“In ‘Dante Enigma’ dedico la mia attenzione a un giovane Dante innamorato dell’amore, ma anche della lettura e della pittura, tormentato dai postumi di una battaglia terribile, affetto probabilmente da crisi, che prova a sopravvivere nella Firenze di fine Duecento, sbranata dalle faide fra guelfi e ghibellini…”. In occasione dell’uscita del romanzo storico “Dante Enigma”, la riflessione di Matteo Strukul su ilLibraio.it

Dante Enigma nasce dalla volontà di svelare alcuni aspetti poco approfonditi del personaggio di Dante. Come scrittore, ritenevo importante indagare il non detto, invece di provare a misurarmi con aspetti fin troppo studiati dai critici. Tanto più perché la letteratura offre una chiave unica per plasmare, attraverso l’invenzione, l’ipotesi e la verosimiglianza, una materia non prettamente accademica.

Partendo dai saggi di uno dei dantisti più importanti di sempre – Marco Santagata – ho provato a ragionare sul percorso che possa aver portato il Sommo Poeta a immaginare il mondo della Commedia come lo conosciamo. Ho scoperto, per esempio, che non solo Dante aveva, come sappiamo, il proprio maestro in Virgilio, ma che amava l’Eneide e in particolare il libro undicesimo, dedicato alla discesa di Enea nell’Averno e fino ai Campi Elisi alla ricerca del padre Anchise.

Da lì, imbattersi nella letteratura del viaggio all’inferno è stato fin troppo facile: quella dell’undicesimo libro dell’Eneide, certo, ma anche della Visio Pauli e della Visio Tnugdali – opere diffuse nel periodo medievale, e alle quali Dante aveva certamente avuto accesso – e le quali, con le loro geografie di valli popolate di dannati, fra stuoli di anime colpevoli dei più diversi delitti, punite con le pene più diverse – dalla pioggia sferzante ai carboni ardenti – devono aver rappresentato germi importanti per la genesi del più grande poema di tutti i tempi. Tanto più perché nella Visio Tnugdali, per esempio, è un angelo a guidare l’anima del protagonista – un cavaliere di nome Tnugdalo – fino alla forra più profonda dell’Inferno dove un mostro dalle sembianze umane, nero come un corvo, con la coda irta d’aculei, macina nelle proprie fauci i corpi dei dannati.

Ho proposto l’ipotesi che certe immagini abbiano avuto un qualche peso sul giovane Dante, immagini che – unite alle sue nozioni di pittura e al suo amore per opere come l’affresco del Giudizio Universale di Coppo di Marcovaldo nel suo “bel San Giovanni” – potrebbero aver rappresentato un precedente, o anche solo una favilla d’ispirazione per la struttura della Commedia.

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L’azzardo si è spinto oltre, dato che ho ipotizzato un’amicizia fra Dante e Giotto, pittore geniale, che cambiò i paradigmi della pittura. A proposito di quest’amicizia, quasi tutta la critica è unanime nel sostenere che non vi siano evidenze a sostegno ma, d’altra parte, non disponiamo nemmeno di prove che la neghino. Perciò, e questo è il bello della finzione letteraria, c’era materia sufficiente per una verosimile ipotesi.

Dopotutto Giotto e Dante vissero entrambi a Firenze nei medesimi anni, almeno fino al 1290. Entrambi, poi, dovevano aver combattuto a Campaldino, battaglia alla quale avevano partecipato tutti gli uomini abili di Firenze compresi fra i quindici e i settant’anni. Non solo. Si trovavano entrambi a Roma nel 1300, l’anno del giubileo indetto da papa Bonifacio VIII. Ancora una coincidenza? Di certo sappiamo che entrambi furono araldi di un’autentica rivoluzione nella pittura e nelle lettere. Perciò, data la grandezza che li caratterizza, l’occasione di vederli insieme sulla scena era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

Ipotizzo anche che Dante fosse affetto da epilessia, rifacendomi a quanto scrive Marco Santagata. Il grande dantista non manca, nella propria opera, di fornire molte prove di questa malattia. Taluni dicono che il morbo fosse in realtà conseguenza degli orrori visti dal giovane Dante, feditore di prima linea, nella battaglia di Campaldino: una sorta di shock post-bellico che lo avrebbe trasformato nell’animo e nello spirito. Dante come un reduce, dunque.

Dalle crisi epilettiche, dai frequenti incubi, dai mancamenti, sarebbero derivate molte delle visioni che avrebbero un po’ alla volta composto il mondo fantastico e incredibile della Commedia. Non manca una riflessione sul difficile quotidiano di un uomo imprigionato in un matrimonio, mai voluto, con la nipote del sanguinario capo dei guelfi di Firenze, Corso Donati, sulla difficile convivenza con la sua sposa, sull’amore dello Stil Novo come fuga dalla mediocrità e valvola di sfogo per un sentimento incatenato che prova a librarsi in cielo grazie a Beatrice Portinari.

Insomma, in Dante Enigma dedico la mia attenzione a un giovane Dante innamorato dell’amore, certo, ma anche della lettura e della pittura, tormentato dai postumi di una battaglia terribile, affetto probabilmente da crisi, che prova a sopravvivere nella Firenze di fine Duecento, sbranata dalle faide fra guelfi e ghibellini. Per questo, credo, Dante Enigma può rappresentare per lettrici e lettori una storia originale e fuori dal coro, l’occasione per avvicinarsi a un Dante più umano, e più coraggioso e avventuroso di come lo abbiamo conosciuto.

Dante enigma

L’AUTORE E IL LIBRO – Matteo Strukul (nella foto di Marco Bergamaschi, ndr) è nato a Padova nel 1973. Le sue opere sono in corso di pubblicazione in 16 lingue, pubblicate in 30 Paesi e opzionate per il cinema. La saga sui Medici, edita da Newton Compton E che comprende Una dinastia al potere (vincitore del Premio Bancarella 2017), Un uomo al potere, Una regina al potere e Decadenza di una famiglia, è in corso di pubblicazione in 12 lingue e in più di 25 Paesi. Sempre Newton Compton ha pubblicato anche Inquisizione Michelangelo e una nuova serie che comprende Le sette dinastie e La corona del potere.

Ora Strukul è tornato in libreria con Dante enigma (Newton Compton) un’avvincente storia che conduce il lettore tra gli intrighi delle corti trecentesche e negli oscuri accordi politici della Firenze dei tempi di Dante. In questo teatro si muove un giovane Dante Alighieri, che dovrà provare il proprio coraggio sul terreno di uno scontro decisivo a Campaldino. Fra le pagine dell’opera, si vedrà così l’autore unirsi ai feditori di Firenze e affrontare il proprio destino, in una giornata che ha segnato il corso della Storia.

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