Nel mondo dell’informazione digitale la vastità di contenuti a disposizione è una risorsa inestimabile, ma come discernere la bontà e l’affidabilità dei contenuti? La cultura orizzontale, priva di mediatori (o almeno così parrebbe) e non gerarchica, può davvero fare a meno del sapere tradizionale? Nel saggio “La cultura orizzontale”, Giovanni Solimine e Giorgio Zanchini partono da questi interrogativi per esaminare i cambiamenti che l’iperconnessione ha portato all’idea stessa di cultura – L’approfondimento

Se dobbiamo affrontare una ricerca veloce e senza particolari necessità di approfondimento, la prima cosa che facciamo è accendere lo smartphone, digitare le parole-chiave e affidarci al motore di ricerca. Non è cosa nuova che il web abbia cambiato sensibilmente il nostro approccio alla ricerca, ma negli ultimi anni i mutamenti si sono moltiplicati, soprattutto per via dell’iperconnessione, che ha alterato l’idea stessa di cultura. Nel cinquantesimo anniversario dalla fondazione di internet, Solimine e Zanchini scrivono La cultura orizzontale, saggio edito da Laterza.

I due autori portano ognuno le proprie competenze all’interno di questo lavoro ben documentato, agile e aggiornato: Solimine, studioso di biblioteconomia e da sempre interessato ai problemi dell’editoria e della lettura, è autore dei primi dieci capitoli del volume; i successivi si devono a Zanchini, scrittore, giornalista e conduttore radiofonico, oltre che presentatore dell’ultima stagione della trasmissione televisiva Quante storie su Rai Tre.

Fin da un primo sguardo, appare chiaro come la rete abbia interferito con la definizione stessa di cultura: nel corso degli anni, la disponibilità di informazioni è andata crescendo a dismisura, mentre l’accessibilità ai contenuti si è fatta sempre più semplificata e a portata di clic; fondamentale per accedere all’informazione è, soprattutto, essere in grado di usare le nuove tecnologie. Tuttavia, l’enorme quantità di dati attualmente in rete è disordinata, e servono alcuni strumenti – a cominciare dal proprio senso critico – per scegliere consapevolmente entro il marasma di informazioni. È possibile ricomporre il sapere tradizionale e la nuova cultura orizzontale, ovvero non gerarchizzata? Le pratiche culturali online sono complementari o del tutto alternative al sapere analogico? Queste domande, che restano aperte e alle quali sarà il futuro a rispondere, sono però fondamentali nell’approccio al problema.

Solimine Zanchini la cultura orizzontale

La vecchia idea di cultura verticale, che vedeva a capo un elargitore di conoscenze – come, ad esempio, un insegnante, un esperto – è stata boicottata: la rete si è ribellata, in direzione di una maggiore libertà nella produzione, nella fruizione di contenuti e nel “fai da te”. E dunque, in un primo momento potremmo sostenere che la cultura orizzontale sia più democratica e accessibile, sia un passo avanti rispetto alla cultura gerarchica del passato. Eppure, parecchie contraddizioni e snodi problematici rendono molto più complessa la realtà. Come gli autori ci avvertono, siamo certi che questa presunta libertà della rete non sia in realtà vittima del “mainstream”, e che a scegliere per noi quali informazioni mostrarci non siano gli algoritmi?

Si discute molto in questi anni sul ruolo che hanno gli algoritmi nel decidere quali contenuti mostrare per primi. Se volete fare un esperimento, provate a cercare sui device di persone diverse la stessa voce e confrontate i risultati della ricerca. I risultati saranno diversi, o perlomeno in ordine differente: l’informazione si è personalizzata, amplificando la cosiddetta “camera dell’eco”, cioè una situazione per cui nella rete le proprie credenze risuonano e vengono riconfermate da un numero elevato di ripetizioni delle stesse. Questo pare rischioso, dal momento che tale personalizzazione dell’informazione per Zanchini e Solimine contraddice il concetto di pluralismo di idee da cui il web ha preso le mosse.

In ogni caso, la disintermediazione non esiste davvero; semmai, l’intermediazione si è ormai solo “spostata”: al posto dell’esperto accreditato, oltre ai succitati algoritmi, si preferisce la figura di un influencer, colui o colei che ha saputo crearsi un pubblico che si fida in nome dell’esperienza, non tanto degli studi compiuti: insomma, si impara facendo, sperimentando. Amatorialità e professionalità si avvicendano sul web e i più giovani vi si affidano per recensioni di libri, di film, di videogiochi, nonché per lezioni e contenuti di studio.

Il mediatore del futuro, è ormai certo, si muoverà sempre di più per vie orizzontali e non verticali: ma come distinguere i contenuti di qualità? Secondo gli autori, le biblioteche potrebbero essere il luogo adatto per la cosiddetta “Information Literacy”, ovvero per l’educazione e l’orientamento a caccia di informazioni corrette, a scapito delle tanto dibattute fake news. Anche la scuola ha un ruolo fondamentale in questo, per aiutare i ragazzi a muoversi consapevolmente tra le fonti e scegliere solo quelle autorevoli. Se non ci sarà un’educazione all’uso dei media, gli utenti, sempre più onnivori, resteranno schiacciati dalla quantità e dal caos dei contenuti, limitandosi a essere dei fruitori passivi.

Si pensi, ad esempio, al mondo dell’informazione: nel 2018 è stato registrato un calo di 240.000 copie al giorno di quotidiani rispetto al 2017, unito alla conseguente diminuzione di investimenti pubblicitari. Moltissime sono infatti le persone che si informano ormai sul web, anziché sulla carta stampata o sui quotidiani digitali; a tanti basta consultare il newsfeed di Facebook, e anche i siti di informazione sono visitati in media per un tempo di due minuti e mezzo. Insomma, il consumo critico dell’informazione appartiene a una minoranza di persone, le quali, in ogni caso, sono sempre meno disposte a pagare per il sapere. Questo genera una crisi nel settore dell’informazione e una ricaduta, oltre che culturale, anche sociale ed economica.

Altro punto di grande interesse trattato nel saggio è l’impatto che queste trasformazioni hanno avuto e stanno avendo tuttora sulla nostra mente: accanto all’acquisizione di nuove abilità, come la lettura frammentata, ovvero la capacità di “scansionare” la pagina molto più rapidamente di prima, parecchi utenti non sanno più analizzare un testo in profondità.

Leggere un libro è un’attività che richiede una concentrazione esclusiva e una capacità attentiva elevata; eppure con la diffusione massiccia degli smartphone la parola scritta è ovunque. Semmai, occorre chiedersi quale sia la qualità della comunicazione. E se la parola scritta resisterà a lungo, perché secondo gli autori, i video diventeranno presto la fonte primaria di conoscenza e di apprendimento, dal momento che sono sempre di più i contenuti visivi presenti online (già adesso circa il 58% del traffico Internet è legato alla fruizione di file video).

In ogni caso, come già anticipato, le maggiori trasformazioni non sono tanto dovute all’uso di internet tout-court, ma all’essere sempre connessi. Internet diventa così una dimensione permanente che si sovrappone a qualunque altra attività, invadendola e, talvolta, fagocitandola. Ciononostante, ci sono campi del sapere che resistono bene alla iperconnessione e, anzi, se ne servono. Nella seconda parte del libro vengono analizzati i principali consumi culturali dei diciottenni e si constata che le percentuali di fruizione sono molto più alte di quelle che riguardano gli adulti. La musica, ad esempio, per quanto sia cambiata (al posto del supporto fisico ora ci sono contratti di streaming, a pagamento o meno) e sia fortemente influenzata dal numero di visualizzazioni e dalla condivisione sui social, è ancora molto amata. Se la televisione ha perso la sua centralità tra gli under-18, la radio ha saputo invece trasformarsi nel tempo, offrendo i podcast o moltiplicando l’offerta. Interessante è notare come il cinema sia ancora molto amato, per quanto tanti ragazzi ritengano una spesa onerosa il biglietto (solo un giovane su cinque va al cinema più di una volta al mese). Anche i videogiochi, che devono ormai essere inseriti nell’analisi della cultura di un Paese, sono in crescita: il 37% degli italiani tra i 6 e i 64 anni ha giocato almeno una volta negli ultimi dodici mesi su console; ma i dati crescono notevolmente, se si includono i giochi su smartphone, dal momento che la facilità, spesso la gratuità, la velocità di accesso e la vasta scelta rendono i giochi alla portata di tutti. Fenomeno invece più insolito è la crescita annuale dei festival, che, nel nostro paese, hanno portato molti nuovi utenti a contatto con i propri artisti preferiti, per quanto forse i giovani qui presenti siano delle minoranze virtuose.

La lucida analisi condotta da Solimine e Zanchini, corredata da molte statistiche, offre un quadro variegato di questa nostra cultura orizzontale: è stato complesso condurre una mappatura, proprio per via della vastità e della stratificazione delle esperienze culturali online. E appare auspicabile che, sulla scia dei dati proposti, la cultura orizzontale non cozzi continuamente con quella verticale, ma – anzi – che le due si fondano: oltre alla vastità dei contenuti autoprodotti e compartecipati online, va affinata negli utenti la capacità di discernere la bontà delle informazioni.

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