Ogni genere letterario ha sue “regole”… ma davvero non si può infrangerle? Su IlLibraio.it l’intervento controcorrente (ricco di citazioni) di un grande autore di gialli, Hans Tuzzi

Henry James ha detto che l’arte è suscitare un mistero al quale non si può dare spiegazione. Che arte sarà mai, allora, quella del romanzo giallo, che parte da un mistero che bisogna immiserire fornendone le più concrete e fattuali spiegazioni?

Il romanzo giallo rientra fra i cosiddetti “romanzi di genere”: fra essi, insieme al romanzo rosa, è forse quello che presenta i vincoli maggiori, schema più rigido, stile predefinito, minor libertà per l’autore (il noir è assai più flessibile e ricco di potenziale letterario, così come duttile è la spy story).

Come la fiaba, il giallo riduce al minimo tutto ciò che non è funzionale all’azione. Questo non può che riflettersi sul ritmo della scrittura: più serrata, essenziale, rapida di quel che non richiede la letteratura “alta”, quella scrittura “seria”, esistenziale che è vista come qualcosa di necessario e d’ineludibile per l’arte: lo stile.

Non è vero in assoluto: così come il genere può partorire diversi sottogeneri (bibliomystery – thriller – legal thriller –courtroom drama, per dire) nello stesso modo può conoscere ben più appariscenti variazioni nella ideale borsa valori dei libri: se Chandler, Simenon e Dürrenmatt fan diventare il giallo vera letteratura, Barbara Cartland trascina le storie di una Jane Austen nel gorgo del più commerciale genere rosa.

Insomma, sarebbe più prudente usare il termine letteratura di genere in senso molto elastico. Parlando, invece, di buona e cattiva letteratura.

La cattiva letteratura viene costruita esclusivamente a partire da ciò che è già familiare, dal denominatore comune della lingua: ogni frase suona già sentita, e la trama è la stessa del precedente aspirante best seller. I buoni libri, invece, non rifuggono a ogni costo da ciò che è familiare, ma fanno uso di deviazioni. Nella lingua e, come conseguenza inevitabile, nei contenuti. La letteratura di genere fornisce una gabbia più rigida, e pertanto genera spesso cattiva letteratura. Ma con intelligenza e bravura, le regole possono essere rotte a vantaggio del lettore.

Ogni genere ha le sue regole, si è detto. Davvero non si può infrangerle?

Un giallo esige un omicidio. Falso: pensate a La lettera rubata. Un capolavoro.

Un giallo vuole che il colpevole sia individuato e punito. Falso: pensate a La fine è nota di Holiday Hall Geoffrey o a La promessa di Dürrenmatt, autentico requiem per la detective story. Due capolavori. E, a ben pensarci, chi è il colpevole punito in Assassinio sull’Orient Express? (Ma Agatha Christie non è una grande scrittrice, resta “soltanto” la più letta autrice di mysteries)

Non si deve anticipare il movente. Falso, come dimostra Rex Stout in un giallo di Nero Wolfe che nulla perde, per questo, in tensione. Il titolo? I wolfiani lo sanno.

Il lettore deve ignorare l’identità del colpevole. Falso, come dimostra il successo televisivo del tenente Colombo. Nel mio minimo, con Un gatto alla finestra ho scritto un racconto giallo dove si sa che un uomo è colpevole ma non si sa di che cosa.

Stile asciutto, pochi dialoghi. Non ditelo a Rex Stout, per limitarci a un classico.

Diremo allora che più un autore si piega alle regole del genere, meno è autore, cioè scrittore autentico: nei romanzetti di Liala alla fine ci si sposa sempre, ma in Anna Karenina la ben orchestrata passeggiata nel bosco, a dispetto di quanto il lettore si attende, si conclude non già nell’attesa richiesta di matrimonio bensì in un nulla di fatto. Proprio perché l’autore si chiama Tolstoj, non Liala.

Questa è grande arte. Ma il romanzo di genere non la esclude a priori. Il poeta dialettale Vann’Antò rivela la regola aurea: “lu cuntu è nenti, tuttu sta comu si porta”. E il “padre” dei giallisti italiani, Augusto De Angelis, un autore dalle grandi qualità narrative e stilistiche, ha scritto, sul meccanismo narrativo del romanzo poliziesco, pagine ancor oggi illuminanti. Pagine da leggere e meditare.

Proprio sul tema della lettura Ruth Rendell ha tessuto un capolavoro, La morte non sa leggere, dove Eunice Parchmann, analfabeta, è a servizio in una famiglia nella quale la lettura è intrecciata al vivere quotidiano. E sarà proprio nella biblioteca che l’angosciante tensione narrativa e il pathos da tragedia greca trovano il drammatico e sanguinoso epilogo.

Non è un giallo, più di quanto non lo sia Edipo re. Ma lo scrittore consapevole si sente talmente sicuro della propria bravura che non si cura di esibirla. Né di infrangere la gabbia del genere.

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