“Fanno presa su di noi le parabole in cui il cattivo è facile da identificare, come un Emanoul Agassi che costringeva il figlio a continui, durissimi allenamenti, o un Joseph Jackson che forse oggi sarebbe stato accusato di sfruttamento del lavoro minorile… Al contrario, dei genitori che supportano con amore l’ambizione della prole non ce ne frega niente, non fa notizia, non suscita indignazione” – In occasione dell’uscita del suo romanzo d’esordio, “Bravissima”, su ilLibraio.it la riflessione di Paola Moretti sul rapporto tra gli enfant prodige e i loro genitori, con esempi famosi dei nostri tempi e riferimenti a scrittori come David Foster Wallace

C’è un episodio descritto in un libro di Sir Ken Robinson, il famoso educatore britannico, che lessi molti anni fa e che da allora mi è rimasto impresso. Era la storia di Gillian Lynne, la coreografa di Cats, raccontava che a scuola era un disastro, non stava mai ferma, non rimaneva seduta al banco per più di quaranta minuti di fila, si distraeva, non eseguiva i compiti. La maestra non sapeva più come comportarsi con lei, quindi suggerì alla madre di portarla da uno specialista. Nello studio dello psicologo, dopo che la donna aveva esposto la situazione, questo accese la radio e disse alla madre di Gillian di seguirlo fuori dallo studio, poi, rivolgendosi alla bambina, chiese di aspettarli lì. Sulla soglia della porta i due adulti osservarono Gillian che si muoveva a tempo con la musica. Allora il medico si pronunciò: “Sua figlia non ha nessun problema, è una ballerina, la iscriva a lezione di danza”.

Tutti i bambini hanno un talento o, per lo meno, una caratteristica che predomina sulle altre e che ha il potenziale di svilupparsi e venire messa a servizio di una particolare propensione. Se questa abilità o tratto peculiare ha l’occasione di esprimersi dipende dall’ambiente in cui crescono i ragazzini. Ma a prescindere da contesto familiare e geografico-culturale, per tutti arriva la grande livella che è la scuola: con l’ingresso alle elementari il genio, l’eccesso, il “fuori norma” deve cercare di omologarsi, di amalgamarsi. Questo accade sia perché in classe le esigenze del gruppo sono messe davanti a quelle del singolo, sia perché il bambino o la bambina non vogliono sentirsi diversi dagli altri. Ci sono però anche casi in cui il talento è talmente lampante, e si sposa con una passione così incontenibile — quella del prodigio in questione o quella dei suoi genitori — che si fa di tutto perché trovi lo spazio e il modo per esternarla. Come poi questo impatti sulla psiche e sullo sviluppo dell’individuo che si sta formando dipende da caso a caso e da tutte le circostanze e le variabili della sua vita.

Di sicuro però c’è che la narrazione del wunderkind è un tema che affascina immensamente pubblico e narratori. Non si spiegherebbe altrimenti perché tabloid e riviste ripropongono a cadenza regolare aggiornamenti sulle condizioni in cui versano Macaulay Culkin o Lindsay Lohan e l’interesse morboso per la vita di Britney Spears, riacceso recentemente a seguito della docu-inchiesta del New York Times.

Non si spiegherebbero il successo di un libro come Open, la biografia di Agassi, o di un film come Tonya, il biopic sulla pattinatrice americana, né l’imperitura ossessione per Michael Jackson. Anche la letteratura ha esplorato l’argomento, sia in chiave fiction che non-fiction. Un autore che ci è tornato più volte è David Foster Wallace: Hal Incandenza, giovane promessa del tennis e ragazzo brillante, è uno dei protagonisti di Infinite Jest, mentre in Piccoli animali senza espressione — racconto che apre la raccolta La ragazza dai capelli strani— una dei personaggi principali è Julie, campionessa imbattuta per tre anni consecutivi di Jeopardy, il famoso quiz televisivo.

La storia di ogni enfant prodige è sempre anche la storia dei suioi genitori. Fanno presa su di noi le parabole in cui il cattivo è facile da identificare, come un Emanoul Agassi che costringeva il figlio a continui, durissimi allenamenti. Una LaVona Golden Harding che ha cresciuto la figlia tra pattini e ceffoni e non trascurava mai di ricordarle i sacrifici a cui si sottoponeva per farla diventare una campionessa. O un Joseph Jackson che forse oggi sarebbe stato accusato di sfruttamento del lavoro minorile… Al contrario, dei genitori che supportano con amore l’ambizione della prole non ce ne frega niente, non fa notizia, non suscita indignazione.

Tuttavia nel mio romanzo, Bravissima, non mi interessava raccontare di genitori che usano i figli come strumento di riscatto sociale e personale, come superficie su cui riflettere le proprie ambizioni o come macchine fattura-milioni, per questo ho ribaltato i ruoli. Volevo esplorare il sentimento opposto, la devozione. Volevo mettere una madre nella posizione di arrivare a detestare la passione della figlia e osservare come questa forte avversione avrebbe influenzato il loro rapporto.

Bravissima Paola Moretti

L’AUTRICE E IL LIBRO – Paola Moretti (1990) collabora con diverse testate occupandosi di letteratura e traduzione. Suoi racconti sono comparsi su riviste letterarie italiane e straniere. È autrice del podcast phenomena – audiobiografie impossibili. Bravissima (66thand2nd) è il suo romanzo d’esordio, nel quale l’autrice racconta con una scrittura nitida un legame d’amore in tutta la sua ricchezza e complessità.

Antonella, infatti, non ha ancora quarant’anni quando da Milano si trasferisce con il marito Claudio e la figlia Teodora in una quieta cittadina del Centro-Sud. Mentre Claudio è impegnato in una difficile scalata professionale, Teodora scopre una nuova totalizzante passione nella ginnastica ritmica e Antonella deve reinventare sé stessa. Dalla maternità il suo mondo si era ristretto al benessere della bambina, ma adesso la figlia di otto anni è diventata una ginnasta ambiziosa.

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Teodora assorbe in fretta i dettami di uno sport che per disciplina e pretese sembra avvicinarsi a un’organizzazione paramilitare: diventa intransigente, tirannica, fanatica. Antonella è preoccupata per questa evoluzione, per il rapporto con sua figlia e soprattutto per la sua crescita. Ma la bambina è un prodigio, viene scelta da una società importante, già si pensa a un futuro in Nazionale. Sarà questo il momento in cui Antonella dovrà compiere la scelta a cui è chiamato ogni genitore: riconoscere che la figlia è un individuo dotato di volontà, autonomia e facoltà di sbagliare o mettere sempre davanti a tutto il proprio istinto di protezione?

Alla fine interverrà il caso a ribaltare ancora una volta gli equilibri e i ruoli tra madre e figlia. Teodora si troverà presa in una situazione molto più grande di lei che Antonella proverà a gestire con inedita determinazione.

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