“La nostra scuola stava male da molto, molto prima: la dad ha solo portato alla luce quello che già sapevano in tanti…”: su ilLibraio.it l’amara riflessione di Enrico Galiano, insegnante e scrittore
Non è la didattica a distanza, il male. Forza, su, diciamolo con forza: non è la didattica a distanza, il male. La nostra scuola stava male da molto, molto prima: la dad ha solo portato alla luce quello che già sapevano in tanti.
Che cosa? Che la nostra scuola è un ospedale che cura i sani e abbandona i malati. E questo succede da quando Lorenzo Milani scriveva questa frase, quindi quasi sessan’tanni fa.
È cambiato qualcosa, da allora? Sì, credo di sì: ma poco. Nella nostra scuola, o hai la fortuna di nascere in contesti famigliari e sociali di un certo tipo, o di avere una certa predisposizione naturale verso lo studio, se no ci sono molte probabilità che verrai respinto, prima o poi. Oppure a un certo punto ti faranno passare la voglia di andarci, e allora abbandonerai.
Se non verrai respinto, verrai molto gentilmente accompagnato alla porta di una scuola professionale a breve termine. Meglio se brevissimo.
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Lo dico io, spinto da spirito polemico? No, lo dicono i numeri. Ovvio che la dad rende tutto più difficile, oltre che abbastanza infernale la vita di molti studenti: ma pensare che la causa dell’attuale rialzo dell’abbandono scolastico sia della dad è come dire che la causa di una ferita è il cerotto. Per restare nella metafora: siamo tutti d’accordo che il cerotto è troppo piccolo, si stacca di continuo, esce sempre sangue (scusate il momento splatter). Ma quella ferita è lì da molto, troppo tempo.
Ed è da anni che ve lo diciamo, noi che ci siamo dentro. Anni che vi diciamo: ragazzi, con trenta studenti per classe non puoi insegnare, al massimo se sei bravo puoi evitare che qualcuno si faccia male (ma non sempre sei così fortunato).
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Anni che vi diciamo: ehi, ci servono insegnanti di sostegno: se hai in classe due studenti con disturbi specifici dell’apprendimento, tre con bisogni educativi speciali e due con disabilità, mi dici cosa diamine si può fare, oltre che evitare che qualcuno si faccia male?
Anni che vi diciamo: scusate, ma se nella scuola investi meno risorse di tutti gli altri Paesi, mi dite come come si fa a pretendere di avere poi studenti migliori degli altri?
Anni che vi diciamo: possiamo cambiare un po’ il sistema di reclutamento? Dai, vediamo almeno come va, no? A inserire criteri decisivi come competenza e motivazione, a creare un sistema che valuti davvero le capacità e non solo i titoli.
Ma niente. La sensazione che ne abbiamo un po’ tutti, qui dentro, è che si pensi solo all’oggi. A mettere toppe, dove si può. E non è colpa del Ministero preposto: è proprio un problema sociale, perché nessuno ha il coraggio di dire l’unica cosa sensata da dire, e cioè: togliamoci tutti qualcosa, ma raddoppiamo gli investimenti nella scuola e nella ricerca. Facciamo vedere a ragazzi e ragazze che davvero ci importa di loro. Avremo mai il coraggio di farlo?
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L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti ora è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande (Garzanti).
Alla pagina dell’autore tutti gli articoli scritti da Galiano per ilLibraio.it.