Dinamiche di potere all’interno delle relazioni, sessualità fluida, forme diverse di amore e di definizione di sé: nel suo romanzo d’esordio, “Servirsi”, Lilian Fishman esplora i limiti dell’amore e della volontà

Eve ha ventisette anni e da circa due anni ha una relazione stabile con una ragazza, Romi, fatta di abitudini condivise, sicurezze, piccoli gesti.

Una sera, spinta da un desiderio di trasgressione unito a una buona dose di esibizionismo, decide di postare online alcune sue foto di nudo: viene contattata da Olivia, una ragazza queer all’apparenza docile e introversa, che al primo incontro le propone di conoscere Nathan, un uomo misterioso con cui ha una storia.

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È questa la premessa di Servirsi, primo romanzo di Lilian Fishman, pubblicato in Italia da e/o, nella traduzione di Silvia Montis.

Eve accetterà la proposta della ragazza e incontrerà Nathan, abbandonandosi (senza neanche troppi evidenti rimorsi) al tradimento e dando inizio a un particolarissimo rapporto a tre, un ingranaggio poliamoroso di cui l’uomo diventa il perno centrale, catalizzatore del desiderio, delle attenzioni e delle passioni delle due ragazze.

Lasciarsi ammaliare da Nathan, maschio, bianco, eterosessuale, un edonista a cui non mancano fascino e ricchezza, per Eve appare subito come un tradimento verso la comunità queer che aveva abbracciato come fede e credo politico e che l’aveva accolta restituendole un senso di identità.

Che tipo di persona, di donna lesbica e fidanzata – si domanda – accetta di finire in un triangolo come questo? Per quale motivo? Il rapporto con Nathan e Olivia è lo spunto per indagare su di sé, per trovare delle risposte a domande che a lungo ha tenuto nascoste, e che hanno a che fare con chi è veramente. E il sesso, disinibito, libero, diventa lo strumento che Eve utilizza, più o meno inconsapevolmente, per studiarsi, provare a comprendersi, ridefinirsi. Attraverso l’uso del corpo, attraverso l’essere corpo per Nathan e con Olivia, asseconda desideri per anni autocensurati e si riscopre, scendendo a patti con la sua conflittualità interiore.

In una delle sue fantasie ricorrenti, Eve è nuda, in fila insieme ad altre decine, a volte persino centinaia, di ragazze. Un uomo dai tratti indefiniti cammina tra loro, esamina ognuna con attenzione: “Nella vita reale non me lo sarei mai scopato. Ma dopo trenta secondi lui indicava, inequivocabilmente, me.”

Nella sua stessa fantasia, non conta tanto il desiderio di lei, quanto quello di lui. L’uomo senza volto del suo immaginario è il “male gaze”: lo sguardo maschile così profondamente radicato nella società che il desiderio stesso della donna si annulla e finisce per coincidere con quello dell’uomo.

Eve sa che non c’è niente che le interessi di più “di una ragazza carina per strada”, eppure ricerca i complimenti di anonimi account maschili sui social network, vuole essere desiderata da Nathan ed è pronta a competere con altre donne – che siano semplici proiezioni del suo inconscio o la più concreta Olivia – perché è cresciuta in un mondo che le ha inculcato senza opzioni questo tipo di dinamica. Da qui il conflitto: la sua sessualità passa per un gioco di potere che in quanto donna queer lei dovrebbe combattere, invece la domina in segreto: “Non l’avevo mai ammesso con anima viva, ma se l’avessero chiesto, nel sonno avrei risposto che scegliere tra uomini e donne era impossibile. Era come scegliere tra il mare e la terra.”

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Olivia porta con sé altre questioni. Nonostante Eve ricerchi un rapporto con lei, spinta da attrazione fisica ma anche da un senso di protezione femminile, le due ragazze sono raramente da sole insieme. E se Eve è così concentrata su se stessa da non cadere mai totalmente preda del fascino di Nathan, Olivia, con la sua sessualità ossessiva, prova per lui un’adorazione quasi pericolosa, in una sottomissione totale che permea tutta la sua vita sociale e professionale: lei e Nathan lavorano insieme, per la stessa azienda e, anche se si dice totalmente consenziente, è evidente che Nathan eserciti su di lei un potere molto più forte e concreto che con Eve.

Fishman esplora i limiti dell’amore e della volontà: è consenziente scegliere di assecondare per paura di perdere? Sfidarti a superare i tuoi limiti non è lo stesso che violarti ripete sempre Nathan. Ma è davvero così?

Servirsi è ambientato a New York, la città di Fishman, ma la storia potrebbe essere ovunque e parla a una generazione. Se lo spazio fisico della narrazione, infatti, si esaurisce alle stanze in cui si incontrano i protagonisti, annullando quasi completamente il mondo fuori, è lo spazio della riflessione interiore di Eve a sostenere la storia. Fishman usa Eve per esplorare dubbi e questioni  di attualità: dinamiche di potere all’interno delle relazioni, sessualità fluida, forme diverse di amore e di definizione di sé.

Il titolo originale del suo romanzo, Acts of Service, richiama un altro romanzo recente, anche questo nel suo titolo inglese: Acts of Desperation di Megan Nolan, pubblicato in Italia da NN come Atti di sottomissione.

I due romanzi condividono, anche se declinate diversamente, protagoniste-ritratto-di-una-generazione alle prese con delle relazioni amorose tanto significative quanto conflittuali, dove il corpo e il sesso sono strumenti per autodeterminarsi, in una generale confusione identitaria. Ma in particolare, Eve, capricciosa, a tratti infantile, un futuro professionale precario, esaspera i dubbi e le confusioni di una generazione in cerca di risposte che non si inseriscano semplicemente nei tasselli precompilati di una società, ma che aprano a riflessioni più profonde, in modo da abbracciare la complessità, anche senza ottenerne una risoluzione.  

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