In occasione dell’avvicinarsi delle feste, Ilaria Gaspari ripiange “un piccolo affettuoso rituale di saluto che a Natale si consuma con una frequenza impressionante, su guance di vecchie zie, di nonne e nonni, su guanciotte di bambini appiccicose di torrone, sulle prime barbe di cugini che l’anno scorso erano lisci come seta e quest’anno sono già dei ragazzi. Mi riferisco ai baci, ai baci sulla guancia: da quanto tempo non ne date, non ne ricevete più?”. Ripercorrendo la storia del bacio, dal tempo dei sumeri a quello dei romani, passando per l’età cristiana e quella moderna, e spaziando dall’Italia alla Francia e alla Russia, su ilLibraio.it un approfondimento dolce e romantico su una delle usanze più antiche e significative di sempre (in attesa che, presto, possano tornare)

Ha scritto Prévert che della felicità ci accorgiamo dal rumore che fa quando se ne va: può valere la stessa cosa per un’abitudine che perdiamo? Chissà. Sta di fatto che le feste che si avvicinano, fra le molte differenze rispetto agli altri anni, registreranno lo schiocco di un’ulteriore mancanza.

Non solo quella delle riunioni oceaniche (assembramenti) fra amici e parenti, le sere a giocare al mercante in fiera su una tovaglia rossa che profuma di bucce di mandarini, qualcuno che chiede dov’è finito lo schiaccianoci, qualcun altro che si vanta di saper rompere le noci con le mani (spesso sono io, confesso); non solo i regali aperti insieme, strappando la carta sotto lo sguardo ansioso della prozia che ci ha regalato una vestaglia, di nuovo, e dobbiamo stare bene attenti a mostrare che ci è piaciuta tantissimo, anche se si sa che non è vero, ma che importa, dopotutto?

baci

Non solo i borbottii dei bambini che si stufano di stare a tavola e chiedono di andare a giocare di là, il nonno che si addormenta sul divano, quella noia consistente, densa, intenerita, dei pomeriggi delle feste comandate in una casa troppo affollata, con una montagna di cappotti buttati sul letto – che a pensarci adesso mi dà una nostalgia che mai ho sentito quando la vivevo.

Certo festeggeremo anche quest’anno, ci inventeremo un modo, ma sarà per forza un modo nuovo, diverso; per forza, mancherà qualcuno.

Io per il primo Natale della mia vita sarò lontana dalla famiglia in cui sono nata; sarò con la persona che amo, e con il nostro cane al suo secondo Natale dopo il canile, sarà bello, sarà giusto così, sarà nuovo, e sarà diverso; tanto che mi è presa la malinconia, qualche giorno fa, e sempre per la prima volta in vita mia ho comprato un alberello, finto, molto brutto a dirla tutta, perché quello vero avevo paura che poi non si potesse più piantare nella terra per fargli vivere una vita di abete; l’ho coperto di lucine che la sera mi fermo a guardare, accese, e ogni volta mi ritrovo a pensare a cos’è stato mai questo anno così strano.

Ma anche per chi festeggerà comunque con tutti i crismi, qualcosa di diverso quest’anno ci sarà, ci saranno se non altro degli assenti importanti. E mi riferisco a un piccolo affettuoso rituale di saluto che a Natale si consuma con una frequenza impressionante, su guance di vecchie zie, di nonne e nonni, su guanciotte di bambini appiccicose di torrone, sulle prime barbe di cugini che l’anno scorso erano lisci come seta e quest’anno sono già dei ragazzi.

Mi riferisco ai baci, ai baci sulla guancia: da quanto tempo non ne date, non ne ricevete più?

Incontrando un’amica, un amico, una persona cara, di famiglia, salutando sulla porta prima di andare via. Mi sono resa conto che da marzo, di baci sulla guancia non ne ho presi e non ne ho dati. Non sono i baci che si danno gli innamorati, come diceva una bambina che conoscevo; sono baci che, al di fuori della stretta relazione romantica, si adattano a ogni altro possibile grado di intimità, dal conoscente al parente stretto, o congiunto, come abbiamo imparato a dire; fratelli, sorelle, amici, amiche, genitori, vicini di casa, nonne, zii, e quant’altro.

E certo, quella del bacio sulla guancia non è un’usanza troppo diffusa al di fuori dell’Europa: c’è uno spassoso episodio di Seinfeld, lo show “sul niente” che racconta proprio tutto, in cui il comico Jerry Seinfeld è terrorizzato da una conoscente che cerca ogni volta che lo incontra di baciarlo sulla guancia, perché, a New York dove si trovano, gli appare un gesto di intimità fuori luogo; alcune popolazioni, come i Tonga del Mozambico, la considerano un’abitudine assolutamente immonda, come spiega lo storico francese Thomas Snegaroff.

Ecco, i francesi invece sono degli appassionati cultori del bacio sulla guancia, la bise: on se fait la bise, ti dicono quando ti incontrano, e senza colpo ferire, anche fra sconosciuti, anziché darsi la mano ci si ritrova a posare le labbra su guance mai viste prima.

I francesi amano sbaciucchiarsi a ritmi e con frequenze diverse: in Bretagna ci si dà un bacio solo, nel nord della Francia due, a Montpellier o nel Massiccio centrale ben tre, ma in certi dipartimenti dell’Île-de-France si arriva addirittura a quattro. Fra l’altro, devo confessare che per tutto il periodo in cui ho vissuto a Parigi non sono mai riuscita a padroneggiare davvero il senso di orientamento della bise: mentre in Italia in genere si dà prima un bacio a sinistra, ovvero inclinandosi a destra, e poi dall’altra parte, i francesi procedono al contrario. Il che spesso origina scenette buffe, financo imbarazzanti, che comunque non scoraggiano l’usanza di baciarsi fra sconosciuti, pur con meno ardore di quanto si usi in Russia, dove si punta direttamente alla bocca, come testimonia un celebre bacio storico, quello che nel 1979 scambiarono Brezhnev e Honecker, che è diventato anche un grande murale sul Muro di Berlino, oltre che un’immagine dall’impatto fortissimo nella cultura pop – tanto che Oliviero Toscani ci costruì un’intera campagna per Benetton nel 2011.

baci

Senza sfiorare le vette dell’entusiasmo francese per il bacio come primo gesto di avvicinamento fra sconosciuti, anche in Italia, dove pure presentandosi ci si dà – ci si dava, anzi – la mano, gesto oggi soppiantato senza troppa convinzione da goffi colpetti di gomito o qualche volta (giuro che mi è capitato) di polso, il bacio sulla guancia ha una sua diffusione piuttosto capillare.

D’altra parte è un gesto antico, carico di significati antropologicamente suggestivi: la storia del bacio è una storia sociale e erotica che si arricchisce di infinite variazioni a seconda del luogo e del tempo, e rende indirettamente conto delle mutazioni dei costumi.

Mi chiedo sempre come siano state le prime volte di ogni cosa. Da cosa sarà nata la prima risata? Chi si sarà meritato la prima sberla, chi si sarà reso conto che la pizza era buona da mangiare. Chissà chi saranno stati i primi esseri umani a baciarsi – come gli sarà venuto in mente di usare in quel modo le labbra. Di certo è qualcosa che è successo molto molto tempo fa; forse in concomitanza con l’invenzione della sberla, o della risata, certo molto prima di quella della pizza.

Le prime attestazioni dell’usanza del bacio vengono – come quelle di infinite altre cose, fra cui la scrittura – dalla Mesopotamia, a pieno titolo la culla della civiltà: pare che i sumeri avessero l’abitudine di soffiare baci nell’aria, come omaggio agli dèi. Erodoto attesta un uso gerarchico dei baci presso i persiani: fra pari grado si salutavano con un bel bacio sulle labbra, alla maniera slava; mentre il bacio sulla guancia veniva riservato a chi godeva di una posizione sociale lievemente inferiore.

Quest’idea del bacio come indicatore di ceto resiste anche nella cultura romana, che non disdegnava affatto il bacio come saluto, e neppure come espressione di amore romantico: lo dimostra Ovidio nel raccontare la favola di Amore e Psiche. La mappa delle porzioni baciabili del corpo di un imperatore romano variava a seconda del rango del baciatore: più bassa la sua condizione, più vicino ai piedi imperiali andava deposto il bacio. Fra i primi cristiani – e ricordiamo che il cristianesimo è una religione resa possibile proprio da un bacio: quello del traditore Giuda a Gesù, come segnale di riconoscimento per le guardie; dal che desumiamo che all’epoca, nella Giudea sotto dominazione romana, era diffuso il bacio fra uomini, altrimenti Giuda avrebbe convenuto un altro gesto – ci si salutava con un bacio di pace (osculum pacis), che entrò a far parte del rituale della messa e ci rimase almeno fino al XIII secolo, quando verrà sostituito da una più fredda stretta di mano.

Il fatto che il bacio di Giuda sia un bacio di tradimento appare ancora più eversivo se consideriamo quanto sia intimo il gesto di baciare qualcuno, sulla guancia o sulle labbra, sia pure per pura convenzione sociale, sia pure senza associare al bacio il suo altissimo potenziale affettivo; e infatti nel medioevo, nel rituale feudale dell’investitura, il bacio viene scambiato fra signore e vassallo come pegno di fedeltà, e proprio negli stessi secoli – che sono secoli di unioni combinate, in cui dunque è parecchio labile il legame fra innamoramento e matrimonio – il bacio inizia ad assumere un valore erotico potentissimo: è il segno dell’amore scelto, spesso proibito, clandestino, in opposizione all’amore imposto dall’accordo fra famiglie.

Così il bacio si elettrizza di richiami romantici, erotici, che lo rendono tanto potente da riuscire a far svenire una quantità di signorine nei romanzi del XVIII-XIX secolo, anche solo per il furto di un bacio; tant’è che nell’Ottocento in società erano solo le donne, almeno in Francia, a baciarsi sulla guancia in segno di saluto; i baci d’amore erano baci segreti, intimi, nascosti.

Gli anni ’70 del Novecento, con la liberazione dei costumi, hanno diffuso la tradizione della bise anche fra uomini e donne, insieme all’idea che baciarsi in pubblico, diciamo, alla francese, con tutta la passione del caso, sia un diritto e una cosa anche bella; e finalmente non sembra più così strano, malgrado la riprovazione di certi parrucconi, che lo facciano anche persone dello stesso sesso.

Ora, anche se speriamo che l’anno prossimo ci porti via questo virus che ha sparigliato le carte, i baci per strada sono banditi; un po’ come Peter Pan, che si convince che bacio voglia dire bottone, abbiamo allentato l’associazione fra la parola e il gesto.

Per fortuna il tedesco, lingua dalle mille risorse, che non per caso ha ben trenta parole diverse per bacio, ne ha una che serve a dire anche il rimpianto per i baci mai dati, Nachkuss; e dentro questa parola, come in una calza appesa al camino, possiamo far entrare tutti i baci che non ci daremo in queste feste, per sperperarli l’anno prossimo.

Ilaria Gaspari - foto di Giuseppe di Piazza
Ilaria Gaspari nella foto di Giuseppe di Piazza

L’AUTRICE – Ilaria Gasparicollaboratrice de ilLibraio.it, è nata a Milano. Ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa e si è addottorata con una tesi sulle passioni all’università Paris 1 Panthéon Sorbonne. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, Etica dell’acquario (Voland). Ha poi pubblicato Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno) e Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi).

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