L’ex numero uno della Mondadori Gian Arturo Ferrari firma “La storia se ne frega dell’onore”, un breve romanzo ambientato negli anni del fascismo trionfante. Un “colto e assai informato bibliomystery”, come racconta su ilLibraio.it Mario Baudino
Gian Arturo Ferrari sceglie, per il terzo libro dalla fine della sua lunga carriera di editore, un genere, anzi un sottogenere, che pur nella sua raffinatezza gode di un’ottima fortuna, molto al di là della nicchia: il bibliomystery.
L’americano Otto Penzler, uno specialista al riguardo – ed editore, va da sé – lo ha studiato in due corposi tomi, e codificato qualche anno fa come un giallo dove gran parte dell’azione avviene in una libreria o una biblioteca, e i personaggi principali sono un libraio o un bibliotecario; ma anche un collezionista di libri rari, ed eventualmente editori, solo se ben integrati nella trama; che sono però una minoranza, nel bibliomystery si uccidono preferibilmente gli scrittori o i collezionisti. È questo il caso di Ferrari, che si prende la soddisfazione (professionale?) di assassinare proprio un direttore editoriale.
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Con La storia se ne frega dell’onore (Marsilio) inscena un breve romanzo ambientato negli anni del fascismo trionfante, stretto intorno a questa figura classica e a volte mitica o temuta; che si trova fra le mani un manoscritto scottante. Va da sé che Luigi Bassetti, anima della grande casa editrice milanese Pietromarchi il cui padrone si destreggia abilmente con la censura e con il regime grazie alla naturale spregiudicatezza e soprattutto alla capacità di incantare gli interlocutori (in filigrana, il grande Arnoldo Mondadori?) non possa che andare incontro a un triste destino, anche perché tutto sommato perde tempo e, senza rendersene conto, si tradisce. Nel pericoloso scartafaccio, quasi perdute in un’autobiografia inutile e retorica, ci sono infatti alcune pagine che riguardano l’assassinio di Giacomo Matteotti. È stato scritto quasi in articulo mortis da un generale fascistissimo, tal Forconi, caduto però in disgrazia; e contiene una testimonianza diretta: quella di una riunione, lui presente, dove Mussolini avrebbe dato esplicitamente l’ordine di uccidere il deputato socialista.
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Andrà ricordato, non incidentalmente, che l’omicidio è avvenuto esattamente cent’anni fa, il 10 giugno del 1924: e che Gian Arturo Ferrari riesce dunque a presentarsi all’appuntamento primo o primissimo tra quanti ne avranno ormai scritto, in attesa di uscire in libreria entro l’anno. Il suo, però, è un lavoro che non mira, ovviamente, alla ricostruzione storica, ma ne propone una di finzione, al limite del divertissement.
Su quel delitto si sa del resto tutto: Mussolini era già stato esplicitamente accusato in due memoriali, scritti da personaggi implicati nel delitto, pubblicati quasi subito sul Mondo di Giovanni Amendola e su Non mollare, la rivista di Carlo Rosselli.
Ma tornando alla fiction, dove il manoscritto e l’omicidio del deputato socialista sembrano più un pretesto narrativo, per reggere e consentire il plot, è evidente che a distanza di parecchi anni, quando si svolge la vicenda di La storia se ne frega dell’onore, lo scartafaccio del generale Forconi sarebbe stato probabilmente un’arma scarica – se beninteso l’editore lo avesse pubblicato, eventualità da escludere a priori.
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Il povero Bassetti muore in un caotico incidente provocato da alcuni sgherri della polizia segreta, che gli sottraggono il malloppo quando ancora il mandante non ha chiaro che cosa esattamente contenga, benché abbia capito che è importante e dunque se ne voglia impossessare. Ma il cuore del romanzo sembra essere altrove, al di là delle esigenze della trama.
È infatti nei personaggi principali, tre: un commissario ammantato di mistero, che “tiene molto alla riservatezza” e anzi vuole far tutto da solo senza condividere informazioni con chicchessia, preda di una ubris poliziesca e narcisistica – sicché ci rimette la pelle anche lui -; una affascinante quarantenne (ebrea) della buona borghesia milanese – che lavora in casa editrice, è innamorata di Bassetti e scopre di aver combinato un disastro; e infine “l’assistente”, un agente tutto sdrucito che sembra un poveraccio, ma alla fine rivelerà una personalità insospettabile, a suo modo ignobilmente grandiosa.
Il romanzo sono loro, personaggi-uomo nel senso teorizzato da Giacomo Debenedetti, quelli che “se gli chiediamo di farsi conoscere”, come scrisse nel lontanissimo 1963, esibiscono “la placca dove sta scritta la più capitale delle sue funzioni, che è insieme il suo motto araldico: si tratta anche di te”.
È una regola che vale in generale, anche nell’ambito di questo colto e assai informato bibliomystery editoriale, senza grosse preoccupazioni di suspence o detection: la conclusione del giallo, il colpo a sorpresa, è infatti nella “rivelazione” finale, l’agnizione, la “placca araldica”, ovviamente non anticipabile. Che poi si tratti anche di noi, ebbene Ferrari riesce quantomeno a farcelo sospettare.
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