“Le donne trans molto spesso non escono di casa perché hanno paura di essere costantemente guardate, hanno paura per la loro salute. Ho visto delle mie amiche insultate e derise davanti ai miei occhi…”. “Tutte le mie cose belle sono rifatte” è il nuovo libro di Fumettibrutti (che domenica 17 novembre sarà ospite di Bookcity Milano), famosa per le sue strisce comiche e per la “Trilogia esplicita” in cui ha raccontato la sua vita. Ancora una volta Josephine Yole Signorelli parla della sua vita travagliata, ma stavolta lo fa “prendendo le distanze” da certi episodi del passato. Ne emerge un racconto dall’umorismo sfrontato, nel quale è il corpo stesso, un pezzo alla volta, a parlare. Come spiega in questa intervista, in cui svela: “Ora sto scrivendo un romanzo…”
Fumettibrutti avvisa subito lettori e lettrici all’inizio del suo nuovo libro: ci andrà giù pesante.
Tutte le mie cose belle sono rifatte (Feltrinelli Comics) segue il successo della “trilogia esplicita” composta da Romanzo Esplicito (2018), P. (2019), e Anestesia (2020), usciti sempre per Feltrinelli Comics, ma devia decisamente da quel tracciato.
Anche in quest’ultima opera l’autrice, che è diventata famosa anche grazie alle sue strisce comiche su Instagram, parla della sua vita travagliata ma, stavolta, lo fa “prendendo le distanze” da certi episodi del passato, e usando un umorismo sfrontato.
Parte dal suo corpo, un elemento chiave della sua storia personale in quanto donna transgender, e fa parlare ogni singola parte di esso che sia stata sottoposta a “rifacimento”, chirurgico o meno. Parte dai denti, ora che finalmente si può permettere di indossare un apparecchio, per andare a ritroso a raccontare gli episodi, spesso violenti e drammatici, che l’hanno portata a costruire il corpo femminile che corrispondeva alla sua immagine interiore.
Fumettibrutti (nome d’arte di Josephine Yole Signorelli, nata a Catania nel 1991) ha parlato con ilLibraio.it del suo nuovo libro, che promette ancora una volta di divertire e far riflettere.
Questo libro arriva dopo la trilogia, è un punto di svolta. Quali sono le tue aspettative?
“Sono curiosa di vedere come verrà accolto. Ho preso molta distanza dai fatti che racconto, e quindi sono molto più forte di quando ho scritto P., quando ci siamo sentite la prima volta (per un’intervista per ilLibraio.it del 2019 ndr), perché con quello avevo fatto coming out ed ero veramente nel panico, e inoltre uscivo da una forte depressione”.
Il libro comincia con te che affermi di voler smettere di fare fumetti e reciti un monologo di stand up comedy…
“Sì, tra l’altro è una cosa che farò per presentare il libro. Ho preparato un reading-spettacolo e lo porterò in giro. Saranno pochissime le conversazioni che farò, tra cui, ad esempio, quella con Jonathan Bazzi a Milano in occasione di BookCity, il 17 novembre (nell’ambito del nuovo format Books Friends Forever, in collaborazione con il nostro sito – qui il link per prenotarsi all’incontro gratuito, che si terrà presso Base Milano alle ore 11, ndr). Farò proiettare le tavole alle mie spalle e le interpreterò aggiungendo i commenti. Chi l’ha visto ha detto che fa ridere!”.
Potrebbe esistere Fumettibrutti senza l’umorismo?
“Credo di no. Una cosa che sicuramente differenzia questo lavoro dai precedenti è che io, comunque, mi ero sforzata anche negli altri di inserire delle battute, ma ho comunque assecondato la storia. La scrittura della trilogia ha una voce coerente, per quanto abbia scritto i tre volumi tra il 2018 e il 2020. Invece in questo ho provato a riprendere delle cose da cui adesso appunto, ripeto, ho preso le distanze e le ho raccontate come se fossero delle vignette sul web, dove invece ho sempre fatto la cogliona e, te lo dico in tutta sincerità, non lo posso più fare perché verrei bannata seduta stante dall’algoritmo”.
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Ti riferisci a Instagram?
“Esatto, penso che siano contenuti che immediatamente Instagram bannerebbe. Ricordo quando feci la striscia del genio della lampada che usciva da un pene durante un pompino. Certe cose non potrei più pubblicarle, lì. Questo perché nel 2021, mi sembra, è passata una legge negli Stati Uniti per cui ogni contenuto a sfondo sessuale è vietato dalle piattaforme. Immagina un posto dove continuamente sei silenziata, o comunque non vengono trasmesse le tue battute. Non ho più interesse nemmeno a pubblicare foto. Ora sto usando Instagram solo come veicolo per dare informazioni. E anche a livello politico, ti dico la verità, un posto dove non posso condividere apertamente la mia posizione pro-Palestina, sinceramente non è un posto che mi fa stare bene”.
Mi incuriosisce sapere come è nato un libro così diverso, per parlare di corpo e di “parti rifatte”. Da quale esigenza? E, immagino, anche quanti sforzi è costato?
“Il preambolo fa ridere. Ero stata invitata a Venezia per la Biennale, due anni fa, e lo stilista mi ha dato un vestito che lasciava tutta la pancia scoperta, fino a sotto l’ombelico. La mia agente mi ha guardata e mi ha detto: ‘Hai davvero un bell’ombelico’. Le ho detto che è rifatto, ed è vero. Aver ‘rifatto’ delle parti è un aspetto che fa parte di me. Ovviamente ci ho sempre pensato. Nel corso del tempo, mentre ho cambiato parte del mio corpo, non è che sono sempre stata orgogliosa di questa cosa. Non l’avevo mai celebrata, anche perché sono degli aspetti che, in generale, fanno ridere”.
Puoi spiegarti meglio?
“Mi facevano ridere, perché comunque ho sempre fatto ironia su di me, ma mi sono resa conto che negli anni non ne ho mai parlato”.
Perché?
“In generale non se ne parla, e comunque su queste cose si tende a scherzare. Ad esempio, a proposito delle mie tette, moltissimi ragazzi, quando non avevo ancora fatto coming out, mi dicevano ‘perché una ragazza bella come te si rifà il seno’; io pensavo ‘e a te che te ne frega?’. La mastoplastica è un intervento che, per certe donne trans, può rappresentare un salvavita, però è fastidioso questo doppio standard per cui a una donna trans allora queste cose gliele passi e a una donna cis no, e nel tempo su questi aspetti ho riflettuto molto. Mi dicevano anche: ‘non ti rifare il naso!’. Ho dovuto trovare la scusa del setto nasale deviato, che è una cosa che ho sentito dire a tutte le ragazze che se lo rifanno. Però non è una colpa!”.
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Quale intervento medico, tra quelli raccontati nel libro, ritieni più importante?
“La mia esperienza di donna trans prima di fare l’intervento alle corde vocali era molto diversa. Dopo ho potuto vivere cinque anni senza dover raccontare a nessuno del mio passato, di ciò che ero, di quella che era la mia identità. Attraversavo gli spazi in maniera molto più rilassata. Murgia chiedeva ‘dove sono le donne?’ e a me viene da dire ‘dove sono le donne trans?'”.
E dove sono?
“Le donne trans molto spesso non escono di casa perché hanno paura di essere costantemente guardate, hanno paura per la loro salute. Ho visto delle mie amiche insultate e derise davanti ai miei occhi. Questa esperienza si chiama minority stress e riguarda le persone che vengono considerate parte di una minoranza che, ovviamente, occupano lo spazio in maniera diversa da un corpo che può essere definito libero”.
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Gli spazi sono anche quelli digitali, dei social?
“Un corpo transgender nemmeno sui social non è la stessa cosa di un corpo che viene considerato neutro. Anche quella è una piazza pubblica. In questi anni ho ingoiato molti bocconi amari. Pensa, ho cominciato a vedermi brutta solo dopo aver fatto coming out. Prima mi insultavano perché mi facevo le foto da troia e dicevano ‘vabbè, tanto sei brutta, e i like ce li hai solo se fai queste cose’, e dopo hanno cominciato a insultarmi pesantemente per il fatto di essere trans. Credo comunque sia un racconto molto connotato al femminile, nel senso che ho rivisto questa stessa esperienza in tantissime altre donne, cis e trans. Che poi è il motivo per cui ho deciso di scrivere questo libro”.
Il libro infatti riflette molto sul concetto di “diventare” donna e su cosa significhi. Una riflessione che rispecchia quella fatta dopo l’uscita di P., anche nella nostra precedente intervista.
“Semplicemente ho capito nel tempo che l’idea stessa di donna è inventata, cioè proprio è fiction. Io stessa, oggi, non sono la stessa ragazza che ero al tempo. Ho cambiato il mio modo di vedermi, il mio modo di essere, il mio modo di vestirmi, il mio modo di pormi con l’altro. Credo che sia una cosa continuamente in evoluzione. Lo diceva anche la mia psicologa, e l’ho riportata anche in P.”.
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La psicologa raccontata in P. ,infatti, ritorna anche in questo libro…
“Il rapporto con quella psicologa (che ha seguito l’autrice nel percorso di riassegnazione di genere, nda) lo definirei davvero drammatico. Perché lei ovviamente voleva aiutarmi, stava facendo il dottorato e ci credeva tantissimo. Io ero minorenne, e volevo a tutti i costi ottenere gli ormoni, e mi dimostravo estremamente determinata, mentre lei provava a introdurmi questo concetto. Non avevo capito quello di cui parlava lei al tempo, mi aveva parlato di binarismo e di identità. Mi aveva proprio rimessa al mio posto, dicendo: ‘Non è che sei donna perché hai i trucchi o i capelli lunghi, tu puoi esserlo domani anche senza le pillole’. Non l’avevo proprio capito ai tempi, ma mi ha dato un’enorme lezione. Ogni seduta era una battaglia l’una contro l’altra, perché io veramente volevo quella cosa, e la cosa assurda è che voglio ancora oggi la stessa cosa, ma in maniera diversa. Quindi sì, la me del 2019 aveva ragione, è molto più complesso di così”.
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Il futuro di Fumettibrutti prevederà ancora i fumetti?
“Ora sto scrivendo un romanzo! I fumetti sono il mio mezzo di espressione, ciò che ho studiato e sono molto felice che siano il mio lavoro. Dall’esterno sembra che abbia avuto molto successo, ma è sempre una questione di sbarcare il lunario e lavorare sempre tantissimo. In Italia ci sono molte persone trans che fanno fumetti e che non sono famose, quindi spero nell’effetto ‘bicchiere d’acqua’, cioè l’acqua versata nel bicchiere che, quando lo riempi, comincia a uscire fuori. So bene che di quello che racconto ce n’è bisogno, ma chissà, magari nella mia poetica succederà anche che non vorrò più parlare di questi argomenti. Sarebbe anche giusto: non penso che a un uomo sia mai stata fatta la domanda ‘smetterà mai di parlare del suo essere uomo?'”.
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