“Guida il tuo carro sulle ossa dei morti” (pubblicato in Polonia nel 2009) di Olga Tokarczuk, premio Nobel per la Letteratura, è una sorta di thriller paradossale e altamente simbolico, una riflessione filosofica sul rapporto uomo-natura e sul senso dei nostri sentimenti, soprattutto l’ira e la tenerezza… – L’approfondimento

È possibile che esista una sorta di reciprocità tra uomo e animali per quanto riguarda l’uccidersi a vicenda, quasi che talvolta, magari in via del tutto eccezionale, anche le aggressioni provenienti dal mondo della natura siano finalizzate e, per così dire, premeditate? La domanda aleggia in Guida il tuo carro sulle ossa dei morti (Bompiani, traduzione di Silvano De Fanti), una sorta di thriller di Olga Tokarczuk, pubblicato in Polonia nel 2009, già tradotto in Italia per Nottetempo tre anni dopo e ora riproposto da Bompiani, in un contesto dove ovviamente, considerato il Nobel assegnato all’autrice, assume un significato e un interesse particolari.

Fu innanzitutto un libro controverso – e ancor di più il film che ne venne tratto – bollato in Polonia, quantomeno da una agenzia decisamente reazionaria, come opera profondamente anticristiana e persino eco-terrorista. Quanto all’aspetto religioso, è indubbio che c’è un sacerdote-cacciatore e non fa per nulla una buona figura, anzi è un personaggio abbastanza ributtante; per ciò che invece attiene all’eco-terrorismo, l’accusa sembra esagerata. In questo romanzo la Tokarczuk, notoriamente critica ne confronti del clima politico e culturale del suo Paese, costruisce semmai una situazione paradossale e altamente simbolica, senza davvero prendere posizione. La sua protagonista, Janina Duszejko, è del resto un’anziana piuttosto eccentrica: anzi, nel borgo isolato di montagna ai confini con la Repubblica Ceca in cui si è ritirata dopo varie peripezie, è considerata mezza matta, e l’autrice non fa nulla per evitare al lettore di condividere questa impressione.

Ex ingegnere (costruiva ponti) afflitta da varie patologie che non vengono ben definite ma fanno pensare a somatizzazioni di un disagio psichico, pratica con grande impegno l’astrologia, insegna inglese ai bambini del paese attiguo e bada agli chalet dei vicini, vuoti e spettrali sotto la neve. Una serie di morti misteriose e in apparenza inspiegabili nel cuore dell’inverno (un bracconiere che si strozza con un osso di cervo, il capo della polizia locale precipitato in un pozzo, un ricco imprenditore il cui corpo viene ritrovato corroso da una inattesa quantità di insetti) la coinvolgono anche emotivamente al punto tale da iniziare una serrata indagine (al lettore parrà sulle prime folle e maniacale) basata sulle lettura degli oroscopi che sforna con grande impegno e sull’ipotesi, diciamo così investigativa, che si tratti appunto di una vendetta da parte degli animali.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti olga tokarczuk

Come una Miss Marple un po’ troppo balzana, scrive lettere alla polizia che ovviamente non vengono prese sul serio; e in un paese dedito da sempre all’attività venatoria è travolta episodicamente dall’ira. Crea così situazioni imbarazzanti (per esempio quando aggredisce verbalmente il prete durante la messa celebrata in onore di Sant’Ubaldo, patrono dei cacciatori stessi ma forse ecologista ante-litteram), che non hanno ovviamente altro risultato se non quello di accrescere la sua fama di matta.

Scopriremo che la verità è imprevedibile, e ci chiedemo chi sono i folli e chi sono i sani. In ogni caso, il finale a sorpresa non è tutto (l’autrice ha del resto avuto modo di affermare che scrivere un libro per far sapere chi è l’assassino è uno spreco di tempo e di carta). L’interesse del romanzo è nel suo essere anche una sorta di riflessione filosofica sul rapporto uomo-natura, sul senso dei nostri sentimenti, soprattutto l’ira e, benché non la nomini mai, la tenerezza, tema caro alla Tokarczuk; nella bellezza minacciosa dei boschi sotto la neve su un altopiano che ricorda molto quello dove vive l’autrice stessa, a Nowa Ruda, nei Sudeti, proprio vicino al confine; nel cogliere l’orrore quotidiano in una comunità che pure vive immersa nella natura; nell’essere una sorta di fiaba esistenziale.

C’è poi la forte componente metaletteraria, che attinge a William Blake, anche nell’uso delle maiuscole, che assolutizzano e rendono emblematici nomi comuni. Il titolo originale fa riferimento a uno dei “proverbi” del Matrimonio del cielo e dell’inferno (“Guida il carro e l’aratro sulle ossa dei morti”) abolendo però l’endiadi in favore del solo “aratro”, seguito in questo dall’edizione inglese – accade il contrario in quella italiana). Il grande simbolista britannico è presente in tutto il romanzo, sia per le epigrafi ai capitoli sia perché la protagonista aiuta un ex allievo a tradurne le poesie. Blake, con la sua visione immaginosa ed esoterica del mondo e dei miti, è una sorta di basso continuo, forse la vera chiave della narrazione: dove appunto si evocano, come in disperato rituale negromantico, le sue “tigri dell’ira”; “più sagge – come leggiamo ancora nel Matrimonio del cielo e dell’inferno e in testa al cap. 16 di questo libro – dei Cavalli dell’Educazione”.

La decisione su quale sia il cielo e quale l’inferno – o se esistano, distinguibili, un cielo un inferno – è lasciata al lettore.

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