Torna su ilLibraio.it la rubrica di Gino Roncaglia, tra i massimi esperti di editoria digitale. E dopo aver fatto discutere con le precedenti riflessioni sul self-publishing, torna ad argomentare sul tema, allargando il discorso ai meccanismi di scoperta e selezione dei titoli. Roncaglia analizza, tra le altre cose, il ruolo e l’evoluzione del colosso Amazon (e del suo algoritmo, che “fino a quattro o cinque anni fa mi conosceva benissimo…”, mentre ora…) – L’analisi

Eccoci dunque al terzo appuntamento con il tema del self-publishing. Il secondo intervento ha suscitato un bel dibattito (segnalo in particolare gli interventi di Loredana Lipperini – con i relativi commenti – e di eFFe), caratterizzato però da un aspetto curioso: al centro della discussione, più che l’articolo in sé, è stato soprattutto il tema che, emerso nel corso dell’articolo, avevo però riservato a questo terzo intervento e avevo dunque solo enunciato: quello dei meccanismi di scoperta e selezione dei titoli. Ed è per me assai confortante che sia Loredana sia eFFe, ‘anticipando’ questo intervento, arrivino a conclusioni abbastanza vicine a quelle che cercherò di trarre io: il lavoro che mi aspetta in questo articolo non parte dunque da zero, e può contare su aiuti preziosi.

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Ma andiamo con ordine. La considerazione dalla quale eravamo partiti è che il self-publishing ha un innegabile effetto di (consistente) crescita nel panorama di titoli a disposizione del lettore. Conseguenza desiderabile, sostengono alcuni, perché allarga l’accesso al mercato editoriale, arricchisce e differenzia l’offerta, elimina filtri non sempre basati su valutazioni qualitative e disinteressate, consente la scoperta di nuove voci e la sperimentazione di nuovi linguaggi. Conseguenza nefasta, obiettano altri, perché l’inflazione di nuovi autori e nuovi testi – in maggioranza di bassissima qualità – disorienta il lettore, alimenta la caccia alle recensioni e valutazioni positive (a loro volta spesso assai poco disinteressate), abbassa il livello complessivo del panorama editoriale, porta a far smarrire – ancor più di quanto già non accada nel mercato editoriale tradizionale – i pochi titoli validi nella massa dei molti titoli che sarebbe meglio dimenticare: l’eccessiva quantità rischia insomma di nascondere la qualità.

Sia le opinioni degli uni sia quelle degli altri meritano a mio avviso attenzione e rispetto; non solo perché attenzione e rispetto sono sempre consigliabili, ma anche e soprattutto perché il mondo non è in bianco e nero ed entrambi gli schieramenti hanno, credo, almeno in parte ragione.

Per approfondire la questione, vorrei partire da una considerazione direttamente legata alla mia esperienza personale di lettore (e, in questo caso, di utente di Amazon): ho detto fin dall’inizio che questi articoli sarebbero stati un osservatorio soggettivo e non necessariamente neutrale, e ho tutta l’intenzione di tener fede a questa promessa.

Amazon ha vent’anni abbondanti, ma da noi si è cominciato davvero a parlarne una quindicina di anni fa, più o meno in contemporanea con l’esplosione dell’interesse per internet da parte del grande pubblico. All’affacciarsi dell’idea della vendita di libri on-line, la reazione di molti (troppi) soggetti anche autorevoli della filiera del libro è stata quella di nascondere la testa sotto la sabbia. Inutile preoccuparsi – dicevano – il libro non si venderà mai bene on-line, quello dei lettori con i libri è un rapporto speciale, e solo chi capisce bene, molto bene, sia i lettori sia i libri può avvicinare il giusto libro al giusto lettore. Sostituire un algoritmo al consiglio personale del libraio? Eresia. Anzi, pura e semplice assurdità. Ricordo benissimo il paragone un po’ irriverente ma rivelatore di un amico libraio, quando si cominciava ormai a parlare di un possibile sbarco di Amazon anche in Italia: pensare che Amazon possa sostituire le librerie, o anche solo impensierire le librerie, è un po’ come pensare che un computer possa sostituire un sacerdote nel dir messa e confessare.

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L’argomento non mi convinceva affatto. Forse perché – nato e vissuto fra i libri – l’idea che la religione della lettura si affidasse necessariamente a una ristretta casta di sacerdoti (fossero essi editori, librai o bibliotecari) mi convinceva poco. Nella mia esperienza quelle figure – preziose e degne di incondizionata gratitudine e ammirazione – erano tuttavia facilitatori, non somministratori. Mi avvicinavano ai libri che volevo leggere, ma non li sceglievano per me. La scelta dei libri da leggere era il frutto dell’esercizio di una facoltà di percezione e selezione del tutto peculiare, allenata con l’esperienza, legata a una pluralità complessa di voci e di suggestioni – spesso casuali o imprevedibili – provenienti da altri libri, da parenti, da amici: non da una ristretta casta sacerdotale o dal libraio amico (e avevo molti amici librai!), ma da una conversazione allargata e plurale. Internet mi appariva chiaramente come strumento e luogo di conversazioni: perché dunque pensare che non potesse essere anche luogo attraverso cui raccogliere suggestioni su libri da leggere e da comprare? E perché, se una parte almeno di quella conversazione si spostava in rete, il comportamento d’acquisto si sarebbe dovuto invece comunque e necessariamente rivolgere alla libreria fisica?

A questo argomento se ne era affiancato ben presto un altro, formidabile. Man mano che cominciavo a comprare libri su Amazon (il mio primo ordine è registrato su Amazon.com il 12 aprile 1997, ben prima dello sbarco di Amazon in Italia, e il sito conserva ancora ogni dettaglio sui libri che avevo comprato in quell’occasione), Amazon imparava a conoscermi. Gli algoritmi di filtraggio collaborativo paragonavano i libri che acquistavo e le pagine che visitavo con i libri acquistati e le pagine visitate da altri utenti, stabilivano correlazioni, individuavano somiglianze. Molti utenti ‘simili a me’, che come me avevano comprato e apprezzato i libri A, B, C, D… erano interessati al libro X o all’autore Y, che io sembravo non conoscere: Amazon me lo segnalava. Più la base di utenti di Amazon cresceva (e più crescevano le mie navigazioni e i miei acquisti), più queste correlazioni diventavano significative, più le segnalazioni diventavano precise e affidabili. La trasformazione di un reticolo di relazioni complesso e articolato, delle interazioni, dei commenti di migliaia di lettori in suggestioni e suggerimenti era incredibilmente più efficace dei consigli di qualunque singolo libraio. Amazon non solo sapeva dare consigli altrettanto ‘personalizzati’ e competenti: lo faceva infinitamente meglio.

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Figura 1 – Memorie on-line: Amazon ricorda perfettamente i miei primi acquisti (e io sembro quasi una persona seria)

Grande fratello? Può darsi, ma prezioso: scoprivo libri insospettati su temi che pensavo di conoscere benissimo, libri affascinanti su temi affascinanti di cui non sapevo nulla (chi ha mai detto che la serendipity non possa operare anche in rete?), libri adatti allo stato d’animo o agli interessi del momento. Il mio conto in banca ne risentiva, ma come lettore avevo scoperto uno strumento meraviglioso.

Ora, attenzione: il mio scopo non è quello di tessere le lodi di Amazon. Molte scelte di Amazon sono discutibili, e alcune sono decisamente pericolose. Avere un soggetto dominante è certo rischioso per un mercato come quello editoriale in cui la biodiversità è un indubbio valore. Amazon cerca di plasmare il proprio ecosistema intorno al lettore, ma cerca anche di plasmare il lettore perché ‘si adatti’ al meglio al proprio ecosistema: mentre la prima cosa è buona e giusta, la seconda non lo è affatto (e il confine fra le due è labile). È bene che il tentativo di Amazon di assorbire al suo interno l’intero ecosistema della lettura sia arginato. Ma chi non capisce – e non percepisce – l’enorme, impressionante funzionalità soggettiva dell’ecosistema che Amazon ha creato, chi non vede l’enorme salto di qualità nel modo in cui Amazon risponde alle esigenze del lettore rispetto a quello che riusciva a fare l’ecosistema tradizionale, chi pensa che il lettore debba preferire il libraio ad Amazon per una esigenza quasi ‘morale’, non ha capito nulla di come funziona la lettura, e non andrà lontano. Il lettore, soprattutto il lettore forte, non cerca santi o predicatori: cerca libri, e li compra da chi costruisce l’ambiente migliore – sia esso fisico o virtuale – per incontrarli e acquistarli. Se si vuole sfidare Amazon lo si deve fare su questo terreno, non sui sensi di colpa.

Vi chiederete cosa c’entri questa digressione su Amazon con la questione del self publishing. Ebbene, c’entra. Sappiamo che progressivamente Amazon ha affiancato alla vendita di libri anche quella di e-book, ha introdotto il Kindle, ha acquistato una posizione dominante anche in questo settore, è diventata piattaforma di self-publishing e soggetto quasi-editoriale. Proprio per questo, Amazon è oggi il luogo in cui gli effetti del self-publishing – nei suoi aspetti positivi così come in quelli negativi – si possono valutare e comprendere meglio. E cosa è successo all’ecosistema di Amazon con l’esplosione del self-publishing? Anche in questo caso, darò una risposta assolutamente personale e soggettiva: nella mia esperienza, un disastro. Un disastro affascinante, un disastro istruttivo, ma comunque un disastro.

Fino a quattro o cinque anni fa, Amazon mi conosceva benissimo. I suoi suggerimenti, le recensioni e i commenti dei lettori, si organizzavano intorno a me in funzione dei miei interessi in modo discreto ma perfetto. Poi, pian piano, sulle pagine della piattaforma sono apparsi i primi e-book autopubblicati. Spesso in offerta a prezzi bassissimi, non di rado gratis. Il settore ovviamente mi interessava e mi interessa anche dal punto di vista professionale, e ho cominciato a comprare qualcosa. Perché non dovrei scaricare un romanzo autopubblicato sul tema dei viaggi nel tempo, dato che il tema è affascinante, il romanzo è gratis e ha anche una valutazione molto alta da parte dei lettori? Perché non dovrei scaricare un saggio sul fandom, che costa 0,99 dollari e potrebbe contenere qualcosa di interessante? Perché non cercare di capire come mai questo romanzo ha tanto successo, dato che posso darci un’occhiata senza spendere quasi nulla? I tesori sepolti, o la storia della birra, o i geroglifici egiziani, o il taoismo, sono argomenti curiosi, e ci sono e-book che ne parlano e che non costano nulla: perché non scaricarli? Quando ho un secondo libero potrò darci un’occhiata, alla peggio li cancello subito dopo.

Ora: ammetto senza problemi di essere un lettore abbastanza particolare ed eccessivamente onnivoro, di avere scarsissima forza di volontà, di cedere facilmente alle tentazioni: magari voi non siete come me, e non scaricate nulla che non sia stato recensito (favorevolmente) dalla New York Review of Books o dal Guardian. Ma non si era detto che uno dei vantaggi del self-publishing era proprio la moltiplicazione delle voci? E se questa moltiplicazione delle voci non la si esplora almeno un po’, dove sta il vantaggio?

Solo che, esplorandola, Amazon – che mi conosceva così bene – comincia a farsi strane idee sui miei interessi. Comincia a suggerirmi altri libri sul taoismo, improbabili romanzetti rosa su amanti separati dal fiume del tempo e che per ritrovarsi imparano a saltare da un’epoca all’altra grazie alla forza del loro amore, dotti trattati sulla birra nei secoli… Il diffondersi delle narrazioni (e talvolta anche della saggistica) seriali ha l’effetto che basta scaricare il primo titolo di una serie – in genere gratuito – per ritrovarsi bersagliati dalla pubblicità dei titoli successivi della stessa serie, e dei primi volumi di un’infinità di serie analoghe. Gli algoritmi di Amazon impazziscono, non distinguono la curiosità del momento, propiziata dall’inflazione di titoli autopubblicati e quasi gratuiti, dagli interessi effettivi. Dopo essere state per anni un servizio prezioso, le raccomandazioni di Amazon sono tornate a essere per il 99% spam.

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Figura 2 È bastato scaricare un po’ di self-publishing gratuito, e oggi Amazon mi vede così…

Un problema di algoritmi, certo. Magari si potrebbe correggere. Gli algoritmi di Amazon dovrebbero dare un peso ben diverso ai libri che costano molto e a quelli che non costano quasi niente. Spero che possano farlo in futuro. Ma il punto non è (solo) questo. La storia che ho raccontato è personalissima, ma è sintomatica di un problema ben più generale e rilevante. Chi sostiene che i meccanismi di selezione a valle (legati alle raccomandazioni, al passaparola, al filtraggio collaborativo) possono sostituire efficacemente i filtri editoriali a monte, non ha fatto (per ora) i conti con il fatto che il filtraggio collaborativo funziona davvero bene quando i lettori coinvolti sono molti e le proposte editoriali che questi lettori si trovano davanti sono in un numero ragionevole e sono ragionevolmente comparabili. Se il numero di titoli disponibili cresce in maniera incontrollata, se alcuni di questi titoli (spesso quelli meno validi) sono sostanzialmente regalati, e se per di più chi produce un titolo riesce a ‘falsarne’ la percezione attraverso valutazioni positive comprate o compiacenti, appena si esce dal campo dei pochi libri letti da molte persone (sui quali gli effetti distorsivi sono almeno in parte arginati dalla legge dei grandi numeri) e ci si inoltra nella coda lunga, ecco che il filtraggio collaborativo si inceppa, titoli di qualità e titoli di scarsissima qualità si mescolano in maniera inestricabile, e la selezione quasi darwiniana che dovrebbe far emergere le proposte più valide smette di funzionare.

Avevo concluso l’articolo precedente con una domanda:

Abbiamo visto che i difensori del self-publishing considerano la crescita nel numero di titoli disponibili come sostenibile (o addirittura desiderabile) alla luce dell’esistenza di nuovi strumenti di selezione ‘a valle’. Il filtraggio collaborativo, i social media, il web si trasformano in ‘discovery tools’ capaci di orientare anche in presenza di una offerta enorme di titoli, in molti casi di bassa qualità.
È davvero così? O si tratta di un desiderio, di una speranza alla quale non corrisponde (ancora?) la realtà degli strumenti che la rete mette effettivamente a disposizione del lettore?

Loredana Lipperini riprende questa domanda e commenta: “al momento, la mia risposta è no, non è davvero così”. Sono perfettamente d’accordo con lei. Quello che ho portato parlando di Amazon è solo un esempio particolare, basato su una esperienza assolutamente soggettiva. Ma se neanche gli algoritmi e i meccanismi di valutazione di Amazon riescono a reggere (e forse in fondo non vogliono reggere – ma questo sarebbe un altro discorso) all’effetto inflattivo del self-publishing, è difficile negare che un problema ci sia.

Questo problema, si badi, non ha nulla a che fare con giudizi morali o estetici o letterari sui libri autopubblicati. Ne ho letti ormai parecchi: la maggior parte vale davvero molto, molto poco, ma non è che il panorama editoriale tradizionale sia poi così incomparabilmente migliore (un poco sì, però). E alcune sorprese positive le ho trovate anche nel self-publishing, peraltro utilizzato talvolta da autori rispettabilissimi (e da alcuni ottimi amici). Prima o poi, essendo curioso, lo proverò anch’io.

Il vero problema è quello degli strumenti. Il self-publishing andrebbe benissimo se avessimo degli strumenti, delle pratiche, dei meccanismi di content curation e di mediazione ‘a valle’ davvero capaci di gestirlo, davvero capaci di far emergere collaborativamente le opere di maggiore interesse e qualità (e magari di aiutare i singoli autori a migliorare la qualità dei loro lavori). Nel suo intervento, eFFe sottolinea la centralità di questo punto, e ha assolutamente ragione. Oggi però questi strumenti non li abbiamo. Non li ha neanche (e per prima) Amazon.

Si possono costruire?

(no, non proverò a rispondere nel prossimo articolo: il prossimo articolo – dopo la Befana – proporrà un primo bilancio del 2015 e uno sguardo al 2016. Ma si tratta di un tema sul quale bisognerà tornare.)

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