La scrittrice, sceneggiatrice, regista e attrice Lena Dunham in un episodio della sua serie “Girls” dichiara: “credo che potrei essere la voce della mia generazione. O almeno una voce di una generazione”. Questa volontà si concretizza nel progetto “Lenny Letter”, un contenitore di storie firmate da numerose voci femminili. E mentre si discute di “marketplace feminism”, sono tante le iniziative, tra newsletter, podcast e blog, che si propongono di trattare la femminilità senza cedere nei contenuti e nell’estetica della “moda femminista” – L’approfondimento

“Ho vent’anni e mi odio. I capelli, la faccia, la pancia sporgente. La mia vocina tremolante e le poesie sdolcinate. Il fatto che i miei genitori, per rivolgersi a me usino un tono leggermente più alto di quello che usano con mia sorella, come se fossi un funzionario pubblico che ha dato di matto e se, messa sotto pressione, potessi far esplodere gli ostaggi che tengo legati nello scantinato”.

Così inizia Non sono quel tipo di ragazza (Sperling & Kupfer), il romanzo scritto nel 2014 dalla regista, sceneggiatrice e attrice Lena Dunham, una sorta di memoir autobiografico in cui sono raccontati alcuni eventi personali che accomunano le esperienze della scrittrice a quelle vissute da molte ragazze.

Nata a New York il 13 maggio 1986 dalla fotografa Laurie Simmons e dal pittore Carroll Dunham, Lena studia scrittura creativa all’Oberlin College, dove inizia a scrivere i primi cortometraggi. Tra questi, spicca Pressure, girato e interpretato quando aveva solo 19 anni: tre ragazze sedute per terra in una biblioteca si chiedono cosa sia un orgasmo: “L’orgasmo è come un rilascio di pressione”, afferma a un certo punto una di loro, spiegando appunto il titolo del corto. Già da questo primo esperimento si intuisce il desiderio dell’autrice di raccontare le ragazze e la sessualità in modo iperrealistico.

Nel 2009 esce Tiny Furniture, presentato al South by Southwest 2010 dove vince il premio per il miglior lungometraggio narrativo. Nel film Lena Dunham interpreta il ruolo della protagonista Aura, una ragazza che, dopo aver finito il college, torna a vivere a casa della madre e cerca di capire che direzione prenderà la propria vita.

Dopo il film, riceve dal canale HBO la proposta di realizzare la serie che avrebbe voluto vedere in tv, e così nasce Girls. Ambientata a New York, racconta la storia di quattro ragazze, tra i 25 e i 30 anni, che si sforzano di diventare adulte, tra lavori precari e situazioni sentimentali instabili. Girls è il prodotto che consacra Lena Dunham e che definisce gli obiettivi della sua produzione: rappresentare le ragazze per come sono veramente. Infatti è la stessa autrice che in un episodio della serie dichiara: “credo che potrei essere la voce della mia generazione. O almeno una voce di una generazione“. Questa volontà si concretizza in un nuovo progetto: Lenny Letter, un contenitore di storie firmate da voci femminili, un esempio di racconto generazionale.

Lenny, nata nel 2015 con la collaborazione della regista Jennifer Konner, diventata una collana editoriale, è una newsletter che parla degli argomenti più vari: dalla maternità a Tinder, dal ghosting alla moda, passando per racconti di narrativa e riflessioni relative all’identità di genere e ai problemi sessuali.

È proprio attraverso questo canale che Lena Dunham ha raccontato di essere affetta da endometriosi, una patologia in cui l’endometrio, il tessuto che ricopre la cavità interna dell’utero, cresce in varie zone del corpo in cui non dovrebbe trovarsi. È una malattia dolorosa, che può causare anche sterilità e, nonostante colpisca un elevato numero di donne, se ne parla ancora troppo poco. Spesso non è diagnosticata o viene riconosciuta in ritardo. La stessa scrittrice ha scoperto di esserne affetta dopo varie diagnosi sbagliate.

È sempre su Lenny che Lena Dunham si è espressa favorevole alla candidatura di Hillary Clinton. Subito dopo la vittoria di Trump ha inviato un messaggio rivolto alle donne, alle persone di colore, ai transessuali e ai transgender americani, scrivendo che non è compito loro “cercare di capire chi non li considera esseri umani, così come non è compito di una persona che ha subito abusi cercare di comprendere chi l’ha abusata”.

Lenny è “feminism, style, health, politics, friendship, and everything else – unfiltered” ed è proprio quell’aggettivo, “unfiltered”, che determina la linea editoriale e il carattere della newsletter. Il canale è rivolto a tutte quelle ragazze che sentono il bisogno di essere raccontate in modo “non filtrato“, lontano dagli stereotipi legati alla figura femminile.

È vero, ormai sono numerose le narrazioni “femministe”, sia online sia in libreria: ma per quanto il femminismo possa apparire una “tendenza”, sono tanti gli argomenti ancora sottovalutati. Temi legati ai diritti riproduttivi, al contrasto della violenza sulle donne e alle disparità sui luoghi di lavoro. Non solo: come sostiene la giornalista e saggista Laurie Penny, essere femministe è una scelta politica, non uno stile di vita, e riguarda aspetti molto meno trendy di quelli messi in luce dall’ondata di femminismo pop, di cui l’industria della moda stessa si sta appropriando.

Andi Zeisler, veterana del femminismo contemporaneo e fondatrice, insieme a Lisa Jervis, della rivista Bitch, ha coniato il termine “marketplace feminism” (femminismo di mercato/commerciale) proprio per criticare la propensione a catalogare come femminismo tutte quelle declinazioni consumistiche che riguardano l’empowerment individuale, la realizzazione e la gratificazione personale.

Come Lenny, sono nati in rete diversi progetti che si propongono di trattare la femminilità senza scadere nei contenuti e nell’estetica della moda femminista, quello delle magliette e degli hashtag virali.

Unruly Bodies è la rivista digitale ideata dall’autrice haitiana, bisessuale e femminista Roxane Gay, che esplora il rapporto che le donne instaurano con il proprio corpo: emotivo, psicologico, culturale e scientifico. Proprio come nel caso della newsletter di Lena Dunham, Gay ha riunito diverse voci per ampliare la conversazione avviata nel suo memoir Fame, un libro in cui vengono indagate le pressioni a cui sono sottoposte le donne a partire dal loro aspetto fisico.

Anche in Italia ci sono esempi di questo tipo: Senza Rossetto, creato dalle giovani autrici Giulia Cuter e Giulia Perona, è un podcast che racconta la figura femminile ieri e oggi. Ogni puntata affronta un tema legato alle convenzioni che la società attribuisce all’universo femminile, attraverso la penna e la voce di una scrittrice contemporanea. La terza stagione è partita il 2 giugno, anniversario della nascita del progetto e del primo voto politico delle donne italiane, il 2 giugno 1946.  Al podcast è accompagnata anche una newsletter di attualità e approfondimento.

Il blog Memorie di una vagina di Stella Pulpo, scrittrice che ha esordito l’anno scorso con il libro Fai uno squillo quando arrivi (Rizzoli), è uno spazio di informazione e condivisione per “raccontare come una vagina del terzo millennio affronta la fine di un’altra relazione, il lavoro, la solitudine esistenziale tra amici e conoscenti, la lontananza dagli affetti, l’incertezza del futuro”.

Per fare altri esempi nostrani, sempre al contenitore delle newsletter appartengono Futura del Corriere della Sera, che ospita racconti illustrati, interviste e riflessioni e si autodefinisce “una newsletter privata che racconta le identità mutevoli di una generazione che cambia”, e Ghinea di inutile, dedicata alle “donne che viaggiano, donne che studiano, donne che subiscono ingiustizie, donne che lottano per cambiare un po’ il mondo, donne in paesi e di confessioni che non conosciamo se non per racconti di terzi, donne che si sentono strette nel binarismo o nel loro sesso biologico, donne che si agitano e donne che cantano”.

Da pochissimo è nato Ordinary Girls, programma di Radio Popolare condotto da Elena Mariani e Florencia Di Stefano Abichain, che tratta l’attualità con la leggerezza delle chiacchiere tra amiche.

L’aspetto più interessante di queste narrazioni non riguarda tanto gli argomenti (anche perché non avrebbe alcun senso dividere gli argomenti femminili da quelli maschili), quanto la prospettiva da cui vengono guardati. Ed è proprio da questa singolare visione che emerge e si definisce “la voce“.

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