Nel romanzo “Farmaco”, l’autrice maiorchina Almudena Sánchez racconta della sua depressione in modo travolgente e impulsivo, ma anche con l’autoironia di chi, dalla malattia, è riuscita a guarire, “grazie alla pazienza e alla chimica”

Questo libro è per persone tristi con il senso dell’umorismo, che qualche volta hanno sentito che il cervello le abbandonava, gli sfuggiva dalle mani, quelle mani che sono le uniche parti del corpo puramente realiste con cui afferiamo cose sensibili e abbracciamo, abbracciamo tanto”.

Questa è la dichiarazione d’intenti che Almudena Sánchez inserisce nelle prime pagine del suo Farmaco (Polidoro, traduzione di Marta Rota Núñez).

Farmaco di Almudena Sánchez
A voler sintetizzare Farmaco in una frase, come si farebbe con un claim nella pubblicità, si potrebbe dire che questo è un romanzo sulla depressione della sua autrice. Ma Farmaco, in verità, è ben di più: ha la forma della depressione, e anche quella della guarigione.

Il percorso che Almudena Sánchez ci invita a seguire attraverso le sue pagine ci porta a raggiungere con lei l’abisso della “malattia più grande, invisibile, inaspettata, distruttiva, egoista, insana, paranoica, squallida, lurida e tendenziosa che io abbia mai avuto”, per poi riemergere – con il fiato corto, le gambe che fanno male e un accenno di ghigno sulla faccia.

Leggendo Farmaco ci trasferiamo a Maiorca, dove Sánchez trascorre la sua giovinezza come forestiera: “Sognavo in castigliano. Ridevo in castigliano“. E poi ci spostiamo nella sua cucina, nel suo ripostiglio disordinato, tra i suoi farmaci antidepressivi e nelle aule di scuola che ha abitato, tra violenze e lacrime. Ci lasciamo schiacciare dalle coperte del letto, senza voler uscire, dagli scaffali del supermercato troppo altri, dalla fatica di parlare, immaginare, vivere. In mezzo a tutto questo disordine, però, ci concediamo anche di sorridere, guidati dall’autoironia dell’autrice e da una buona dose di humor, quella di cui sono capaci le persone che hanno superato il baratro.

Tutti questi spostamenti li attraversiamo con una frenesia che non sembra compatibile con la serenità. Pagina dopo pagina, la sensazione è quella di affanno e di confusione.
La lingua dell’autrice è una lingua veloce, quasi schizofrenica. È una lingua che riproduce con precisione geometrica la centrifuga a velocità massima che turbinava nella sua mente.

Esiste una regola aurea nella scrittura: show don’t tell, mostra invece di raccontare. Ecco: Sánchez fa questo, mostra cosa sia la depressione attraverso il ritmo delle sue parole, la brevità delle sue frasi e l’alternarsi rapido di temi lontani.

Con questa andatura nervosa, in Farmaco si succedono racconti d’infanzia, riflessioni sulla malattia, dichiarazioni d’intenti dell’autrice, incubi e tweet. E poi daccapo.

Sánchez ci porta con sé attraverso la storia della sua depressione, da quando è “esplosa” a quando è guarita: “Avevo bisogno di scoperchiare la mia infanzia. I farmaci sono stati imprescindibili per la mia guarigione: hanno spinto lo slittino”.

Poche settimane prima dell’uscita di Farmaco, è stato pubblicato Poverina, di Chiara Galeazzi, un’altra storia di malattia, questa volta dell’ictus avuto dall’autrice a soli 34 anni. Ho letto Poverina e Farmaco a pochi giorni di distanza e mi sono ricordata di quanti modi possano esistere per raccontare ed esorcizzare il dolore, per provare a controllare un cambiamento inaspettato del proprio corpo e della propria mente. Entrambi questi libri, avvicinano la malattia senza giri di parole, con schiettezza e con durezza. Ma, pur essendo due storie raccontate dal dopo, ad abisso superato, finiscono con l’avere due forme molto diverse. Chiara Galeazzi si ritrova di fronte a una malattia con la quale non ha familiarità; è una malattia che non conosce e che, di certo, non immaginava sarebbe potuta capitare a lei. Così, la necessità è quella di fare ordine, di comprendere. E nel farlo, l’approccio è quello dell’autrice comica, capace di sfruttare ogni occasione per ridere senza comprometterne la complessità: “È ovvio che questo evento mi abbia profondamente segnata. Ma è davvero necessario ribadirlo?”.

Almudena Sánchez, invece, si ritrova nel turbine di una malattia mentale caotica e disordinata e sceglie di riprodurla nelle sue pagine per scongiurarla e, soprattutto, per farci pace. “Scrivere i propri pensieri significa cominciare a viverli”.

I libri che parlano di depressione sono tanti. I libri che hanno la forma della depressione, e si concedono anche qualche battuta, invece no. Per questo, leggere Farmaco è una missione aspra, ma capace di accompagnare dentro profondità per le quali raramente si trovano ciceroni.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Libri consigliati