Dopo le serie con la ghostwriter Vani Sarca e quella su Anita, Alice Basso debutta nella narrativa per ragazze e ragazzi con “I fratelli difendieroi”. E su ilLibraio.it parla proprio della sua passione, da autrice e ancor prima da lettrice, per i romanzi per ragazzi: “Non devi annoiarli neanche un attimo, i lettori più giovani”. E di certo non è semplice, per chi scrive libri pensati per loro. Al tempo stesso, “nessuno è capace di amare un libro quanto un ragazzino o una ragazzina di dieci, dodici, quattordici anni che incontra la storia giusta, la voce giusta…”
E così è successo. Dopo anni in cui sono andata in giro a dichiarare, mano sul cuore e petto in fuori come Napoleone che motiva le truppe, che la narrativa per ragazzi è il mio genere letterario preferito, nell’agosto del 2024 pure io ho pubblicato il mio primo libro per ragazzi.
A casa, ve lo dico subito, l’evento è stato festeggiato come un Capodanno: bollicine e urrà. In preda a deliri di onnipotenza francamente patetici, passo davanti alla mia collezione di libri di Roald Dahl e di A.A. Milne e strizzo l’occhio (sì, avete capito bene: strizzo l’occhio ai libri) come a dire ai loro autori: “Ehi, amici, sono entrata nel club! Allora, come andiamo? Posso darvi del tu? Offrirvi da bere? La poltrona accanto al caminetto è occupata? Che si fa da queste parti il sabato sera?”.
Mi impettisco davanti alle mie (numerosissime) copie di Alice nel Paese delle Meraviglie e facendo il saluto militare dico al caro vecchio Lewis Carroll “Vi renderò fiero di me, mio generale”, e mi aspetto che la mia copia di La storia infinita si apra da sola e galleggi a mezz’aria proiettando su di me un raggio di luce come i Blues Brothers quando ricevono l’investitura divina all’inizio dei film.
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Insomma, la sto prendendo con pacatezza.
Scherzi a parte (in realtà non scherzavo per niente, ma okay), tengo davvero a specificare che la narrativa per ragazzi è effettivamente, da sempre, il mio genere letterario preferito. Non è uno slogan che sparo adesso per legittimare il fatto di aver scritto una robetta per ragazzi pure io. Per fortuna, essendo io il tipo che parla spesso e volentieri (e tantissimo) delle cose che ama, ho seminato un sacco di prove nel corso degli anni. Ho persino scritto un libro che lo dimostra in maniera inequivocabile (un libro prima di questo qui, intendo): nel 2019 il volume finale della serie dedicata alla ghostwriter Vani Sarca, Un caso speciale per la ghostwriter, era tutto intessuto di citazioni prese dall’universo della letteratura per ragazzi, classica e non. E non è un caso che fosse l’ultimo volume della serie: ognuno dei cinque libri che la componevano, infatti, ruotava attorno a uno specifico genere letterario su cui la protagonista si trovava a lavorare in casa editrice, e il genere di turno veniva o sfottuto o celebrato; la narrativa per ragazzi non solo veniva celebrata, ovviamente, ma era finita nel quinto e ultimo libro proprio perché, essendo il meglio del meglio, si meritava il posto d’onore nel finalone di serie.
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Perché la narrativa per ragazzi mi piace tanto?
Diciamo così: siete fortunati che io abbia a disposizione questo articolo per spiegarlo. Perché, se mai vi capitasse di chiedermelo in pubblico, a una presentazione, sappiate che con tutta probabilità risponderei “Ah, grazie della domanda!” e poi vi inchioderei con una dissertazione di due ore da cui vi toccherebbe sgattaiolare via di soppiatto strisciando dietro le file di sedie. È il genere di argomento dal quale tendo a farmi prendere.
Innanzitutto, per me un libro bello per ragazzi è mediamente più bello di un libro bello per grandi. (Parentesi per gli amici e colleghi editor: dobbiamo proprio trovare un termine condiviso che definisca la letteratura non per ragazzi che non sia “per adulti”, che fa pensare a un’altra cosa. Fine della parentesi.) E lo è non solo perché di solito i libri per ragazzi sono più avventurosi, più audaci, più pieni di immaginazione, più geniali e hanno anche copertine più belle, ma anche per ragioni tecniche, relative proprio alla qualità della scrittura.
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Il fatto è che, quando si scrive un libro per grandi, un po’ si può fare affidamento sul lettore. È lecito impigrirsi un po’. Scappa una descrizione un pelo troppo lunga? Ma sì, pazienza: la lettrice di cinquant’anni, abituata a tutto, sarà capace di sopportarla e perdonarcela. È necessario usare un po’ troppe righe per spiegare bene la dinamica di una situazione? Eh, be’, il lettore maturo farà uno sforzino e non per questo mollerà il libro per sempre: anzi, le statistiche dicono che una quantità enorme di lettori adulti tende a voler finire un libro per forza, una volta che l’ha cominciato, perché “non si sa mai, magari si risolleva alla fine”, quindi alé, possiamo star tranquilli. Scappa un’imprecisione, un’incoerenza, un refuso? Il lettore adulto capirà, ne ha visti tanti in tutti i libri che ha letto, saprà perdonare l’autore, la redazione, l’editore.
I ragazzini? Col cavolo.
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Provaci, ad annoiare un ragazzino. E vedi dove finisce il libro: nel migliore dei casi, sotto il letto, dimenticato per sempre, nel peggiore a volteggiare attraverso la stanza accompagnato da un “ma che palleee” e dal rumore dei piedi del giovane lettore che corrono via verso altre cose da fare più divertenti. Il giovane lettore non perdona. Chi glielo fa fare, di rimanere inchiodato a leggere roba che lo annoia? È ovvio che ha un milione di alternative più interessanti a cui dedicarsi. E quando invece qualcuno che glielo fa fare c’è, per esempio un insegnante che ha dato quel libro da leggere per la scuola, il risultato è ancora peggiore, perché l’insofferenza e il senso di prigionia di dover per forza continuare a leggere una cosa che non gli piace si cristallizzeranno nel più letale mix di sempre di diffidenza, odio e rigetto nei confronti non solo di quel libro lì ma 1) della lettura in generale, 2) della gente adulta che ti consiglia roba da leggere.
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Quindi, per scrivere roba per ragazzi che ai ragazzi piaccia veramente e che non abbia un effetto controproducente, devi essere bravo. Più bravo che a scrivere per grandi. Non devi annoiarli neanche un attimo, non devi perderteli per strada nemmeno un secondo. Il che, tradotto in tecnica, significa che devi essere un pasticciere. Una mia amica che cucina dolci favolosi dice che la cucina può essere anche fatta di esperimenti cialtroni, la pasticceria invece è chimica e precisione, e non se ne esce: devi dosare esattamente tutti gli ingredienti e metterli nell’ordine giusto, o succede un casino. Coi libri per ragazzi è lo stesso: devi calibrare pathos e humour, avventura e scene confortevoli di distensione o di introspezione, dialoghi e azione, identificazione ed elementi esotici e, persino nella lingua, l’uso di uno stile semplice e scorrevole con qua e là qualche vocabolo più ricercato e raffinato che stimoli la curiosità intellettuale.
Io non so se lo so fare coi libri e di certo non lo so fare coi dolci, ma da lettrice mi rendo conto che effettivamente la ricetta è questa. Infatti, se si prende un libro per ragazzi che ha avuto successo, cioè che ai ragazzi è piaciuto veramente, di solito si constata che è fatto proprio così (un esempio per tutti, che cito spesso: Harry Potter è un ragazzino che va a scuola e ha amici e nemici e problemi con certe materie, cosa nella quale si identifica chiunque, ma è anche un mago!, cosa esotica che fa fare oooh e che ti fa venire la curiosità di vivere nei suoi insoliti panni per 400 pagine. Ta-dààà: calibrazione perfetta. Per dirne una, e solo sul fronte “alternare identificazione ed esotismo”).
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C’è un rovescio della medaglia, naturalmente. Che è bello quanto questo scenario invece può mettere fifa. Il rovescio della medaglia è che, se ce la fai, se il tuo libro lo confezioni bene, con attenzione e rispetto per il tuo lettore, dosando e magari all’occorrenza accettando di tagliare anche cose a cui terresti, e mettendoti sempre nei panni di chi legge, se le stelle si allineano e le nove Muse guardano giù dall’Elicona eccetera eccetera, e il piccolo lettore decide che il tuo libro gli è piaciuto, bam, è fatta. Verrai gratificato con l’amore più puro e intenso che un lettore abbia mai tributato a un autore. Nessuno, nessuno è capace di amare un libro quanto un ragazzino o una ragazzina di dieci, dodici, quattordici anni che incontra la storia giusta, la voce giusta. Io me lo ricordo benissimo com’è stato per me: tuttora a certi scrittori che mi han presa per mano a quell’età e mi hanno portata nei loro universi voglio bene come a certi parenti stretti.
E poi c’è un’ultima cosa, che aggancio a queste due parole che ho appena detto, “io mi ricordo benissimo com’è stato per me”.
Già, perché poi bisogna considerare anche quest’altro fatto, e cioè che noi ce lo ricordiamo, com’era quando avevamo quell’età. E questa è la ragione per cui i libri per ragazzi, alla fin fine, secondo me non sono mai solo per ragazzi. Un’autrice – per ragazzi, appunto, tanto per cambiare – veramente bravissima, Sandra Cisneros, nell’incipit di uno dei suoi racconti scrive (cito a memoria, eh, lei l’ha scritto meglio): io ho trent’anni ma non ho solo trent’anni; ne ho cinque, dieci, dodici, diciassette, ventuno e così via fino a trenta. E certi giorni ne ho cinque perché mi fa paura tutto e voglio la mamma, certi altri ne ho ventidue e mi affaccio al mondo con energia, certi altri ancora – vabbè, avete capito il concetto. Quindi, il dodicenne che è in noi, che fa tuttora parte di noi e che contribuisce a renderci noi, si diverte pure lui a leggere un bel libro per ragazzi. La mia dodicenne interiore, per la cronaca, è vivacissima e mangia come un lupo e chiacchiera un casino e adora leggere. Anche oggi che è circondata da altre trentadue Alici di età diverse: lei sa prendersi i suoi spazi. E a me piace moltissimo procurarle libri da leggere, visto che mi dà tanta soddisfazione.
E quindi, che dire. Speriamo di aver fatto un buon lavoro. Altrimenti la mia dodicenne interiore non mi rivolgerà più la parola, e invece a me piace parlarci e anche spesso, con quella tizia lì.
L’AUTRICE E IL NUOVO ROMANZO – Una scrittrice molto amata, Alice Basso, debutta nel mondo dell’editoria per ragazzi con I fratelli difendieroi (Garzanti). Nata nel 1979 a Milano, l’autrice (che lavora per diverse case editrici) vive in un ridente borgo medievale fuori Torino.
Con Garzanti Alice Basso ha pubblicato le avventure della ghostwriter Vani Sarca: L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome, Scrivere è un mestiere pericoloso, Non ditelo allo scrittore, La scrittrice del mistero e Un caso speciale per la ghostwriter. Nel 2020 è poi uscito Il morso della vipera, il primo capitolo di una nuova serie ambientata nell’Italia degli anni ’30, con protagonista il personaggio di Anita, e nel 2021 è stata la volta de Il grido della rosa. Nel 2022 è poi uscita una nuova avventura della stessa serie, Una stella senza luce, e nel 2023 è stata la volta di Le aquile della notte, con un ritorno di Anita e degli anni ’30. La serie si è chiusa nei mesi scorsi con Una festa in nero.
E veniamo al suo primo libro per ragazze e ragazzi, I fratelli difendieroi: siamo in una biblioteca, e Tommy, uno dei personaggi centrali della storia, non ama le grande storie classiche del passato. Gli dispiace infatti per quei protagonisti che nei libri come Piccole Donne, Il piccolo principe o Peter Pan sono costretti a vivere mille tragedie. Sua sorella Lisa prova a difendere gli scrittori, ma alla fine si convince anche lei. Ed è lì che la signora Borbotti, la bibliotecaria, non può più far finta di niente. Deve per forza trasformarsi. In cosa? Nella dea protettrice di tutti i libri mai scritti sulla faccia della Terra e di altri diciannove pianeti, ovvio. Peccato che questa dea abbia le sembianze di un dragopiovra alto tre metri.
Tommy e Lisa non credono ai loro occhi e dopo poco nemmeno alle loro orecchie. La bibliotecaria ha una missione per loro: entrare nelle storie che tanto hanno calunniato e provare a salvare i protagonisti dai drammi che vivono. Una missione? Loro due insieme? Non è che vadano proprio d’accordo. Ma non c’è altro da fare, devono diventare i fratelli difendieroi.
Si parte con Il piccolo principe, passando per Piccole Donne, Pinocchio, Peter Pan e Huckleberry Finn. Non è mica facile però. I personaggi non sempre collaborano e Tommy e Lisa devono inventarsi sempre qualcosa di nuovo per difenderli. Non immaginavano potesse essere così elettrizzante vivere tante avventure. Ma incontrando Beth, Jo, Peter, Trilly, Pinocchio, la Fata Turchina e gli altri, Tommy e Lisa imparano molto anche su loro stessi. Imparano a essere più sinceri tra fratelli e soprattutto capiscono che le cose difficili che accadono nella vita non succedono mai per caso.
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