Torna con il secondo numero la rivista digitale gratuita “Emersioni –  Incontri, testimonianze e domande sul grave sfruttamento lavorativo”, a cura di una redazione di ragazze under 26, e risultato di un laboratorio di scrittura gratuito (promosso da Città Metropolitana di Milano, insieme a CheFare e Codici). Su ilLibraio.it proponiamo un estratto, la storia di Mostafa, un ragazzo trentacinquenne egiziano…

Torna con il secondo numero la rivista digitale gratuita Emersioni –  Incontri, testimonianze e domande sul grave sfruttamento lavorativo (che si può scaricare qui), questa volta dedicata a un tema purtroppo attualissimo, quello dello sfruttamento lavorativo.

A creare la rivista, una redazione di ragazze under 26, guidate dal giornalista Giuliano Battiston.

Emersioni è il risultato di un laboratorio di scrittura gratuito nato per indagare e raccontare, attraverso un lavoro redazionale e sul campo, temi complessi legati al grave sfruttamento sul lavoro.

La pubblicazione è promossa da Città Metropolitana di Milano insieme all’agenzia per la trasformazione culturale cheFare e all’organizzazione indipendente di ricerca e trasformazione sociale Codici ricerca e intervento, nell’ambito del progetto a supporto di persone vulnerabili Derive e Approdi.

Quattordici ragazze hanno dato voce a storie ed esperienze del territorio, da Milano a Legnano, passando per Gorgonzola, Busto Arsizio, l’hinterland e arrivando anche a toccare, simbolicamente, le rotte migratorie dal Bangladesh e Nord-Africa.

Raccogliendo informazioni e interviste tra case di accoglienza, mercati informali, uscite diurne e serali, le redattrici hanno affrontato gli aspetti psicologici, urbanistici, sociali ed economici che possono favorire lo sfruttamento, indagando le difficoltà a farlo emergere.

EMERSIONI

Emersioni è stata presentata il 24 ottobre presso l’impresa sociale Magma di Dergano, a Milano, dove, a seguito di un’introduzione istituzionale da parte della Città Metropolitana di Milano, la redazione ha condiviso la propria esperienza e partecipato a un dibattito su come comunicare temi complessi come lo sfruttamento lavorativo.

“La rivista è l’esito di un percorso di ricerca collettivo, di discussioni nella redazione e con le interlocutrici di Derive e Approdi, di un lavoro sul campo giornalistico, nei luoghi paradigmatici dello sfruttamento o della prevenzione. È il frutto di una continua riflessione sul linguaggio da usare o evitare e sul contesto economico e politico che favorisce il grave sfruttamento lavorativo”, ha spiegato Battiston, direttore editoriale di Emersioni.

Susanna Galli, P.O formazione, pari opportunità e terzo settore, ha portato i ringraziamenti della Direzione Politiche del Lavoro e Welfare, diretta dal dottor Federico Ottolenghi: “Anche quest’anno siamo orgogliosi dei risultati di questo progetto che vede protagonisti questi talentuosi ragazzi e ragazze. Ritengo sia importante che le istituzioni imparino ad ascoltare la loro voce, dando loro spazio e offrendo loro la chance di collaborare a progetti di valenza sociale e culturale. Con Derive e approdi abbiamo portato avanti, e per questo ringrazio tutti gli operatori e le operatrici, un lavoro importante sul tema dello sfruttamento lavorativo a livello territoriale. Parole e linguaggio rivestono un ruolo fondamentale e mi auguro che questo percorso possa continuare nel tempo. Sperimentare nuove strade e nuove modalità di interazione è per tutti noi una grande opportunità”.

Federica Vittori, responsabile progetti ed empowerment di cheFare, aggiunge: “Mettendo in contatto gli operatori e le operatrici della rete che ogni giorno sostiene persone vulnerabili e discriminate con un gruppo di ragazzi e ragazze interessati a imparare a raccontare tematiche sociali difficili, il progetto Emersioni offre una risposta concreta al bisogno di tradurre la complessità che ci circonda in maniera chiara e accessibile, ma non semplicistica”.

“Percorsi come quello di Emersioni ci ricordano quanto sia fondamentale mettere in dialogo punti di vista differenti su questioni complesse come quelle legate allo sfruttamento lavorativo. Chi lavora ogni giorno per prevenire e contrastare questo tipo di fenomeni ha bisogno di aiuto e di confronto per andare oltre i tecnicismi e le analisi rivolte agli addetti ai lavori. I diritti e la dignità riguardano tutti e tutte, e dobbiamo costruire insieme racconti e discorsi che siano accessibili ed efficaci senza banalizzare o appiattire vicende sociali estremamente articolate”, ha concluso Andrea Rampini, presidente di Codici.

Su ilLibraio.it proponiamo un estratto della rivista, la storia di Mostafa, un ragazzo trentacinquenne egiziano, già vittima di sfruttamento lavorativo, raccontata da Micol Motta:

EMERSIONI

a cura di Micol Motta

Mostafa è un ragazzo trentacinquenne egiziano, già vittima di sfruttamento lavorativo. Ha i capelli scuri e un bellissimo sorriso. Racconta di essere arrivato in Italia nel 2013 perché in Egitto era difficile trovare un lavoro con cui guadagnare abbastanza per vivere, ed era stanco della situazione. Il suo tragitto non è stato facile. Nel suo Paese di origine aveva trovato una persona che, così assicurava quell’uomo, lo avrebbe portato in Italia e gli avrebbe procurato il permesso di soggiorno e un contratto di lavoro. Così, prima del viaggio Mostafa lo ha pagato quattromila euro. Arrivato in Italia, quel signore non gli ha risposto per qualche giorno. Quando è riuscito finalmente a contattarlo, e prima che venisse insultato, quell’uomo gli ha detto che, per avere il permesso di soggiorno, Mostafa avrebbe dovuto dargli altri mille euro. Mostafa avrebbe fatto di tutto, persino lavorare gratis, ma non ha ottenuto nulla. Più tardi lo ha denunciato, ma quell’uomo era già scappato in Inghilterra.

«I primi anni sono stati molto difficili», racconta oggi Mostafa, che abbiamo incontrato a Milano. In quegli anni viveva da solo in un Paese di cui non conosceva la lingua, senza amici e senza la possibilità di tornare a casa dalla famiglia, che ha potuto visitare solo l’anno scorso, dopo quasi dieci anni. A Mostafa «piace lavorare in regola», ma ha dovuto accettare diversi lavori e situazioni irregolari, tra cui fare consegne in motorino senza una patente valida, avere un contratto da quattro ore lavorative e farne dieci effettive, vivere con 300 o 400 euro al mese. Ha dovuto accettare, spiega, perché «se non lavori non mangi». Grazie a lui ha avviato una pratica attraverso cui, alcuni mesi dopo, ha avuto un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, da rinnovare ogni tre mesi, per quasi un anno. Una situazione che lo ha molto amareggiato: «Sono esaurito. Vado là ogni tre mesi, rinnovo. Non riesco a tornare nel mio Paese, non riesco a trovare la mia famiglia, non riesco a lavorare, non riesco a fare niente».

Mostafa ha poi trovato un avvocato, che «però voleva solo soldi e non faceva niente». In seguito, ha preso un appuntamento alla Casa dei diritti, la struttura del comune di Milano che fornisce servizi per promuovere e garantire i diritti umani e di cui scriviamo altrove su questa rivista.  Lì tra il 2018 e il 2019 ha conosciuto Daniela, Paola e Alice, che hanno seguito il suo caso.  Raccontando loro la sua storia, ha ottenuto un permesso di soggiorno di sei mesi per “casi speciali”, quei permessi che vengono dati alle vittime di tratta, violenza o grave sfruttamento lavorativo. Poi ha avuto un permesso di un anno. Nel momento di maggiore bisogno gli è stata anche assegnata una casa, gratuitamente per sei mesi. «Questa casa veramente mi ha salvato», afferma sicuro. Ora che è uscito dal progetto di “emersione” sostiene che «grazie non basta». Sa che può ancora trovare sostegno, in caso di bisogno. Anche adesso «li trovo sempre vicini, sempre con la porta aperta».

Tra chi lascia sempre la porta aperta c’è anche Grazia, che ha conosciuto due anni fa, quando lo ha accompagnato in questura. Grazia è una donna molto solare e disponibile, ha 30 anni, i capelli scuri e fa l’educatrice per Comunità Progetto, una cooperativa che «opera dove serve», attraverso progetti rivolti ai minori, agli adulti, a persone con disabilità o fragilità e ai loro famigliari. L’obiettivo prioritario è l’inclusione. Grazia lavora nell’ambito del progetto Derive e Approdi da quattro, cinque anni, cercando di indagare e contrastare il fenomeno della tratta e dello sfruttamento di esseri umani nelle aree di Milano, Como, Monza Brianza, Varese e Sondrio.

Con Mostafa e Grazia, che incontriamo insieme, ragioniamo sugli strumenti per evitare lo sfruttamento lavorativo. Mostafa crede che, soprattutto per persone che vengono dall’estero, la fiducia, trovare qualcuno che mantenga la parola, e la conoscenza dell’italiano siano strumenti indispensabili. Grazia si sofferma su un altro aspetto. Per lei, infatti, quel che manca è la prevenzione, la capacità di intercettare i truffatori, coloro che sfruttano le persone vulnerabili. Ritiene inoltre che vada rafforzata l’informazione, obiettivo sul quale si stanno impegnando anche le istituzioni a Milano: «Con le cosiddette ‘informative’, si va nei centri di accoglienza per gli stranieri a spiegare che cos’è lo sfruttamento lavorativo. In questo modo le persone sanno. Anche se chi è lì non parla italiano, c’è comunque un  mediatore linguistico», spiega Grazia.  «Anche solo sapere che c’è questa possibilità è già qualcosa. Poi però bisogna avere la capacità di proteggere».

Solo quando ci si sente protetti, sicuri, si può infatti immaginare e costruire il futuro. Come dimostra il caso di Mostafa, che spiega: «Voglio essere titolare del mio lavoro, perché mi sono stancato della gente». Mostafa ne ha passate tante, ma è rimasto una brava persona, piena di gratitudine, fiducia e amore per chi se lo merita. Il suo sorriso è ancora contagioso e pieno di gioia.

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