“Tutto il bene, tutto il male” è il romanzo d’esordio della giornalista Rai Carola Carulli, una storia sull’ambivalenza dei legami familiari, sulla maternità e sulla capacità delle donne di ferirsi e di aiutarsi l’un l’altra. Su ilLibraio.it la riflessione dell’autrice sul libro, che dopo anni di attesa e di ascolto ha trovato la sua forma definitiva per “raccontare il coraggio della paura, il coraggio che si deve avere nel ricercare una qualche forma di felicità”

Ho sempre amato le ombre. Quelle allungate dei bambini che sembrano giganti, quelle sui muri delle stanze che sanno farsi forme strane e indefinibili. Ho sempre cercato nelle ombre delle persone la luce, seppure sfocata, perché senza quella le ombre non esisterebbero. Ed è così che ho trovato i personaggi del mio libro. Alma, la protagonista, mi ha trovato qualche anno fa, ma non avevo ancora acceso la luce per guardarla.

Non avevo il coraggio, non avevo il tempo, quel tempo che ci raccontiamo manchi sempre.

Poi però il tempo è arrivato immobile ed è allora che la protagonista del mio romanzo ha deciso di uscire dal buio. Il lockdown mi ha messo davanti il suo volto che ho cominciato ad immaginare, i suoi occhi dal colore diverso mi hanno intrappolato insieme ai suoi amici.

Non ho potuto più fare a meno di raccontarli, mi hanno trascinata in questa storia fatta di mancanze, maternità immeritate, donne frantumate, padri assenti e onnipresenti, solitudine e famiglia. Quella che si costruisce senza pensare che in quella costruzione, se manca l’amore, basta una minuscola crepa a far crollare tutto. E Alma, cresciuta con una famiglia a metà, lo sa bene. Sua sorella si chiama Sarah ed è il suo opposto, ma entrambe hanno la stessa radice del male. La loro madre le ha abbandonate troppo presto, troppo prima di costruirsi. Alma è l’opposto di Sarah, diventa madre presto e con sua figlia Sveva ha un rapporto corrotto e malefico. Ed è per questo che Sveva con sua Zia Alma ha un rapporto strettissimo e pieno d’amore. Da lei si rifugia, con lei diventa grande.

E da lì sono partita, dal bene e dal male che possono farci le famiglie, quelle in cui nasci, quelle in cui non ti riconosci.

Sono stata accanto ad Alma per mesi, per scardinare le sue paure e quelle delle tante donne e bambine che hanno camminato con me mentre scrivevo.

In questo romanzo ho provato a raccontare il coraggio della paura, il coraggio che si deve avere nel ricercare una qualche forma di felicità. Ho provato a raccontare il maleficio degli stereotipi, dei sensi di colpa, dei grembi corrotti.

Questa storia mi è venuta a cercare molto tempo fa, ma solo oggi sono riuscita a tirare fuori dalla prigione tutte quelle vicende che ho ascoltato nel corso della mia vita. Il mio mestiere ha un valore grande, quello dell’ascolto. Ho ascoltato episodi, scrittori, artisti, ho ascoltato gli altri, nella loro forma più bella e crudele. Ho cacciato tramonti e lacrime, ho rubato i silenzi e le grida. Poi ho preso un imbuto e ci ho fatto passare il resto. Sono rimaste le mie protagoniste: Alma, Sveva e Dafne, quest’ultima è stata una tempesta in un bicchiere che ho rovesciato a terra per fare diventare ogni cosa mare, quel mare che restituisce e che fa tornare tutto a galla.

Per la prima volta sono dall’altra parte della riva e ho visto quanto la scrittura riesca ad inondare e rivelare il faro da guardare.

Ho lasciato che il dolore di tutti i protagonisti, uomini e donne, attraversasse queste pagine senza nascondersi, passando sopra ognuno di loro, attraversando i corpi e i volti dei padri, delle solitudini, delle bugie che ci raccontiamo, per difenderci e difendere le persone che amiamo. Poi però la verità letteraria ti racconta tutt’altro, ed è li che la mia penna si è voluta soffermare.

Ho scelto di chiamare Alma la mia protagonista, Alma come anima, quella che torna, Alma come vita.

Quando Alma mette al mondo Leyla, sua figlia, sembra tutto cambiare.

E invece tutto, semplicemente, torna al posto in cui deve stare.

E tutto il bene e tutto il male di una vita si fanno rinascita e guarigione. Perché nessuno è immune dal dolore, nemmeno se sei una bambina.

Copertina del libro Tutto il bene tutto il male

L’AUTRICE E IL LIBRO – Carola Carulli, giornalista Rai, si occupa di cultura in tv da molti anni. È conduttrice del Tg2, e cura le rubriche “Achab” e “Tg2 Weekend” dedicate alla lettura. Segue come inviata i più grandi eventi musicali, letterari e cinematografici. Ed è autrice di diversi documentari.

Tutto il bene, tutto il male (Salani, collana “Le Stanze”) è il suo romanzo d’esordio, una storia sull’ambivalenza dei legami familiari, sulla maternità e sulla capacità delle donne di ferirsi e di aiutarsi l’un l’altra. Il libro racconta infatti la storia di Sveva, che nella casa dei suoi genitori non è mai stata felice. Sarah, sua madre, ha puntato tutto sulla bellezza e sulla conquista di un ruolo in società, per osservare il mondo da una posizione comoda.

Ma a Sveva non importa dei bei vestiti o delle scuole esclusive, né di cercare un uomo perbene e un matrimonio sicuro. Per questo, ogni volta che può scappa da sua zia Alma, la mamma che avrebbe voluto, la stramba con gli occhi di colori diversi, l’irregolare di famiglia, la ribelle a cui non va mai bene niente. In lei ha trovato un’amica e una complice, qualcuno da cui imparare il senso dell’amore, l’indipendenza e – perché no? – anche gli sbagli. Se la disobbedienza è un tratto ereditario, Sveva è certa di averla ricevuta da lei e dalla bisnonna, che aveva poteri da sensitiva e che da molto lontano continua a vegliare su di loro.

Primo piano dell'autrice Carola Carulli

Carola Carulli

Quando Alma rimane incinta di Tommaso, creatura solitaria che appartiene unicamente al mare, il fragile e complicato equilibrio familiare rischia di rompersi. Per tutti loro arriva il momento di rimettere ordine dentro se stessi o, forse, di accettare che la vita è destinata a restare eternamente inesatta e che le persone più importanti sono quelle che ti piovono addosso senza preavviso…

Abbiamo parlato di...