Stando a un recente sondaggio, ben 7 docenti su 10 si dicono contrari alla valutazione del proprio operato. Enrico Galiano, insegnante e scrittore, si rivolge ai suoi colleghi: “Noi che passiamo la vita a valutare gli altri, poi appena appena si adombra l’ipotesi di essere valutati ci ritraiamo inorriditi…”

Io voglio essere valutato.
Mi piace l’idea che ci sia qualcuno che mi dica se sto facendo bene o se sto facendo male.
Lo vorrei proprio qualcuno che mi mostra dove sbaglio, dove posso migliorarmi, dove invece vado forte.

Eppure.

Eppure pare che un sacco di miei colleghi non la vedano proprio così. Un recente sondaggio svolto dalla rivista Tecnica della scuola dice anzi che ben 7 docenti su 10 si dicono contrari alla valutazione del proprio operato. La mia speranza è che sia un sondaggio fatto male, insomma non rispondente alla realtà.

Ma se fosse?

Posso comprendere le motivazioni di questa risposta: e chi mi valuta? Chi lo fa è preparato a farlo? Lo sa fare bene? E se poi chi mi valuta ha dei motivi per avercela con me? O addirittura se per qualche motivo che io ignoro vuole proprio mettermi i bastoni fra le ruote?

Tutte domande che hanno un senso. Ma a me viene da chiedere: e i nostri studenti, credete che non se le facciano, pare pare? Credete non soffrano l’idea di essere costantemente sotto la spada di Damocle del voto?

Anche loro hanno paura – e in certi casi pure la sensazione più che fondata – che chi li giudica non lo faccia come si deve. Anche loro subiscono l’ingiustizia a volte di essere sottovalutati dai loro insegnanti, e in questo modo poi penalizzati e demotivati.

Insomma è un paradosso: noi che passiamo la vita a valutare gli altri, poi appena appena si adombra l’ipotesi di essere valutati ci ritraiamo inorriditi. Certo non tutti: ma sette su dieci mi sembrano francamente troppi.

E invece ne avremmo bisogno: siamo una delle poche categorie che gode di una sorta di intoccabilità. È vero che siamo sempre sotto l’osservazione stretta dei nostri studenti, ma dobbiamo avere l’onestà di ammettere che è una posizione sbilanciata in cui noi deteniamo sempre il coltello o, per essere più precisi, il registro dalla parte del manico.

Dopo l’anno di prova alla fine del precariato è tutta prateria, per noi: nessuno che ci possa mettere per iscritto se stiamo andando bene o male, cosa dobbiamo curare di più, cosa perfezionare. A meno che non combiniamo guai grossi, è tutto riposto nella nostra buona volontà di migliorarci oppure no, di tenerci al passo o riproporre per trent’anni sempre le stesse identiche lezioni.

Per cui sì, per favore sì, mille volte sì: a patto ovviamente che chi lo fa sia competente in materia e non qualcuno che non ha mai messo piede in una classe, ma date anche a noi una valutazione.
Per darci una mano a fare meglio il nostro lavoro, non per altro. Sarebbe finalmente ora.

L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi (tutti pubblicati da Garzanti) Eppure cadiamo feliciTutta la vita che vuoi e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande. Il suo nuovo romanzo, in uscita a giugno 2021, è Felici contro il mondo (Garzanti), seguito del bestseller Eppure cadiamo felici.

Alla pagina dell’autore tutti gli articoli scritti da Galiano per ilLibraio.it.

 

 

 

 

 

Abbiamo parlato di...