’Italia, anche grazie al sostegno espresso da personaggi come la stessa Greta Thunberg, ma anche personalità del mondo letterario, come la scrittrice Margaret Atwood.

Non diversamente da quanto messo in atto da Extinction Rebellion, il saggio di Roger Hallam poggia le sue fondamenta sulla mobilitazione di una disobbedienza civile di massa e pacifica, i cui partecipanti siano pronti anche a farsi arrestare, pur di costringere i governi a intervenire contro il cambiamento climatico, una forma di protesta che l’autore conosce molto bene e a cui ha preso parte in prima persona, durante le diverse manifestazioni organizzate da XR.

Altrimenti siamo fottuti offre un compendio dell’attuale situazione, esponendo quanto fatto finora per contenere la crisi, evidenziando l’efficacia delle proteste degli attivisti e quanto ancora sarebbe possibile ottenere se più cittadini partecipassero alla lotta: con un approccio divulgativo e che prende ampio spunto dalla sua esperienza personale, Hallam si rivolge al lettore con il dichiarato intento di spronarlo ad agire, nella consapevolezza che il tempo sta scadendo e, se lo stato delle cose non cambia, siamo davvero fottuti

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un capitolo del saggio:

Riformismo versus rivoluzione politica

Dalle riforme alla ribellione

Nella cultura politica delle democrazie occidentali si sta producendo il passaggio da un assetto riformista a uno rivoluzionario. Non è più possibile salvare il mondo con una strategia dei piccoli passi, tipica dell’approccio riformista. Oggi serve una sollevazione politica di massa. La mia non è una rivendicazione di carattere ideologico, ma una considerazione di natura sociologica, basata sui fatti. Ne è riprova la sconvolgente incapacità della classe politica riformista di predire quasi tutti i più importanti rivolgimenti politici degli ultimi anni.

Partiamo, per esempio, dalla Primavera araba, che ha clamorosamente smentito il preconcetto secondo il quale le popolazioni non si sarebbero mai ribellate alle dittature, e meno che mai le avrebbero sconfitte. Abbiamo poi assistito all’ascesa fulminea di nuovi partiti di sinistra in Grecia e Spagna, passati nel giro di due anni da zero al 30, 40 per cento delle preferenze elettorali. A seguire abbiamo visto la «sconcertante» vittoria del leader del Partito laburista britannico Jeremy Corbyn e la strabiliante campagna elettorale di Bernie Sanders, che è riuscita a mobilitare due milioni di cittadini americani sotto la bandiera della rivoluzione politica. Per non parlare dell’ancora più inaspettata vittoria di Donald Trump nel 2016.

L’approccio del riformismo (e con questo non intendo formulare alcun giudizio morale) presuppone che le migliori probabilità di successo si ottengano procedendo per gradi e chiedendo il «minimo» ai sostenitori. La logica è che esso sia più credibile, perché permette di conseguire dei risultati, seppur graduali. Il corollario, dunque, è che avanzare richieste radicali o rivoluzionarie non sia verosimile, che non porti da nessuna parte e che, in definitiva, sia un sistema inefficace rispetto a quello riformista.

È una tesi che regge in una situazione di consenso diffuso e di generale stabilità sociale, in cui i problemi si possono risolvere pian piano, affrontandoli uno per volta.

Da un punto di vista sociologico, però, non tutti i contesti manifestano i tratti distintivi di una cultura politica riformista. Alcuni hanno un sostrato rivoluzionario, riconoscibile dalla delusione e dalla sfiducia dilaganti nei confronti di chi è al potere e dall’alto grado di repressione sociale. La gente fa quel che le viene imposto, ma controvoglia. Questo spiega la miopia dimostrata negli ultimi tempi dagli analisti convenzionali nel prevedere i risultati delle interpellanze elettorali: essi scambiano per adesione al riformismo la mancanza di sussulti rivoluzionari che invece è motivata dalla repressione.

Appena la spinta rivoluzionaria trova una valvola di sfogo, si verifica un evento politico non lineare, cioè in contraddizione con la logica che l’ha preceduto. Così, quando politici come Corbyn propongono un programma radicale giudicato «non credibile», il sentore del cambiamento apre una prospettiva politica in grado di galvanizzare un ampio numero di persone.

Extinction Rebellion è stata fondata nell’aprile del 2018 per «dire la verità» sui cambiamenti climatici e l’emergenza ambientale, e per «agire di conseguenza». Anche in questo caso l’approccio era stato liquidato come non plausibile, eppure la proposta ha riscosso un vasto consenso. È accaduto nell’ambito delle campagne di sensibilizzazione e dei movimenti sociali invece che dei partiti politici, ma il concetto è lo stesso.

Extinction Rebellion ha detto apertamente ciò che molte persone pensavano già, e ha indicato una strada per cambiare le cose: «Per sventare il rischio di estinzione innescato dalla crisi ecologica, urge un’azione collettiva radicale di rivolta contro i governi».

Era convinzione diffusa – espressa anche dalla direttrice esecutiva di Greenpeace quando l’ho incontrata due anni fa – che il nostro approccio mancasse di credibilità e che per questo fosse destinato a fallire.

Questa visione, tuttavia, si inquadra nell’approccio riformista che ha dominato la politica dal 1989 fino alla crisi finanziaria del 2007.

Oggi la situazione è cambiata.

Dalla verità all’azione

L’impegno a dire la verità e agire di conseguenza è in aperta contraddizione con il paradigma riformista, per il quale la verità va detta soltanto a piccole dosi, che risultino «digeribili» dall’opinione pubblica, e si decide di agire di conseguenza esclusivamente se si è certi di vincere (usando un approccio gradualista). È così, mentendo e impedendo azioni necessarie, che il riformismo finisce per connotarsi negativamente sul piano morale e spirituale. Qual è invece l’alternativa rivoluzionaria?

(Continua in libreria…)

Nota: la foto in alto è ©XRUK

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