Nella sua raccolta di saggi dal titolo “Di che cosa parliamo quando parliamo di libri”, Tim Parks è capace di cogliere i suoi lettori di sorpresa, osservando il mondo del libro da un’angolazione inaspettata, e introducendo con tono pacato e apparente nonchalance giudizi caustici e controcorrente

Porsi domande, sollevare obiezioni, è il modo in cui lo scrittore e traduttore inglese Tim Parks – che da anni risiede in Italia – scardina le più quiete sicurezze del mondo letterario. Quelle sicurezze che condividiamo anche un po’ tutti noi, in quanto lettori, e che ci fanno sentire parte di una comunità nobile e salda: quella degli amanti dei libri, di chi ama leggere, scrivere, parlare di letteratura.

Tim Parks

Perché tante persone amano la carta e disprezzano gli ebook?

Come mai i cosiddetti “lettori forti” affollano i festival, dove in meno di un’ora gli scrittori sono costretti a riassumere il loro libro? E perché gli scrittori sembrano così entusiasti all’idea di prestarsi a questa banalizzazione pubblica? Cosa c’è che non va nel premio Nobel?

Esiste la possibilità di dare un giudizio critico obiettivo, a prescindere da chi siamo e da dove veniamo? La traduzione è un processo neutro o una rielaborazione che stravolge sempre l’originale?

Per quale motivo dobbiamo tutti quanti parlare degli stessi libri, affannandoci a leggere Jonathan Franzen, Haruki Murakami o qualsiasi altro imprescindibile autore del momento? In fin dei conti, poi: qual è il vero motivo per cui scriviamo libri? Per quale motivo li leggiamo?
tim parks di cosa parliamo quando parliamo di libri
Proprio agli amanti dei libri si rivolge Tim Parks – autore anche di un blog letterario su The New York Review of Books – con la raccolta di brevi e caustici saggi Di che cosa parliamo quando parliamo di libri (UTET). Con tono ironico, provocatorio e controcorrente, affronta i problemi ponendosi spesso in una posizione assolutamente inaspettata, da domande che paiono innocue, e come invece presto si rivela non lo sono affatto.

In un mondo sempre più interconnesso, anche la letteratura si ostina a pensarsi solo secondo una vocazione superficialmente internazionale: più che alla realtà locale o nazionale – sembra suggerire Tim Parks lungo il filo di questi saggi – si mira all’esportabilità, alla traducibilità, in una rincorsa all’universale che rischia di produrre opere omogeneizzate, progressiste e rassicuranti, buone soltanto come argomento di conversazione.

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