“Da piccola i libri erano, insieme alle bambole, gli oggetti del mio desiderio. Gli uni e le altre mi arrivavano di rado e ne avevo molta cura. Mi facevo foderare ogni libro da mia madre, come si usava per quelli di scuola perché non si sciupassero”. Abbiamo intervistato Donatella Di Pietrantonio, al debutto nella letteratura per l’infanzia con il toccante (e divertente) “Lucciole, squaletti e un po’ di pastina”. La scrittrice Premio Strega racconta: “Sono diversi gli stimoli che, negli anni dell’infanzia di mio figlio, mi hanno portata a scrivere queste storie…”. Tra le altre cose, parla dei suoi autori di riferimento, e del suo rapporto con i giovanissimi lettori: “Provo la gioia di parlarci e soprattutto di ascoltarli. Mi sorprendono sempre, li amo”
Vincitrice del Premio Strega 2024 con L’età fragile e, in precedenza, del Campiello 2017 con il longseller L’Arminuta, Donatella Di Pietrantonio è una delle più apprezzate autrici italiane.
La scrittrice abruzzese ci ha parlato del suo debutto nella letteratura per l’infanzia, Lucciole, squaletti e un po’ di pastina, un libro – edito da Salani e accompagnato dalle toccanti illustrazioni di Andrea Tarella – che narra “storie che incantano, divertono e commuovono, e che a lungo rimangono nel cuore e nella mente di chi le legge”.
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Nel suo primo libro per bambini trovano spazio sette storie, e i personaggi e le atmosfere sono molto particolari: com’è nato Lucciole, squaletti e un po’ di pastina?
“Sono diversi gli stimoli che, negli anni dell’infanzia di mio figlio, mi hanno portata a scrivere queste storie. Innanzitutto lui: era un bambino molto curioso, innamorato degli animali, che fossero viventi o estinti, dai grandi dinosauri agli insetti. Giocava al piccolo paleontologo o entomologo. A parecchie delle sue domande non sapevo rispondere…”.
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Per esempio?
“‘Esistono degli squali vegetariani’? D’istinto dicevo di no, ma poi continuavo a pensarci su, e a fantasticare di uno squaletto che, a un certo punto, cominciava a nutrirsi di alghe. Se possono scegliere gli umani potrebbero farlo anche i pesci, no? Così è nato Amici di pinna. Anche i miei giovani pazienti mi hanno regalato suggestioni”.
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Quali?
“Ad esempio ne ricordo uno di pochi anni appassionato di numeri, che contava in avanti e all’indietro con la stessa facilità. Con lui prima di iniziare a curare un dente inventavamo una partita tra un branco di lupi e i cani pastori. Aumentavano lupi e cani, diminuivano le povere pecore del gregge… Naturalmente hanno avuto la loro parte anche le storie lette o ascoltate da bambina e sedimentate nella memoria, comprese le versioni dialettali delle fiabe classiche, che portavano sempre punti di vista particolari e dettagli piuttosto cruenti. Per ogni forma di scrittura sono necessarie letture precedenti, fossero anche modelli lontani. In Lucciole, squaletti e un po’ di pastina le atmosfere sono forse l’effetto di un’oscillazione spontanea tra l’umorismo e la poesia, che mi sembrano registri appropriati per i bambini”.
Ha appena citato la sua infanzia. Da bambina che rapporto aveva con i libri e le storie? C’è una lettura che l’ha particolarmente segnata?
“I libri erano, insieme alle bambole, gli oggetti del mio desiderio. Gli uni e le altre mi arrivavano di rado e ne avevo molta cura. Mi facevo foderare ogni libro da mia madre, come si usava per quelli di scuola perché non si sciupassero. A volte, dal paese, la signora che distribuiva i testi scolastici mi mandava qualcosa che le capitava tra le mani, anche se inadatto per l’età. Confidava nella mia passione per la lettura. Così ho affrontato I Promessi Sposi a nove anni. Naturalmente trovavo noiose alcune parti, troppo lunghe certe descrizioni, spaventosa la peste, ma ero comunque avvinta dall’amore contrastato tra Lucia e Renzo. Così andavo avanti, per vedere come andava a finire. Credo di esserne rimasta segnata come lettrice, nel senso che è stato un esempio precoce di letteratura alta. E mi ha riconfermata nell’idea, anche quella precoce, che la vita è un’avventura faticosa, tormentata, talvolta pericolosa e di rado felice”.
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Da autrice, oggi ci sono scrittrici o scrittori per ragazzi che stima particolarmente?
“Sono molto numerosi, ma voglio citarne uno che mi è piaciuto negli ultimi anni. Credo di aver regalato Il bambino, la talpa, la volpe e il cavallo di Charlie Mackesy a tutti i bambini che amo. È una storia semplice e poetica, illustrata dall’autore. Racconta lo stupore, anche l’inquietudine davanti alla vastità del mondo e la possibilità di abitarlo insieme, aiutandosi a superare la paura. Ma poi apprezzo tanto il lavoro di chi illustra in un modo così suggestivo da rendere quasi superflue le parole. Dell’infanzia di mio figlio non posso dimenticare l’incanto suo e mio davanti ai libri di Wolf Erlbruch, soprattutto La grande domanda e L’anatra, la morte e il tulipano. Ne ammiravo la sintesi ironica e la pluralità dei punti di vista sul perché siamo al mondo. E la sua capacità di presentare la morte, questo grande tabù, ai lettori più giovani. D’altronde Erlbruch, come tutti i grandi scrittori per l’infanzia, non parla solo ai bambini, ma anche a chi legge per loro. Posso dire che è stato il mio autore/illustratore preferito, scoperto solo grazie alla nascita di mio figlio”.
A proposito, ci ha preso gusto? Ha già in mente un’altra storia per bambine e bambini?
“Non al momento. A volte penso che potrei scrivere non per bambini, ma di una bambina…”.
Quando si parla di promozione della lettura tra le nuove generazioni, a scuola e non solo, non mancano problematiche e punti di vista diversi: da autrice e appassionata lettrice, negli incontri che terrà con le classi, come cercherà di porsi?
“Non saprei dirlo adesso. Come ho sempre fatto anche nel mio altro lavoro, mi rapporterò ai bambini affidandomi all’empatia e all’estro del momento. Ogni volta vedo che il mio linguaggio si modella naturalmente sul loro modo di esprimersi. Provo la gioia di parlarci e soprattutto di ascoltarli. Mi sorprendono sempre, li amo”.
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