La guerra in corso sta generando in tutto il mondo forti divisioni anche nel mondo culturale e accademico. A questo proposito, all’ultima Buchmesse ha fatto discutere l’intervento del filosofo sloveno Slavoj Žižek, che sul palco ha parlato del conflitto in corso in Israele. Dopo le polemiche suscitate dalle sue parole, il saggista ha deciso di rispondere alle critiche ricevute e di spiegare il suo punto di vista sulla complessa situazione: “(…) Non esiste una soluzione alla crisi mediorientale se non sottraendo i palestinesi al limbo in cui si trovano…”. Il suo intervento

Le ultime settimane sono state inevitabilmente segnate dal dibattito sulla guerra in corso: in tutto il mondo si sta discutendo di Israele, Hamas e di quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza. Si scontrano posizioni opposte, e le forti divisioni non mancano anche nel mondo culturale e accademico.

A questo proposito, prima che in Italia facesse a lungo parlare la scelta di Zerocalcare di non partecipare a Lucca Comics & Games (“Purtroppo il patrocinio dell’ambasciata israeliana per me rappresenta un problema”), come abbiamo raccontato ha generato un ampio dibattito l’annullamento della premiazione della scrittrice palestinese Adania Shibli, alla cerimonia d’apertura dell’ultima Fiera del libro di Francoforte.

In particolare, all’ultima Buchmesse ha fatto discutere l’intervento del filosofo sloveno Slavoj Žižek. Il saggista sul palco ha parlato del conflitto tra Israele e Palestina, sottolineando anche le colpe storiche di Israele e, in generale, la complessità della situazione.

Nato a Lubiana nel 1949, Žižek insegna nella sua città natale e in vari atenei americani ed europei. È autore di moltissimi volumi. In Italia è pubblicato da Ponte alle Grazie, che ha da poco portato in libreria Libertà, una malattia incurabile. Per Žižek, è proprio sulla natura della libertà che oggi bisogna riflettere, in un momento storico in cui parola “libertà” è sulla bocca di tutte le parti politiche, “dalle vecchie e nuove sinistre ai liberali ai reazionari”.

Dopo le polemiche suscitate dal suo intervento a Francoforte, il filosofo ha scelto di tornare su quanto avvenuto e spiegare il suo punto di vista. Qui di seguito il suo intervento, nella traduzione di Vincenzo Ostuni.

Scandalo a Francoforte? Sì, ma…

di Slavoj Žižek

Uwe Becker, Antisemitismusbeauftragter [commissario per l’antisemitismo] del Land dell’Essen, ha interrotto per due volte il mio discorso alla cerimonia d’apertura della Fiera del Libro di Francoforte,[1] innescando contro di me una valanga di critiche – perché?

Prima di tutto, alcuni dati sul mio discorso. All’inizio ne avevo scritto uno completamente diverso, ma nei primissimi giorni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre mi ha contattato Juergen Boos, direttore della Fiera, chiedendomi d menzionare anche la guerra. (Forse si attendeva che mi unissi al coro di chi dichiara incondizionato sostegno alle attuali azioni di Israele). Il nuovo discorso è stato inviato in anticipo agli organizzatori sloveni e alla Fiera (compreso Boos), e mi è stato suggerito di modificare certe formulazioni (il che ho fatto)… Insomma, il discorso non conteneva sorprese: chi doveva conoscerlo lo conosceva.

Perché tante critiche, dunque? Mi ci è voluto un po’ per comprenderlo: non perché io mi sia spinto troppo in là, ma proprio perché sono stato fin troppo equilibrato e moderato – il timore era che un approccio del genere potesse convincere alcuni degli indecisi sul sostegno a Israele a rendersi anche conto delle sofferenze dei palestinesi. È molto facile biasimare chi urla «morte a Israele» – molto più facile che biasimare chi condanna senza condizioni l’aggressione di Hamas e al contempo richiama l’attenzione sul contesto di quell’aggressione. Inoltre, ha disturbato i miei critici che io abbia citato (in modo positivo) esclusivamente nomi di ebrei (Moshe Dayan, Simon Wiesenthal, Marek Edelman…).

Sul fronte opposto, ho ricevuto molti messaggi da palestinesi cisgiordani, infuriati perché non ho esplicitamente affermato che, al riguardo di quel che oggi accade ai palestinesi, non debbano limitarsi a esibire il proprio statuto di vittime – i cisgiordani non hanno anche loro un diritto alla collera? La mia collera, in questo momento, è rivolta soprattutto a personaggi come Uwe Becker, che in nome della Germania mettono in atto la più disgustosa delle strategie: chi ha commesso l’olocausto oggi tenta di discolparsi approvando le ingiustizie perpetrate da Israele contro un altro gruppo etnico! Ma torniamo al mio discorso. Ecco una tipica reazione della stampa:

Nella cerimonia d’apertura, Slavoj Žižek, noto filosofo e critico culturale sloveno, ha dato scandalo. Žižek ha condannato l’aggressione terroristica del movimento islamista palestinese Hamas contro Isreale e ha sottolineato la necessità di «ascoltare i palestinesi e considerare il loro passato».[2]

In primo luogo – come di recente accade spesso – le parole tra caporali, presentate come una citazione dal mio testo, non lo sono afatto. Poi sì, scandalo c’è stato, ma davvero l’ho provocato io? Lo scandalo non è la duplice e brusca interruzione del mio discorso? La seconda volta, l’incursore si è addirittura avvicinato al mio palco, e tutto questo perché? Per ribadire l’ovvio, quel che leggiamo ogni giorno sulla stampa: che non esiste una soluzione alla crisi mediorientale se non sottraendo i palestinesi al limbo in cui si trovano. Per dare un’idea della disperazione dei comuni palestinesi della Cisgiordania, basti ricordare, dieci anni fa circa, l’ondata di attacchi suicidi isolati per le strade (soprattutto) di Gerusalemme: un palestinese o una palestinese qualsiasi si avvicinava a un ebreo (solitamente un uomo), tirava fuori un coltello e lo colpiva, sapendo bene che sarebbe stato immediatamente ucciso o uccisa dagli astanti. Condanno fermamente queste azioni, ma debbo annotare che non le accompagnava alcun messaggio, nessuno gridava «Palestina libera!», non erano l’iniziativa da un movimento organizzato (non lo hanno mai affermato neppure le autorità israeliane), non si fondavano su un ampio progetto politico ma sulla pura disperazione. All’epoca mi trovavo a Gerusalemme e i miei amici ebrei mi consigliarono, se mi fossi accorto di un’aggressione imminente, di urlare «Non sono ebreo!» – ricordo il mio senso di vergogna all’idea di comportarmi così, dato che, in una situazione del genere, forse avrei finito per farlo davvero…

Fra i candidati alla peggiore idiozia dell’anno c’è a mio avviso un titolo recente del magazine della Zeit: «Il male di Hamas non ha contesto».[3] Un’affermazione che ho ripetutamente ascoltato a Francoforte ne illustra il significato: «Qui non ci sono due fronti, ce n’è uno solo». D’accordo, ma possiamo dir questo solo se consideriamo tutti i «ma» e capiamo come l’«unico» fronte vi risponda. Una dei partecipanti alla cerimonia di apertura ha esplicitamente affermato di odiare la parola «aber» («ma») – ma non è proprio il «ma» lo strumento di dissenso più gentile nell’ambito di un dialogo? «Capisco e rispetto il tuo punto di vista, ma…»

Analizzare il contesto non vuol dire né scusare né giustificare alcunché – esistono molte analisi della presa di potere nazista in Germania, che non giustificano certamente Hitler, ma descrivono la situazione complicata che Hitler sfruttò per prendere il potere. Hitler non uscì fuori dal nulla: già negli anni Venti aveva utilizzato l’antisemitismo come espediente narrativo per spiegare le difficoltà vissute dai comuni tedeschi: disoccupazione, degrado morale, rivolte… dietro a tutto questo ci sono gli ebrei: ovverosia, l’idea del «complotto giudaico» chiariva ogni cosa fornendo un’elementare «mappa cognitiva». L’attuale odio del multiculturalismo, il pericolo portato dai migranti non funzionano in maniera simile? Oggi accadono strane cose, la vita di ogni giorno viene colpita da collassi finanziari che vengono percepiti con totale opacità – mentre il rifiuto del multiculturalismo introduce una falsa chiarezza nella situazione: è colpa degli stranieri che invadono i nostri Paesi e perturbano il nostro modo di vivere… Tornando al mio discorso, l’unico paragone che effettivamente evocavo è la strana somiglianza tra Hamas e la posizione estremistica dell’attuale governo Netanyhau – ecco il brano in questione:

Il giorno dell’attacco, Isma’il Haniyeh, il capo di Hamas, che vive comodamente a Dubai, ha dichiarato: «Abbiamo una cosa sola da dirvi: andatevene dalla nostra terra. Toglietevi di mezzo […]. Questa è la nostar terra, al-Quds [Gerusalemme] è nostra, [qui] tutto è nostro […]. Non siete al sicuro in nessun posto». Tutto chiaro e disgustoso. Ma – anche se non in questa maniera brutale – il governo israeliano non ha detto qualcosa di simile? Ecco il primo dei «principi fondamentali» ufficiali dell’attuale governo israeliano: «Il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indisputabile su ogni parte della Terra d’Israele. Il governo promuoverà e svilupperà gli insediamenti in ogni regione della Terra d’Israele: in Galilea, nel Neghev, nel Golan, in Giudea e Samaria». O ancora, come ha affermato Netanyahu, «Israele non è il paese di tutti i suoi cittadini» ma «del popolo ebraico, e solo del popolo ebraico». Questo «principio» non esclude ogni seria negoziazione? I palestinesi sono trattati come un mero problema: lo Stato d’Israele non gli ha mai offerto nessuna speranza, non ha mai definito positivamente il loro ruolo nella nazione in cui vivono. Al di sopra di ogni polemica su chi sia «più terrorista» aleggia come un’enorme nuvola nera la massa degli arabi palestinesi che da decenni giacciono in un limbo, esposti a quotidiani maltrattamenti da parte dei coloni e dello Stato israeliano […]. Forse la prima cosa da fare è riconoscere esplicitamente l’enorme disperazione e confusione che possono partorire azioni malvagie – insomma, non ci sarà pace in Medio Oriente se non risolvendo la questione palestinese.

Qui mi si è rimproverato di trascurare un fatto fondamentale: il governo israeliano non ha soltanto detto la stessa cosa in maniera più civile, ma esiste anche una differenza nel contenuto – Israele non impone (né esegue) l’eliminazione fisica indifferenziata degli avversari. Rispondo io: è vero, ma mentre Hamas e i suoi alleati proclamano la cacciata degli ebrei dalla terra d’Israele, Israele la mette in pratica, sottraendo gradualmente e inesorabilmente la terra ai palestinesi di Cisgiordania. Persino gli Stati Uniti hanno espresso apprensione per gli aggressioni dei coloni ai palestinesi cisgiordani – il segretario di Stato Antony Blixen ha «comunicato la sua preoccupazione» e, come ci si poteva attendere, ha ottenuto da parte israeliana benintenzionate promesse di approfondire la questione.[4] Non è chiaro come questo possa mai accadere con Itamar Ben-Gvir come ministro della Sicurezza Nazionale – il 7 ottobre 2023 Ben-Gvir ha annunciato l’acquisto di diecimila fucili da parte del suo dicastero per armare squadre di civili, in particolare nelle città frontaliere di tutto il Paese, in quelle dalla cittadinanza mista araba ed ebraica e negli insediamenti della Cisgiordania.[5]

Per quanto ne sappia, nessuno ha contestato alcun fatto riportato nel discorso, ma secondo la principale obiezione non è adesso (adesso che gli ebrei stanno morendo in massa) il momento adatto a un’analisi più ampia – quando l’ho ascoltato non credeveo alle mie orecchie: in quel momento (dieci giorni dopo l’attacco di Hamas) stavano già morendo molti più palestinesi che ebrei. Ma perché ho ignorato gli orrori che si verificavano a Gaza? Pensiamo a questi versi della Dreigroschenoper, L’opera da tre soldi di Brecht: «Denn die einen sind im Dunkeln / Und die andern sind im Licht. / Und man sieht nur die im Lichte / Die im Dunkeln sieht man nicht» (Poiché alcuni sono al buio / altri sono nella luce. / Solo chi è alla luce vedi, / chi sta al buio mai vedrai).[6] È questa (forse più che mai) la nostra odierna situazione, nella sedicente epoca dei media moderni: mentre i grandi giornali e le grandi tv erano fino a poco fa pieni di notizie sulla guerra in Ucraina, le guerre più sanguinose del mondo ne erano assenti.[7] Ora che sotto i riflettori c’è il Vicino Oriente, non possiamo non notare come puntino quasi esclusivamente su Gaza e non sulla Cisgiordania, dove sta probabilmente accadendo qualcosa di ancora più grave. A scanso di equivoci: sono naturalmente sconvolto dai «danni collaterali» provocati dai bombardamenti dell’esercito israeliano a Gaza, molto più ingenti delle perdite inflitte alle forze di Hamas, ma non credo che Israele voglia rioccupare Gaza – l’autentico evento sta accadendo in Cisgiordania, ossia la graduale «pulizia etnica» della popolazione palestinese. Non posso non essere d’accordo con Judith Butler:

Dalle sistematiche confische di terre ai ripetuti attacchi aerei, dalle detenzioni arbitrarie ai posti di blocco militari, dalle separazioni familiari agli omicidi mirati, i palestinesi sono stati costretti a vivere in uno stato di morte, lenta o improvvisa che sia.[8]

Con il nuovo governo Netanyahu, questa pressione multidimensionale è cresciuta in maniera quasi esponenziale, dai puri e semplici assassini da parte dei coloni alle misure burocratico-amministrative. Fra le decine di video disponibili ne vorrei menzionare solo uno, di gran lunga non il più violento ma, almeno per me, il più deprimente.[9] Vi si vede un colono che maltratta un gruppo di contadini palestinesi mentre lavorano la propria terra, umiliandoli e insultandoli, affermando che la terra non gli appartiene, sparpagliando i loro sacchi di semi, affrontando testa a testa in maniera provocatoria alcuni di loro e urlandogli cose di questo genere: «Perché non mi colpisci? Sei un uomo o no?» – tutto ciò mentre, sullo sfondo, alcuni soldati israeliani rimangono in silenzio senza intervenire… Possiamo immaginare che cosa sarebbe successo se un contadino palestinese si fosse comportato così con un gruppo di coloni?

Questo però non è che un dettaglio – accade ben di peggio; gruppi di coloni che intimano via messaggio alle famiglie palestinesi di abbandonare le loro abitazioni entro ventiquattr’ore – altrimenti molto spesso si presentano e picchiano o persino uccidono i suoi membri. Un altro caso: due palestinesi uccisi da coloni israeliani che hanno aperto il fuoco contro un corteo funebre nei pressi della città cisgiordana di Qusra, a sud di Nablus.

Le ambulanze stavano trasportando i cadaveri di quattro palestinesi assassinati il giorno prima, a quanto pare da coloni israeliani, quando i coloni si sono presentati sulla scena e hanno tentato di arrestare il corteo funebre. Secondo la dichiarazione che «Haaretz» attribuisce a uno degli autisti delle ambulanze, «i coloni erano lì ad aspettare. Hanno bloccato il cancello, hanno cominciato a sparare a noi e ad altri che si trovavano qui per il funerale».

La reazione ufficiale?

Secondo le forze armate israeliane, gli scontri fra palestinesi e israeliani nel villaggio in cui si stava per svolgere il funerale hanno provocato un certo numero di vittime tra i palestinesi. L’incidente sarebbe al centro di un’indagine.

Un incidente isolato?

Nell’ultimo anno, ripetuti incidenti hanno visto irruzioni violente nei villaggi palestinesi di giovani coloni, la cui furia ha provocato parecchie vittime, decine di feriti e danni ingenti ai loro beni. Gli assalitori raramente vengono arrestati per questi atti, e tanto meno processati.[10]

Se questa non è una forma di terrore allora il termine non significa più nulla.

Finché dominava l’ideologia sionista, tradizionale e laica, delle colonie di popolamento, lo Stato privilegiava discretamente (neppure poi tanto) i cittadini ebrei ai palestinesi e tuttavia si sforzava di mantenere le apparenze della neutralità del diritto: di tanto in tanto condannava i sionisti più radicali per i loro crimini contro i palestinesi, metteva un limite ai nuovi insediamenti illegali in Cisgiordania eccetera. A svolgere questo ruolo era innanzitutto la Corte Suprema – non c’è da stupirsi che la riforma giudiziaria promossa dal governo di Netanyahu in carica dalla fine del 2022 privi la Corte Suprema della sua autonomia. Le diffuse proteste che l’iniziativa ha suscitato sono l’estremo rantolo del sionismo laico: con il nuovo governo Netanyahu, la violenza antipalestinese (il pogrom di Huwara ecc.) e non solo antipalestinese (l’aggressione al monastero Stella Maris di Haifa) non viene più neppure formalmente condannata dallo Stato. La traiettoria di Ben-Gvir è il più chiaro indice di questo mutamento. Prima di entrare in politica, Ben-Gvir teneva notoriamente in salotto un ritratto di Baruch Goldstein, terrorista israelo-americano che nel 1994 a Hebron massacrò ventinove fedeli musulmani palestinesi e ne ferì altri 125 in quello che passò alla Storia come il massacro della Grotta dei Patriarchi – e un figuro del genere, già condannato da Israele in quanto razzista, è oggi il ministro che dovrebbe garantire lo stato di diritto… Lo Stato d’Israele, che ama presentarsi come l’unica democrazia del Vicino Oriente si è de facto tramutato in uno «Stato teocratico halachico (il corrispondente della shari’a)».[11] In termini lacaniani, l’oscenità della violenza è il plusgodere che otteniamo come premio per la sottimissione a un edificio ideologico, per i sacrifici e le rinunce che tale edificio ci impone. Nell’odierno Israele, questo plusgodere non dimora in qualche sordido recesso ma viene apertamente assunto:

il plusgodere (uccidere i palestinesi, bruciarne le case, costringerli ad abbandonarle, confiscarne le terre, costruire nuovi insediamenti, distruggerne gli olivi, giudaizzare al-Aqsa eccetera) si articola in maniera esplicita. Forme simili di plusgodere erano prima ritenute eccezioni al discorso ufficiale del sionismo: oggi sono considerate la norma.[12]

Una prova diretta? Il 25 agosto 2023, durante un talk show, Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza Nazionale, ha dichiarato: «Il mio diritto, il diritto di mia moglie, il diritto dei miei figli di muoversi liberamente nelle strade della Giudea e Samaria [la Cisgiordania] è più importante di quello degli arabi». Poi, rivolgendosi all’unico invitato arabo presente, Mohammad Magadli, ha aggiunto: «Mi scusi, Mohammad, ma la realtà è questa».[13] E aveva ragione: sì, in Cisgiordania la realtà è proprio questa. Non c’è da meravigliarsi che il 24 ottobre 2023 António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, abbia affermato davanti al Consiglio di Sicurezza:

È importante anche riconoscere che l’aggressione di Hamas non è nata dal nulla. Il popolo palestinese ha subito cinquantasei anni di asfissiante occupazione. Il suo territorio è stato incessantemente divorato dai coloni e  afflitto dalla violenza; l’economia soffocata; la gente costretta ad abbandonare le proprie case demolite. Le speranze di una soluzione politica al loro dramma sono andate dissolvendosi. Ma il dolore del popolo palestinese non può giustificare i terribili orrori di Hamas. E quei terribili orrori non possono giustificare la punizione di massa del popolo palestinese.[14]

Com’era da attendersi, la risposta non è soltanto consistita in critiche veementi e nelle minacce di «dare una lezione all’ONU», ma nella richiesta di immediate dimissioni:

Il segretario generale delle Nazioni Unite ha ora dimostrato la sua vera natura e ha mostrato al mondo di essere fazioso e ostile, dunque non la persona giusta per guidare le Nazioni Uniti in un periodo così teso della Storia globale.

Il cinismo della reazione è sbalorditivo:

Il popolo d’Israele (ebrei, musulmani, cristiani, drusi e beduini) ha subito un gravissimo attacco terroristico.[15]

Il governo israeliano tratta esplicitamente i non ebrei come cittadini di seconda categoria, e ora vengono definiti tutti assieme vittime di Hamas…

Per trovare una via d’uscita la prima cosa da fare è ammettere che ci troviamo davanti un’autentica tragedia: non esiste una soluzione semplice e chiara, se non quelle proposte da Ben-Gvir e da Hamas: lo sterminio degli avversari.

La mia condanna dell’attacco di Hamas è chiara e indisputabile. Come mi si può accusare di sostenere la violenza di Hamas quando il titolo della mia intervista alla Zeit era Die Hamas muss vernichtet werden[16] (Hamas dev’essere annientata)? Il fatto davvero orrendo è questo: la maggioranza degli ebrei della zona a est di Gaza che ha visto le scorribande omicide di Hamas propugna una coesistenza pacifica con i palestinesi, alcuni dei quali si sono anche impegnati ad aiutare chi soffriva a Gaza.

Non è la sede per analizzare le oscure origini di Hamas che, secondo molte fonti, fu all’inizio sostenuta da Israele con l’obiettivo di dividere i palestinesi tra la più laica OLP e l’organizzazione islamista:

La politica d’Israele è consistita per lo più nel trattare l’Autorità Palestinese come un peso e Hamas come una risorsa. Lo ha ammesso nel 2015 lo stesso Bezalel Smotrich, parlamentare di estrema destra, oggi ministro delle Finanza dell’intransigente governo Netanyahu e capo del Partito Sionista Religioso. Secondo vari testimoni, Netanyahu ha sostenuto una tesi simile all’inizio del 2019 durante un convegno del Likud, quando avrebbe detto che chi si oppone all’esistenza di uno Stato palestinese dovrebbe essere a favore del sostegno finanziario a Gaza, visto che mantenere la separazione tra l’Autorità Palestinese nella Cisgiordania e Hamas a Gaza ne impedirebbe la creazione.[17]

Insomma, Israele ha commesso lo stesso errore degli Stati Uniti in Afghanistan, sostenendo estremisti islamici come Osama bin Laden contro il regime appoggiato dai sovietici.

Yuval Harari ha ragione di sottolineare che scopo principale dell’attacco di Hamas non era solo uccidere molti ebrei ma impedire ogni possibilità di pace nel prossimo futuro – è una guerra cominciata con l’intento di eternare la stessa guerra. E Harari ha anche ragione di aggiungere che Israele deve evitare la trappola tesa da Hamas, perché «in futuro si avrà la pace solo se i palestinesi potranno vivere una vita degna nella loro patria».[18] È importante notare queste ultime parole – «nella loro patria» – perché qui Harari accetta che la terra occupata da Israele è anche patria dei palestinesi. Per metterla in maniera consapevolmente ingenua: Israele dovrebbe trattare i suoi cittadini palestinesi come suoi cittadini. Deluderò forse molti dei miei critici «di sinistra», ma concordo con l’assunto centrale di una lettera firmata da Harari con David Grossman e altri:

Non esiste contraddizione tra l’opposizione più ferma all’assoggettamento e all’occupazione inflitta da Israele ai palestinesi e la condanna inequivocabile di ogni brutale atto di violenza contro civili innocenti. Anzi, ogni persona di sinistra che sia coerente deve abbracciare al contempo entrambe le posizioni.[19]

Nel mio discorso ho sostenuto esattamente lo stesso:

Bisogna andare fino in fondo in entrambe le direzioni, nella difesa dei diritti dei palestinesi e nella lotta all’antisemitismo. Sono due momenti della medesima lotta. […] Chi vede in questa mia posizione una «contraddizione» soffre di un grave disorientamento morale.

A Lubiana, la mia città, ho visto su un muro questa scritta: «Se fossi un palestinese della Cisgiordania sarei anche un negazionista dell’Olocausto» – esattamente la logica che va evitata a tutti i costi, non foss’altro perché riproduce l’argomento sionista: «Un sopravvissuto all’Olocausto ha il diritto di ignorare le trascurabili ingiustizie oggi commesse dallo Stato d’Israele contro i palestinesi».

Fra gli effetti catastrofici dell’attuale guerra in Medio Oriente c’è anche la confusione su alcune cruciali distinzioni: l’Occidente filoisrealiano (specialmente gli Stati Uniti) oggi presenta la difesa dell’Ucraina contro l’aggressione russa e la difesa di Israele contro Hamas come momenti della medesima guerra globale, quasi che Israele = Ucraina.

Sul fronte opposto di pseudosinistra, si leggono già dichiarazioni secondo cui le aggressioni (da parte della Russia, da parte di Hamas) sarebbero entrambe giustificate reazioni difensive, susseguite a una lunga storia di oppressioni – in pratica, il Donec’k come Cisgiordania dei russi… Perché uso il termine «pseudosinistra»? Perché, seguendo la vecchia tradizione marxista, io credo che la sinistra non possa strutturalmente essere antisemita, poiché sa come l’antisemitismo si fondi sull’operazione ideologica di base che, per liquidarli, traspone gli antagonismi sociali immanenti su un agente esterno. (Per lo stesso motivo, il populismo tende ad essere antisemita: esso non interroga  l’antagonismo insito nell’ordine sociale fondamentale ma si concentra sulla «corruzione» et similia). Sono ben conscio delle tendenze antisemite che in effetti operano nell’odierna sinistra, ma esse segnalano in maniera affidabile che in questa sinistra qualcosa non va, e ciò vale per Stalin come per Hugo Chávez (al quale fu nientedimento che Fidel Castro a ricordare che l’antisemitismo va evitato). Nei primi anni dopo la Rivoluzione d’ottobre, la presenza degli ebrei ai vertici del potere politico era molto forte; la situazione si capovolse con l’ascesa al potere di Stalin. E lo stesso vale per la sinistra di oggi, che urla slogan antisemiti… Dunque, torniamo per l’ultima volta al mio discorso – eccone un altro tipico resoconto:

Mike Josef, sindaco di Francoforte, ha definito «inquietante» il discorso di  Žižek. «La libertà d’espressione e la cultura del dibattito sono importanti. Ma quando Žižek ha citato Reinhard Heydrich, l’uomo delle SS, ha superato i confini della provocazione» dichiara Josef. La vicesindaca Nargess Eskandari-Gruenberg si è detta particolarmente preoccupata del fatto che il discorso di Slavoj Žižek abbia collegato il terrorismo di Hamas all’irrisolta questione palestinese, così relativizzandolo: «Trovo questa relativizzazione intollerabile e sgradevole». A parere di Eslandari-Gruendberg, nulla giustifica il terrore.[20]

La seconda critica è ovviamente ridicola: certo che esiste un rapporto tra l’aggressione di Hamas e ‘indefinito statuto dei palestinesi nei territori occupati – Hamas sfrutta il dramma dei palestinesi proprio come Hitler sfruttava lo scontento dei tedeschi qualunque durante la crisi postbellica. Quanto alla prima critica (citare Heydrich supera i limiti della provocazione): sì, il mio discorso è stato interrotto anche quando ho citato Heydrich, ma l’insinuazione che in qualche modo io metta insieme Heydrich e Israele è del tutto infondata. Perché ho citato Heydrich? Ho brevemente rievocato una linea di pensiero che ho già utilizzato in libri e conferenze (anche a Tel Aviv, dov’è stata accolta senza problemi). Oggi si verifica qualcosa di strano. Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale d’Israele, ma alcuni dei suoi seguaci (ad esempio i Proud Boys) sono antisemiti – eppure, si tratta davvero di un’incoerenza? Quando Trump ha firmato il discusso decreto sull’antisemitismo, era lì John Hagee, ossia il fondatore e presidente nazionale dell’organizzazione cristiano-sionista Christians United for Israel. Oltre ai consueti programmi cristiano-conservatori, Hagee ha tuttavia prodotto affermazioni dal sapore decisamente antisemita: ha dato la colpa dell’Olocausto agli ebrei; ha dichiarato che la persecuzione da parte di Hitler fosse un «progetto divino» il cui scopo era condurre gli ebrei alla formazione del moderno Stato di Israele; definisce «avvelenati» e «spiritualmente ciechi» i progressisti ebrei; riconosce che l’attacco nucleare preventivo all’Iran, di cui è fautore, provocherà la morte della gran parte degli ebrei d’Israele… Israele dovrebbe guardare con molto sospetto a questo genere di sostegno, che ha una lunga storia.

Ricordiamo tutti Anders Breivik, il norvegese di estrema destra responsabile di strage: era antisemita ma filoisraeliano, perché vedeva nello Stato d’Israele la prima linea difensiva contro l’espansione islamica. Breivik propugna addirittura la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, ma ha scritto nel suo Manifesto:

Non esiste una questione ebraica in Europa occidentale (con l’eccezione del Regno Unito e della Francia), poiché in Europa Occidentale abbiamo soltanto un milione di ebrei di cui ottocentomila vivono in Francia e nel Regno Unito. Invece gli Stati Uniti, con oltre sei milioni di ebrei (il 600 per cento degli ebrei europei), hanno una concreta questione ebraica.

La sua figura realizza l’estremo paradosso del sionista antisemita – posizione bizzarra di cui troviamo tracce più spesso di quanto potremmo attenderci. Scriveva nel 1935 lo stesso Reinhardt Heydrich, eminenza grigia dell’Olocausto:

Gli ebrei vanno suddivisi in due categorie: i sionisti e i partigiani dell’assimilazione. I sionisti professano un concetto strettamente razziale e, attraverso l’emigrazione in Palestina, contribuiscono a creare lo Stato ebraico. […] a loro vanno i nostri auguri e la nostra ufficiale simpatia.[21]

Antisemitismo sionista allo stato più puro… È un fenomeno che appartiene al passato? Ecco che cosa hanno dichiarato alcuni rabbini alla Eli Academy, scuola d’élite (finanziata dallo Stato) in cui studiano molti ufficiali dell’esercito:

Con l’aiuto di Dio tornerà la schiavitù. I non ebrei vorranno essere nostri schiavi. Essere schiavi di un ebreo è il meglio possibile. Dovranno per forza essere schiavi. Vorranno esserlo. Invece di non far altro che vagare nelle strade, stupidi e violenti, e di farsi male a vicenda, ora comincia la loro vita. Questa gente ha problemi genetici. Chiedete a un arabo qualsiasi che cosa vuole diventare. Vuole trovarsi sotto occupazione. […] Non sanno governare un Paese né niente. […] Sì, siamo razzisti. Crediamo nel razzismo. Le razze hanno differenze genetiche. Dnnque dobbiamo pensare a come aiutarli. […] L’Olocausto non era questione di ammazzare gli ebrei. Stupidaggini. E che fosse sistematico e ideologico lo rende più morale di un casuale assassinio. L’umanesimo, la cultura laica: è questo l’Olocausto. Il vero Olocausto è il pluralismo. Credere nell’umanità – è questo l’Olocausto. […] La logica nazista era coerente. Secondo Hitler, un certo gruppo sociale era causa di tutti i mali del mondo e dunque andava sterminato. […] Per anni, Dio ha urlato che la Diaspora è finita, ma gli ebrei non obbediscono. È questa la loro malattia, che l’Olocausto doveva curare. […] Hitler era nel giusto. Aveva ragione, in ogni parola. La sua ideologia era esatta. […] Il loro unico errore [dei nazisti] fu non capire da che parte stavano tutti.[22]

Nonostante sia esplicitamente sostenuta solo da un’infima minoranza (ma come si vede nel video, Netanyahu ha fatto visita alla Eli Academy!), questa posizione, così estrema, rivela le premesse implicite di quel che oggi lo Stato d’Israele sta facendo alla Cisgiordania…. Ma il confronto tra ciò che oggi accade in Israele e il nazismo non è un’esagerazione ridicola? Qui c’imbattiamo nell’autentica grandezza etica degli ebrei. Se a tracciare il paragone è un non ebreo, questi viene immediatamente rubricato come antisemita – io concordo: ritengo che chi non è ebreo non abbia il diritto di farlo. E se un’osservazione del genere proviene da un’importante personaggio ebreo? Se a dire che in Cisgiordania l’esercito israeliano si rende colpevole di crimini di guerra secondo processi simili a quelli della Germania nazista è un ex generale di Tsahal, le forze armate israeliane?

Parlando alla tv pubblica Kan 11 della situazione in Cisgiordania, Amiram Levin, generale in pensione, già capo del Comando Nord dell’esercito israeliano, ha dichiarato: «Lì non c’è democrazia da cinquantasette anni, ma un apartheid totale», «Tsahal, che laggiù è costretta a esercitare la sua sovranità, è marcio fino al midollo. Se ne sta a guardare i coloni facinorosi e comincia ad esser complice dei crimini di guerra». Quando gli è stato chiesto di fornire qualche dettaglio sugli specifici «processi», Levin ha evocato la Germania nazista. «È dura da dire per noi, ma è la verità. Fatevi un giro per le strade di Hebron e guardate. In quelle strade agli arabi non è più consentito di camminare, solo agli ebrei. Proprio come accadeva allora in quel Paese nero».[23] Finché esisteranno israeliani come Amiram Levin ci sarà speranza. Perché è solo con la loro solidarietà e il loro sostegno che i palestinesi cisgiordani avranno qualche possibilità… Tuttavia, la morale di tutto ciò è molto triste. In un passaggio memorabile di Vivere ancora. Storia di una giovinezza, Ruth Klüger descrive una conversazione in Germania con «alcuni dottorandi avanzati»:

Uno di loro riferisce di aver conosciuto a Gerusalemme un vecchio ebreo ungherese sopravvissuto ad Auschwitz, che pure malediva gli arabi e li disprezzava tutti. Come può parlare così qualcuno che viene da Auschwitz?, chiede il tedesco. Io intervengo e ribatto, forse più calorosamente del dovuto. E che si aspettava? Auschwitz non era un’istituzione educativa… Lì non s’imparava nulla, tanto meno l’umanità e la tolleranza. Dai campi di concentramento non viene niente di buono, mi ascolto dire alzando la voce, e lui voleva la catarsi, la purificazione, il genere di cose per cui si va a teatro? Era la forma d’organizzazione più inutile e insensata che si possa immaginare.[24]

Insomma, l’orrore estremo di Auschwitz non lo ha reso il luogo in cui i superstiti si purificavano divenendo soggetti etici e perdendo ogni egoismo. Anzi, l’orrore di Auschwitz stava anche nella deumanizzazione di tante vittime, trasformate in insensibili superstiti, incapaci di produrre giudizi equilibrati o etici. Dunque, nuovamente, la lezione da trarre è molto triste: dobbiamo rinunciare all’idea che le esperienze estreme abbiano un contenuto d’emancipazione, che ci consentano di fare chiarezza e aprire gli occhi alla verità definitiva di una situazione.

Per le stesse ragioni, credo anche che tutto il dibattito «Olocausto versus colonialismo», che qualche anno fa ha attecchito in Germania (ovvero: quale dei due è stato peggio?) vada respinto come profondamente osceno. L’olocausto fu un unico e terrificante megacrimine; il colonialismo ha provocato un’impensabile quantità di morti e sofferenze. L’unico modo corretto di vedere questi due errori è considerare la lotta all’antisemitismo e quella al colonialismo come due aspetti di una medesima lotta. Chi archivia  il colonialismo come male minore insulta le vittime dell’Olocausto, poiché riduce un orrore senza confronti alla contropartita di qualche manovra geopolitica. Chi relativizza l’unicità dell’Olocausto insulta le vittime del colonialismo. L’Olocausto non è un crimine in una serie ma è unico nel suo genere, proprio come il colonialismo moderno è stato un unico e sconvolgente orrore compiuto con la giustificazione di civilizzare gli altri. Sono imparagonabili mostruosità, che non possono e non debbono ridursi a meri esempi da «mettere a confronto» – in un certo senso, ciascuno di essi è il male assoluto.

 

[1]The Radical Revolution, Slavoj Žižek – Statement on Israel, Hamas & Palestine (17/10/2023), YouTube, 20 ottobre 2023 .

[2]Nazar Chernenko, The 75th Frankfurt Book Fair comes to an end in Germany, The Gaze, 22 ottobre 2023.

[3]Peter Neumann, Haben sie das Mitgefühl verlernt?, pag. 2/2:  

Das Böse der Hamas hat keinen Kontext, Zeit Online, 25 ottobre 2023

[4]Reuters, Blinken «conveyed concern» over West Bank violence to Israeli foreign minister, Reuters, 28 giugno 2023.

[5]Jeremy Sharon, Ben Gvir says 10,000 assault rifles purchased for civilian security teams, The Times of Israel, 10 ottobre 2023.

[6]Sono i versi che Brecht aggiunse in coda a La ballata di Meckie Messer per la versione cinematografica di Pabst (1931) della celebre commedia satirica [N.d.T.].

[7]Anjam Sundaran, World’s deadliest wars go unreported, Democracy Now!, 8 giugno 2023.

[8]Judith Butler, The compass of mourning, «London Review of Books», XLV, n. 20 (19 ottobre 2023).

[9]Bfselem, Israeli settlers stop Palestinian farmers from working their land in front soldiers, Hebron district, YouTube, 19 gennaio 2023.

[10]Redazione, 2 Palestinians killed after settlers said to ambush funeral in West Bank, The Times of Israel, 12 ottobre 2023.

[11]Jamil Khader, Huwwara and Stella Maris: the truth about judicial overhaul, Israeli protests, Palestine Chronicle, 1° agosto 2023.

[12]Ivi.

[13]Edo Konrad, «Sorry Mohammad»- What’s behind Ben Gvir’s apartheid honesty?, +972 Magazine, 25 agosto 2023.

[14]António Guterres, Secretary-General’s remarks to the Security Council – on the Middle East, United Nations, 24 ottobre 2023.

[15]Dave Barnes, Call for UN secretary general Antonio Guterres to resign immediately!, change.org, 24 ottobre 2023.

[16]Ijoma Mangold, «Die Hamas muss vernichtet werden», Zeit Online, 20 ottobre 2023.

[17]Tal Schneider, For years, Netanyahu propped up Hamas. Now it’s blown up in our faces, The Times of Israel, 8 ottobre 2023.

[18]Yuval Noah Harari, Yuval Noah Harari & Rosemary Barton – Israel’s war with Hamas, YouTube, 24 ottobre 2023.

[19]Robert Booth, Yuval Noah Harari backs critique of leftist ‘indifference’ to Hamas atrocities , The Guardian, 24 ottobre 2023.

[20]Florian Balke, Manfred Köhler, Theresa Weiss, «Mit Heydrich-Zitat eine Grenze überschritten», FAZ.net, 18 ottobre 2023.

[21]Citato in Heinz Höhne, L’ordine nero. Storia delle SS, Garzanti, Milano 1976 (ed. or. Der Orden unter dem Totenkopf. Die Geschichte der SS, Sigbert Mohn, Amburgo 1969).

[22]David Sheen, The miseducation of Israel, Youtube, 30 aprile 2019. Si veda anche Tamar Pileggi, Embracing racism, rabbis at pre-army yeshiva laud Hitler, urge enslaving Arabs, The Times of Israel, 30 aprile 2019. Come ci si poteva attendere, i rabbini si sono difesi dichiarando che le loro affermazioni erano state decontestualizzate: il loro scopo era mostrare come aiutare gli arabi.

[23]Haaretz, Ex-Israeli General says Army partner in West Bank war crimes, invokes Nazi Germany, Haaretz, 13 agosto 2023

[24]Ruth Klüger, Vivere ancora. Storia di una giovinezza, SE, Milano 2005 (ed. or. Weiter leben. Eine Jugend, Wallstein, Gottinga 1992).

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