Da Parigi a New York, da Toronto a Chicago, nel suo nuovo saggio Leslie Kern sfata il mito della gentrificazione inevitabile, difendendo il diritto ad abitare uno spazio urbano costruito per tutte le persone e guidato da un modello decoloniale, femminista e queer…

“Oggi la zona di SoHo, a New York, è piena di negozi di lusso, ristoranti raffinati, turisti e richiestissime abitazioni in stile loft, con tanto di portieri dall’aria austera all’ingresso. Negli anni Sessanta e Settanta, invece, quei loft, lasciati liberi da un’industria dell’abbigliamento in declino e in cerca di manodopera a basso costo all’estero, erano popolati da artisti e musicisti”.

A Chicago, “gli italiani e gli ebrei che una volta popolavano l’area denominata Near West Side raggiunsero con il passare del tempo zone periferiche come Cicero, Berwyn, Oak Park, Evanston e Highland Park”.

Delle città che abitiamo, sicuramente riusciamo a individuare uno o più quartieri che un tempo erano quartieri popolari, multietnici, “poco raccomandabili” si sarà detto, mentre oggi sono considerate zone chic, alla moda, con affitti cresciuti in maniera esponenziale e attività fresche di inaugurazione.

Cosa è successo, verosimilmente, in quei quartieri? I vecchi abitanti – in maggioranza appartenenti alla classe lavoratrice, molto spesso persone immigrate – abitavano le loro case a prezzi popolari e, dunque, accessibili. La classe medio-alta, di nuovo in maggioranza, non abitava lì.

A un certo punto, grazie alle cosiddette “politiche di rigenerazione urbana”, queste zone hanno iniziato a vedere la demolizione delle vecchie aree industriali e la costruzione di nuove unità abitative, di nuove infrastrutture, di nuovi collegamenti pubblici. Ecco così che quelle stesse aree urbane, prima non considerate dalla classe media – con il suo potere di spese – sono diventate, e anche con relativa rapidità, desiderabili.

Artisti, freelance, insegnanti, professionisti della cultura e della creatività, hanno iniziato ad acquistare quelle case, eventualmente a ristrutturarle e ad abitarle, portando così l’intera zona a modificarsi per rispondere ai loro bisogni, di molto diversi da quelli della precedente comunità.

Insieme ad artisti e freelance, sono arrivate caffetterie hipster, botteghe artigiane, spazi di coworking, atelier. Allora, la classe lavoratrice che abitava quei quartieri prima, si è trovata costretta a spostarsi altrove, e in un altrove più lontano da servizi di base, mezzi di trasporto e luoghi di necessità. Ma “le comunità della classe lavoratrice, razzializzate e immigrate, che vedono i propri quartieri trasformarsi, avevano già intrapreso, ovviamente, percorsi di sviluppo sociale e comunitario. E questo loro lavoro è stato spesso compiuto in circostanze complesse”.

La stessa sorte, col passare del tempo e delle “politiche di rigenerazione”, toccherà alla “comunità dei creativi”, che verrà sostituita da una nuova classe con ancor più ampie possibilità di spesa.

Ecco, tutto questo (e molto altro) è la gentrification.

Gentrificazione” è un “termine coniato nel 1964 da Ruth Glass, con il quale si intende quel fenomeno di “rigenerazione e rinnovamento delle aree urbane che manifesta, dal punto di vista sociale e spaziale, la transizione dall’economia industriale a quella postindustriale”.

Recita così la definizione data da Treccani nel suo dizionario. La parola “gentrificazione”, però, è una di quelle per cui una definizione univoca non basta. E a tracciare i confini di questa complessità ci ha provato Leslie Kern – professoressa associata di Geografia e Ambiente e direttrice degli Studi sulle donne e sul genere presso la Mount Allison University – nel suo ultimo libro, La gentrificazione è inevitabile e altre bugie (Treccani, traduzione di Elisa Dalgo).

La gentrificazione è inevitabile e altre bugie

Nelle sue pagine, Kern ci accompagna per mano attraverso i movimenti che compie la gentrificazione e attraverso gli aspetti della società che questi movimenti toccano.

Qualche esempio: per Kern, la gentrificazione è una questione di gusti. L’abbiamo visto: i nuovi abitanti plasmano i quartieri “gentrificati” a loro immagine e somiglianza, e questo aspetto contribuisce di molto all’esclusione e all’allontanamento di chi, quelle aree urbane, le abitava fin da prima.

La gentrificazione, poi, è una questione di soldi, “è un movimento di ritorno del capitale, non delle persone, alla città”; è una questione di classe, ça va sans dire, ma anche di genere e, in senso assoluto, di minoranze e privilegi. 

Su questi temi, Leslie Kern aveva già riflettuto nel suo precedente libro, La città femminista (Treccani, traduzione di Natascia Pennacchietti) in cui registrava come le città non siano pensate e costruite per chi non rientra nella categoria standard di maschio bianco etero cis abile e con un reddito medio-alto.

La premessa di tutti gli studi di Kern, l’avrete facilmente intuito, è che la gentrificazione non sia inevitabile, e che uno spazio urbano accessibile a tutte le persone sia non solo possibile, ma necessario.

“Quello che ho visto accadere al Junction” (zona occidentale di Toronto in cui l’autrice ha vissuto) rientra in un insieme di cambiamenti subiti da luoghi e comunità che storicamente hanno reso speciali le città, le hanno rese interessanti, le hanno rese sede di protesta e di progresso. Tali cambiamenti prendono oggi il nome di gentrificazione, e il mio è un libro sulla lotta per impedire che questo fenomeno travolga tutto ciò che molti di noi amano della vita in città”.

Kern propone un modello anti-gentrificazione che porta con sé valori decoloniali, femministi e queer e che pretende il diritto a una città costruita per tutte le persone.

Dunque, se l’acquisto a basso prezzo di un appartamento in un quartiere “in ripresa” ci può sembrare un’occasione soltanto positiva, ora sappiamo che, dietro quell’occasione, sono celate anche esclusioni, disuguaglianze e perdite, la cui responsabilità non è da attribuire ai singoli cittadini ma piuttosto al sistema, pur con la consapevolezza che le scelte dei singoli cittadini modificano il tessuto urbano e sociale.

La gentrificazione è inevitabile e altre bugie ci aiuta, dunque, ad avere maggior coscienza delle dinamiche che abitiamo. Tuttavia questo libro rimane molto legato all’idea di casa come proprietà privata, come fa notare su Il Tascabile Sara Marzullo in un articolo dal titolo Il gioco della casa. Se la gentrificazione è un problema di sistema, non sarebbe forse necessario provare a ragionare uscendo dalle logiche del sistema capitalistico per provare a trovare una chiave di risoluzione?