“La strada, i libri, e adesso il lavoro, mi hanno portato a vedere il cammino come l’unica vera connessione: connessione a ciò che l’essere umano è stato lungo alcune migliaia di anni, prima delle recenti rivoluzioni tecnologiche, cioè una creatura capace di spostarsi grazie al suo corpo, alla sua fatica, al suo necessario tempo, e ai disagi e allo stupore che tutto ciò comportava; vedo il cammino come una prospettiva diversa e irrinunciabile sul paesaggio, sia naturale che umano: a piedi le persone riescono a riconoscersi…”. Su ilLibraio.it la riflessione di Giulio Pedani, in libreria con il romanzo “L’iguana era a pezzi”, in cui l’autore racconta il percorso che l’ha portato dal confine francese fino a Roma, attraverso la via Francigena

A tre anni, secondo alcuni racconti, sono scappato dal piazzale davanti a casa e ho corso – per quanto potesse correre un bimbo così tondo da sembrare senz’ossa – per qualche centinaio di metri, fino ad arrivare a un fosso erboso che si diceva fosse infestato di vipere.

A sei anni, in prima elementare, una mattina ho perso il bus e mi sono fatto a piedi i quattro chilometri da casa a scuola, incontrando per strada due porcospini, uno vivo, uno morto.

A otto anni sono stato buttato fuori dalla classe perché mi pareva una giornata di maggio troppo bella per non uscire a fare una camminata almeno fino al cimitero del paese, e la mia insistenza verso la maestra si era via via trasformata in una specie di fronda militare con costituzione di un piccolo sedizioso esercito personale.

giulio pedani

A dieci anni mi piacque una frase di una canzone dei Nomadi: “grazie alle mie gambe, che mi hanno portato”. Immaginai gli arti inferiori come un motore inesorabile, resistentissimo, gratuito, pulito, regalato.

A undici anni lessi le Favole al telefono di Gianni Rodari. Le mie storie preferite riguardavano Giovannino Perdigiorno, uno straordinario pellegrino-bambino vagabondo.

A dodici anni mi innamorai di Stand by me, la storia scarna e fiabesca di quattro ragazzini che scappavano da casa con una sacca in spalla vagando per le foreste dell’Oregon in cerca del cadavere di un coetaneo investito dal treno mentre andava per mirtilli.

A quattordici anni fuggii da una festa, non ricordo se per il litigio con un amico, o il rifiuto di una ragazza, o un malessere fisico, ma forse ecco, tutte e tre le cose insieme  – una serata grandiosa – e tornai a casa a piedi: questa volta i chilometri erano venti.

A diciassette anni lo Zip fast rider morì sulla statale in un pomeriggio d’inverno dopo un’amichevole in cui avevo segnato su punizione dal limite, e lungo i quindici chilometri verso casa ebbi tutto il tempo di ripassare mentalmente l’età della Repubblica, dalla Cacciata dei Re alla prima Guerra Punica, per l’interrogazione della mattina dopo dove comunque non sarei andato oltre il cinque.

A vent’anni uscii a notte fonda da un locale e fuori mi accolse mezzo metro di neve, molto più efficace di qualsiasi alcol test, come dissuasore verso l’uso della macchina. Camminai per qualche ora, finché la luce non smise di venire dal manto bianco della terra e cominciò a espandersi naturalmente dall’alto.

giulio pedani

Tra i venti e i ventiquattro anni ho percorso a piedi circa dodicimila chilometri (è un numero di fantasia, ma non lontano dal vero) al fianco di un setter pazzo che non si stancava mai.

Tra i venticinque e i ventotto anni gli amici mi hanno più volte maledetto per quell’abitudine ostinata di parcheggiare lontanissimo da qualsiasi punto di arrivo, pur di poter camminare a lungo.

A ventinove anni vendevo libri e mi capitò tra le mani Nessuno lo saprà, di Enrico Brizzi, il racconto di un viaggio a piedi dall’Argentario al Conero. Da allora i libri e il cammino non mi hanno più abbandonato. Ho voluto molto bene a Il sentiero degli dèi di Wu Ming 2, una specie di guida ibrida e variegata alla tratta Bologna-Firenze, diversi anni prima che approdasse alla fama; a Una noche con Sabrina Love di Pedro Mairal, il viaggio di fortuna di un adolescente da un paese sperduto dell’Argentina centrale a Buenos Aires; a Sentieri nel ghiaccio di Werner Herzog, il suo viaggio a piedi da Monaco a Parigi per far visita all’amica malata Lotte Eisner; a La strada di Cormac Mc Carthy – benché il padre e il figlio protagonisti del romanzo si ritrovino a dover camminare per necessità, in un territorio sconvolto da un’imprecisata catastrofe che ha annientato gran parte degli esseri viventi.

Percorrere da solo la via Francigena dal confine francese a Roma, nel 2016, ha portato alla nascita del mio primo romanzo e alla decisione di trasformare il cammino in un lavoro, come guida ambientale escursionista. La strada, i libri, e adesso il lavoro, mi hanno portato a vedere il cammino come l’unica vera connessione: connessione a ciò che l’essere umano è stato lungo alcune migliaia di anni, prima delle recenti rivoluzioni tecnologiche, cioè una creatura capace di spostarsi grazie al suo corpo, alla sua fatica, al suo necessario tempo, e ai disagi e allo stupore che tutto ciò comportava; vedo il cammino come una prospettiva diversa e irrinunciabile sul paesaggio, sia naturale che umano: a piedi le persone riescono a riconoscersi, e si sorprendono distanti dalla continua, opprimente percezione di minaccia che spesso si respira in buona parte delle piattaforme virtuali; e riescono ad assaporare punti di vista sullo spazio che, in presenza di qualsiasi mezzo meccanico, sarebbero impossibili.

Vedo il cammino come una banale scorta di endorfine, propedeutica a un’ingegnosa serenità. Vedo il cammino come un miracoloso vuoto creativo in cui si possono rincorrere aneddoti commoventi o atroci della propria vita, nemici, amori, spezzoni di film, fasi politiche, personaggi immaginari, citazioni di attori comici, dischi fondanti, trame paradossali di racconti mai nati. Vedo il cammino come un piccolo autoesproprio volontario in cui ci si spoglia del superfluo, e si scopre che era superfluo davvero.

l'iguana a pezzi

L’AUTORE E IL LIBRO – Giulio Pedani, nato a Siena nel 1981, ha pubblicato diversi racconti su riviste e quotidiani, come il Corriere della Sera, Futbologia, Pastrengo, In fuga dalla bocciofila. Il suo primo libro, un romanzo su una traversata a piedi di mille chilometri, dal titolo L’iguana era a pezzi (effequ), è da poco nelle librerie. Dal confine francese fino a Roma, 26 giorni in cui, lungo la Via Francigena, avvengono incontri, turbolenze e riflessioni. Un viaggio intrapreso per ritrovare un amico in coma, ma che finisce per far ritornare 25 anni di vita: episodi improbabili, riflessioni importanti e amicizie. La storia di tre amici capitolo dopo capitolo, tappa dopo tappa, come per il percorso di un camminatore. A questa si unisce il racconto di una generazione – lo stato di una nazione e della sua gente – disseminata di personaggi emblema degli anni Ottanta e Novanta, come Iggy Pop e Bettino Craxi. Pedani, che ha vinto anche il premio Petrarca con il suo racconto Respirano, scrive un romanzo divertente ma allo stesso tempo amaro, ricollocando i pezzi di una storia che riguarda tutti.

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