Farsi passare per bianchi: sfruttare la pelle ambrata e i lineamenti delicati per allontanarsi dalla propria cultura, ma soprattutto per cercare di migliorare il proprio status sociale. È ciò che succede alle protagoniste de “La metà scomparsa”, il secondo romanzo della scrittrice afroamericana Brit Bennett, una saga familiare e intergenerazionale che trasporta il lettore in un viaggio di vent’anni nelle vite delle gemelle Vignes, in un’America sporcata dal razzismo e dal colorismo – L’approfondimento

Passing è l’espressione inglese che sta a indicare la capacità di dissimulare la propria identità razziale, per assumerne una nuova. Si tratta di un fenomeno diffuso in America, da secoli sporcata da legami con il razzismo e con la segregazione razziale nei confronti di tutte le etnie diverse da quella bianca, a partire dai neri. Dal passing, poi, deriva direttamente il colorismo, ovvero il “pregiudizio o discriminazione nei confronti di individui con una carnagione scura, tipicamente tra persone dello stesso gruppo etnico o razziale”. Come disse Lupita Nyong’o, per intenderci, “il colorismo è figlio del razzismo in un mondo che premia la pelle più chiara su una pelle più scura”.

Farsi passare per bianchi, quindi: sfruttare la pelle ambrata e i lineamenti delicati per allontanarsi dalla propria cultura, ma soprattutto per cercare di migliorare il proprio status sociale, godere di privilegi sociali ed economici che, altrimenti, semplicemente non esisterebbero.

la metà scomparsa bennett

È ciò che succede alle protagoniste de La metà scomparsa (Bompiani, traduzione di Martina Testa), il secondo romanzo della scrittrice afroamericana Brit Bennett, una sorta di saga familiare e intergenerazionale, che trasporta il lettore in un viaggio di vent’anni nelle vite delle gemelle Vignes.

Mallard, nella profonda Louisiana, è una cittadina quantomai particolare: deve il suo nome ad Alphonse Decuir, che nel 1848 volle, quasi per caso, creare un luogo per quelli come lui: persone dalla carnagione chiara, che non sarebbero mai state accettate come bianche, ma che rifiutavano di farsi trattare come nere. Il passo successivo fu quello di sposare una mulatta, in modo tale che i loro figli fossero ancora più bianchi. E così via, come se si diluisse costantemente, generazione dopo generazione, un caffè con il latte. Non cercate, però, Mallard nelle carte geografiche; non la troverete.

Foto della scrittrice Brit Bennett

Brit Bennett (credits Miranda Barnes)

Il 14 agosto 1954 Stella e Desireé Vignes sono scomparse. Stella, la più intelligente, timida e spaurita delle due, aveva scelto quella data perché in concomitanza con la festa del Fondatore: sapeva che tutto il paese sarebbe stato distratto, ne nessuno le avrebbe fermate. L’idea, però, di andarsene lontano, l’ha sempre avuta Desirée, la energica, determinata, solare Desiree.

A New Orleans, dove le due sorelle trovano un appoggio per un po’, le loro strade si dividono: “Stella è diventata bianca e Desirée ha sposato l’uomo più nero che è riuscita a trovare“. È aprile del 1968, e nell’aria aleggia la morte di Martin Luther King, quando Mallard vede ritornare una delle due figliol prodighe: Desirée, orecchie basse e labbro spaccato, con in braccio una bimba bellissima, ma nera come la pece. sua figlia, Jude. Nessuno, in paese, è mai stato così nero. 

Le domande per Desirée sono tante, ma quello che tutti vogliono sapere è: dov’è Stella?

La metà scomparsa tocca, con una semplicità donata anche dalla purezza della lingua e dalla scrittura calda e comprensiva, molti temi importanti: se da un lato esplora esplora le ripercussioni del passing di generazione in generazione – in un contesto storico nel quale il razzismo è sfondo coprente, ma non invalidante -, dall’altro mostra come questo passaggio non sia un atto solitario, quanto invece una sorta di compartecipazione silenziosa dell’intera collettività; a fare da sfondo – tutt’altro che silenzioso – a quella che può essere sintetizzata, e non banalizzata, come una storia di ricerca di identità, c’è una comunità falsa, che punta all’autoconservazione e che, nella migliore delle ipotesi, vede i diversi ma fa finta di non vederli.

Non ci sono fronzoli nel descrivere la realtà suburbana razzista: che si parli di Mallard, di New Orleans o di Los Angeles – nella quale si sviluppa un altro importante filone di trama, che vedrà una giovane Jude fare amicizia con un’attrice di trent’anni, Kennedy -, la superficialità dei residenti è la stessa, tanto che, se si conoscessero, probabilmente andrebbero d’accordo. 

Interessante e ad alto impatto emotivo, poi, è il legame tra i personaggi femminili, che si manifesta e si differenzia proprio attraverso il tempo che passa: il rapporto tra le bambine e la madre, una donna dura, ma che ha sempre desiderato che le sue figlie fossero, genuinamente, uguali alle altre; il legame tra le sorelle, l’una il prolungamento dell’altra, in un continuo gioco di somiglianze e differenze che fa venire voglia di accelerare la lettura e saperne di più. Se Desirée accetta la sua natura e la sua vita con relativa disillusione, Stella non può fare altro che negare, negare e negare la sua identità. Mente, sapendo di mentire, spacciandosi per bianca, e vorrebbe un giorno riuscire a credere alla sua bugia: si è costruita una vita intera, su questa bugia, e non permetterà che niente minacci il suo nuovo e conquistato status. 

Eppure, possiamo dire che La metà scomparsa funzionerebbe anche se scegliessimo di intendere il romanzo come una struggente storia di una famiglia americana: al di là delle tematiche, il romanzo basta a se stesso, promettendo – e riuscendoci, in vero – di creare nel lettore quella sorta di empatia, quell’amore per i personaggi che renderà poi difficile il salutarli, una volta terminata la lettura.

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