“Argomentare, Watson!”, libro del divulgatore Eugenio Radin, insegna a riconoscere fallacie e falsi argomenti attraverso le storie di uno dei più grandi ragionatori di tutti i tempi: Sherlock Holmes. “Se vogliamo far sì che gli altri smettano di comunicare male, dobbiamo essere noi i primi a cercare di evitare quei trucchi che in qualche modo ci possono anche avvantaggiare”, spiega l’autore, intervistato da ilLibraio.it…

Come facciamo a distinguere un ragionamento corretto da uno scorretto? Esiste un modo di ragionare giusto, che conduca a conclusioni valide? Sì, esiste e si può imparare. È un’arte antica, risale alla Grecia di Pericle, l’ha codificata Aristotele: è l’arte dell’argomentazione

In Argomentare, Watson!, saggio edito Ponte alle Grazie in uscita il 30 gennaio, l’autore classe ’94 Eugenio Radin tratta il tema dell’argomentazione e delle fallacie logiche.

Vicentino e diplomato in violino al Conservatorio, dopo la laura magistrale in Filosofia Radin ha iniziato a lavorare come social media manager. Dal 2022 ha aperto White Whale Cafe, un profilo Instagram da oltre 105mila follower dove parla di filosofia e letteratura.

Nel libro insegna a riconoscere fallacie e falsi argomenti attraverso le storie di uno dei più grandi ragionatori di tutti i tempi: Sherlock Holmes, che guida lettrici e lettori – insieme all’esterrefatto Watson – a disvelare gli inganni argomentativi. È dal sonno della ragione che nascono i mostri, ma possedere la spada affilata dell’argomentazione e saperla usare può aiutarci a sconfiggerli, di qualsiasi tipo essi siano: reali, immaginari, politici, etici e comunicativi.

ilLibraio.it ha intervistato l’autore per parlare del libro, di divulgazione e di ispirazioni saggistiche e letterarie.

Argomentare, Watson di Eugenio Radin

Argomentare, Watson! utilizza la figura del celebre investigatore Sherlock Holmes (e dell’impareggiabile spalla Watson) per spiegare le fallacie argomentative più comuni. Com’è nata questa idea?
“Dall’esigenza di spiegare a un vasto pubblico che cosa sono le fallacie argomentative e in che cosa consiste una buona comunicazione. Quest’ultima è fondamentale se vogliamo migliorare il nostro presente e anche, ovviamente, il nostro futuro. L’argomentazione è però da sempre legata a un ambiente accademico, a dei ‘grigi’ libri di manualistica. Da qui l’idea di trattare il tema con un approccio più pop e divertente, che prende a piene mani dal romanzo e dai grandi gialli…”.

A proposito di grandi gialli, quando è nata invece la passione per i racconti di Arthur Conan Doyle?
“Diciamo che a Sherlock Holmes sono debitore… I racconti di Arthur Conan Doyle sono stati forse la prima lettura che mi ha trasformato in un lettore vorace. Li ho divorati tutto d’un fiato all’inizio delle scuole superiori, e mi è capitato di riprenderne in mano qualcuno negli anni. Per scrivere questo libro, mi ci sono ovviamente rituffato a capofitto. Insomma, quando ho pensato a un personaggio che potesse essere d’aiuto mi è subito venuto in mente Sherlock Holmes, non solo perché è un campione del ragionamento, ma anche dato il mio passato di lettore. Dopo tutti i romanzi che ho letto su di lui lo considero quasi un amico!”.

Parlando invece di fallacie argomentative, qual è quella più comune oggigiorno nel dibattito pubblico? Quell’errore che riscontra più frequentemente e che, scrivendo il libro, le ha portato alla mente più collegamenti con l’attualità?
“Premetto che nel libro ho inserito le dieci fallacie più comuni, ma in realtà sono centinaia e vengono usate in qualsiasi tipo di contesto. Quando ho iniziato a scrivere la prima che mi è venuta in mente è senza dubbio la fallacia ad personam”.

In che cosa consiste?
“In sintesi, nell’attaccare direttamente l’interlocutore anziché ascoltare quello che sta dicendo e controargomentare. Insomma, anziché ascoltare ciò che una persona ha da dire – anche se è un ‘avversario’, magari sono comunque cose intelligenti! – la si attacca sul piano personale, dal punto di vista fisico o intellettuale, considerando di fatto chiuso a priori il dibattito”.

E dove l’ha ritrovata maggiormente?
“Purtroppo questo approccio mi sembra oggi estremamente diffuso, anche in politica: noi cerchiamo sempre di parteggiare per chi sta dalla nostra parte e consideriamo gli avversari sempre nel torto. Questa dovrebbe essere invece la regola numero uno del dibattito: ascoltare gli argomenti, ascoltare quello che viene detto come se avessimo una benda sugli occhi che impedisse di vedere chi parla”.

E invece, dato che la sua opera prende spunto da un capolavoro della narrativa, ha per caso mai incontrato un’evidente fallacia argomentativa in un romanzo?
“Ogni tanto devo ammettere che riconosco dei ragionamenti fallaci anche nei romanzi. Ad esempio, ne I promessi sposi, quando Renzo va dall’Azzeccagarbugli quest’ultimo inizia a parlargli con un linguaggio estremamente – e sospettosamente – tecnico. Il tutto senza dire di fatto nulla di sensato, con il solo scopo di confondere il povero uomo. Ecco, qui ci troviamo di fronte alla fallacia argomentativa della cortina fumogena, definibile anche, in onore di un grande film italiano come Amici miei, una supercazzola!”.

Se solo Renzo avesse letto Argomentare, Watson!
“Ecco, se avesse studiato argomentazione non sarebbe di certo caduto nel tranello… Però in compenso noi non avremmo avuto uno dei più grandi romanzi dell’Ottocento”.

Passiamo ora alla sua opera divulgativa sulla pagina White Whale Cafe: quando e come è nata? 
“Mi sono laureato in filosofia e poi ho iniziato a lavorare nella comunicazione digitale. A un certo punto, però, ho avuto l’esigenza di un output culturale nel mio lavoro, quindi mi sono detto: ‘Utilizzo i social per lavoro e ho studiato filosofia, facciamo 2+2’. Un anno e mezzo fa ho aperto la pagina Instagram, quasi per gioco, ma i contenuti sono piaciuti così tanto da farla crescere a vista d’occhio, soprattutto nell’ultimo anno”.

Come si è approcciato invece al medium digitale, spesso considerato troppo “astratto” in confronto al “concreto” insegnamento frontale?
“Forse mi sposto di più sul terreno della filosofia, ma penso che non dovremmo confondere digitale e irreale. Il digitale, pur non essendo materiale, è una piazza molto reale. E la piazza, sin dai tempi di Socrate, è sempre stato il fulcro comunicativo del Paese, non solo nei simposi degli intellettuali ma anche per il popolo. Se la piazza più grande che abbiamo oggi sono i social network, allora penso che il sano dibattito debba essere portato anche lì”.

A proposito di dibattito online, oggi è – spesso e volentieri – “terreno fertile” per scontri acritici, rumorosi, in cui ricorrono numerose fallacie. Secondo la sua esperienza pensa che uno scambio civile e ordinato sia possibile o, date le caratteristiche del medium, sia di fatto un’utopia?
“Credo che in parte dipenda da noi. Sicuramente sarà difficile trasformare di punto in bianco il web in uno spazio in cui non vengono più commessi errori argomentativi. Ognuno di noi può però fare una piccola parte”.

Come?
Innanzitutto cercando di capire dove risiedono gli ‘sgambetti’ comunicativi e, in secondo luogo, evitando in prima persona di porli. Il primo punto è sempre l’autocritica: se vogliamo far sì che gli altri smettano di comunicare male, dobbiamo essere noi i primi a cercare di evitare quei trucchi che in qualche modo ci possono anche avvantaggiare. Il tutto, per raggiungere un obiettivo comunicativo comune”.

Quale?
“Il nostro obiettivo non deve essere quello di vincere, ma quello di convincere, cioè di vincere assieme. Giungere assieme ad una posizione migliore. Per farlo dobbiamo fare a meno di queste armi sleali e utilizzare gli argomenti come strumento di convinzione”.

White Whale Cafe è una pagina che tratta tematiche accademiche in maniera pop. A quali divulgatori si ispira?
“Mi viene subito in mente Roberto Mercadini, che ci si occupa dei temi più disparati ma che, prima di tutto, è un grande comunicatore. Inoltre, mi piacciono molto i divulgatori scientifici come Dario Bressanini o Giacomo Moro Mauretto di Entropy for Life, che in qualche modo hanno una modalità e un approccio a metà tra il pop e l’accademico”.

A proposito di differenti modalità comunicative, ci sono altri spazi in cui porta la sua divulgazione? O, perché no, in cui la vorrebbe portare.
“Sono presente anche su Tik Tok, su cui pubblico in parallelo con Instagram. Ho anche una newsletter settimanale in cui parlo di temi per iscritto, in maniera più ampia e approfondita. Riguardo agli altri social – ad esempio YouTube, i canali Podcast o Twitch – devo ammettere che ci ho pensato… Senza sbilanciarmi ulteriormente, potrebbero arrivare novità”.

Tornando invece alla carta stampata, quali sono i testi di saggistica (ma anche, perché no, di narrativa) che l’hanno ispirata nella stesura di Argomentare, Watson!?
“Parlando di narrativa il consiglio è scontato… ovviamente tutte le opere di Arthur Conan Doyle! In particolare ho a cuore due romanzi: Uno studio in rosso, primo testo in cui compare Sherlock Holmes, e Il mastino dei Baskerville, che ha un’atmosfera decisamente unica”.

Per quanto riguarda i saggi, invece?
“A tema fallacie argomentative non posso non citare 50 discorsi ingannevoli. Argomenti per difendersi, attaccare, divertirsi (GB, 2011) di Adelino Cattani, che è stato il mio professore. La prima volta che ho incontrato questi argomenti è stato proprio tra queste pagine. Un altro testo che mi ha ispirato – più o meno direttamente – è Pensieri lenti e veloci (Mondadori, 2020) di Daniel Kahneman, una lettura che sviscera i pregi di un ragionamento più lento, e di conseguenza più efficace. L’ultimo testo è invece un brevissimo saggio scritto da Kant: Che cos’è l’illuminismo? (Mimesis, 2021). Non parla di argomentazione, ma lo cito perché penso di aver scritto questo libro con uno spirito illuminista, improntato quindi sulla razionalità, l’arma più potente che abbiamo per migliorare”.

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