L’amore è un tema senza tempo: la poeta e saggista canadese Anne Carson ne esplora complessità e sfumature in “Eros, il dolceamaro”, un’indagine in cui riflette sul desiderio attraverso un appassionato dialogo con la letteratura di ogni epoca. Dai greci antichi Saffo e Platone, passando per la Roma di Catullo, fino ai più contemporanei Virginia Woolf, Kafka, Yasunari Kawabata e Italo Calvino

Un tempo – racconta un mito greco – gli esseri umani erano organismi rotondi, composti da due persone unite insieme in una sfera perfetta. Accecati dall’ambizione e dalla brama di potere, tentarono di spodestare gli dèi dall’Olimpo, ma furono vinti da Zeus che, per punirli, li tagliò in due, condannando così ognuno a cercare la sua metà perduta per il resto della vita, nella speranza di tornare di nuovo intero.

Con questo mito, riportato nel celebre Simposio di Platone, il commediografo ateniese Aristofane cerca di dare una spiegazione ai meccanismi dell’eros, l’amore.

Oltre duemila anni dopo, le sue parole risuonano anche per i moderni: la continua ricerca dell’altro, la tensione costante verso la persona amata sono alla base dell’esperienza amorosa che noi tutti facciamo ancora oggi.

L’amore è un tema senza tempo: la poeta e saggista canadese Anne Carson ne esplora complessità e sfumature nel suo libro Eros, il dolceamaro, pubblicato in Italia per la prima volta da Utopia, nella traduzione di Patrizio Ceccagnoli e con una prefazione di Emmanuela Tandello.

anne carson eros il dolceamaro

Nella sua indagine, articolata in trentaquattro brevi capitoli, l’autrice riflette sul desiderio attraverso un appassionato dialogo con la letteratura di ogni epoca: dai greci antichi Saffo e Platone, passando per la Roma di Catullo, fino ai più contemporanei Virginia Woolf, Kafka, Yasunari Kawabata e Italo Calvino.

Carson si muove avanti e indietro nella storia per cercare di rispondere a molte domande. Una su tutte: che cos’è l’eros?

Può interessarti anche

Nel VI secolo a.C., la poeta greca Saffo fu la prima a cogliere una caratteristica fondamentale del desiderio amoroso: la sua lacerante ambivalenza. La racchiuse nell’aggettivo dolceamaro (in originale: γλυκύπικρον), che Carson prende in prestito per il titolo del saggio. Dolce e amaro, piacere e dolore, uno accanto all’altro in un unico termine. È attraverso un gioco di ambivalenza contraddittoria che si manifesta infatti l’eros.

Diceva Simone Weil: “Tutti i nostri desideri sono contraddittori come il desiderio per il cibo”, descrivendo il sentimento dell’amore in termini di fame e sazietà, “io voglio che la persona che amo mi ami. Se, però, diviene totalmente devota, per me cessa di esistere e io smetto di amarla. E finché non è totalmente devota, allora, non mi ama abbastanza“. Un meccanismo basato sul paradosso: per Sartre non è altro che un “imbroglio”, per Simone de Beauvoir “una tortura”.

Ma l’amore è soprattutto mancanza: l’amante desidera soltanto (e proprio) ciò che non ha, ed è solo grazie a questa assenza che nasce il desiderio. Nell’avanzare della sua analisi, Carson percorre la traiettoria dell’eros, ne delinea i confini: lo vede protrarsi dall’amante alla persona amata, e da questi rimbalzare, tornare indietro e svelare, nell’amante, un vuoto, un abisso. “Quando io ti desidero, una parte di me non c’è più: la voglia di te mi consuma”. L’amante prova “nostalgia per l’interezza” delle origini: per tornare completo, non può che continuare a cercare la sua metà mancante.

L’eros si trova quindi ai confini delle cose, in quella distanza che separa i due amanti, teso verso l’oggetto del desiderio senza mai possederlo. A colmare quel vuoto, quello scarto, interviene l’immaginazione, un atto di pensiero, racchiuso tutto nella mente dell’amante. Da sempre depositaria dell’esperienza umana, la letteratura riproduce questi complessi schemi del desiderio: quando Anna Karenina rivede il suo Vronsky, la prima cosa che fa è paragonarlo all’immagine che ha di lui nella sua mente, un’immagine – precisa Tolstoj – “incomparabilmente superiore e impossibile nella realtà”; l’eroica Bradamante de Il cavaliere inesistente di Italo Calvino si innamora dell’unico personaggio che non potrà mai avere, perché non esiste.

Nel fare esperienza dell’amore, due immagini prendono forma e si sfiorano, senza mai, però, fondersi l’una con l’altra, perché – spiega Carson – “una è reale, l’altra è soltanto possibile. Conoscerle entrambe, lasciando visibile la differenza, è il sotterfugio che si chiama Eros”.

Perché partire dall’età arcaica per parlare di un sentimento così universale? La scelta non è casuale. I poeti lirici che Carson esamina sono stati i primi a concepire l’amore in termini dialettici, perché sono stati anche i primi a metterlo in forma scritta. La Grecia antica segna infatti al passaggio dalla cultura orale a quella scritta, con il delinearsi dell’alfabeto. E Carson sottolinea che “un individuo che vive in una cultura orale impiega i suoi sensi in modo diverso da chi vive in una cultura scritta”. Il processo di scrittura coinvolge chi scrive in maniera totalizzante: le sue emozioni passano attraverso una contemplazione privata, per poi prendere forma su una superficie fisica, seguendo i confini delle lettere dell’alfabeto.

Ecco che quindi “nelle lettere come nell’amore”, continua l’autrice, “immaginare vuol dire rivolgersi a ciò che non c’è”. Carson mette in luce l’eterno legame tra amore e scrittura: “Per scrivere parole operiamo uno scambio: un’assenza sonora in cambio di un simbolo. Scrivere le parole ‘ti amo’ richiede un’ulteriore, analogo scambio, che ha implicazioni molto più dolorose. L’assenza dell’amato dalla sintassi della nostra vita non è un’evidenza che le parole scritte possono cambiare. E quell’evidenza è tutto ciò che conta per un innamorato: il tu e l’io non sono una cosa sola“.

Libri consigliati