“La quotidianità è sempre in qualche modo anche politica, ed è questo che rende i miei libri politici. Anche perché riporto dialoghi e riflessioni sulla società o sui governi. Mi rende però sempre felice sapere che ho anche lettori che non sono assidui lettori di giornali, perché spero di dare un’immagine realistica dei luoghi che visito e di mostrare come si svolga effettivamente la vita quotidiana”. Stephan Orth, pluripremiato giornalista tedesco, tornato in libreria con “La Russia dietro le porte chiuse”, intervistato da ilLibraio.it spiega la sua idea di reportage e la scelta di viaggiare in couchsurfing, e si sofferma sulle contraddizioni della Russia: “Il prossimo luogo di cui scriverò? L’Ucraina, ci sono stato dopo l’inizio della guerra…”

Stephan Orth, giornalista tedesco vincitore di diversi premi per i suoi libri e con all’attivo un lungo periodo alla redazione “Viaggi” dello Spiegel, è conosciuto e apprezzato dai lettori italiani soprattutto per i suoi reportage narrativi, in corso di pubblicazione da Keller.

Reportage che indagano Paesi come la Russia, l’Iran, la Cina, l’Arabia Saudita, caratterizzati da governi autoritari e da un’impostazione politica e sociale profondamente diversa da quella delle nazioni europee.

Ma non è tanto la scelta dei luoghi a rendere peculiare il lavoro di Orth, quanto il mezzo di indagine: viaggiare in couchsurfing.

Per chi non avesse familiarità con il termine, si tratta di un servizio che, tramite l’iscrizione a un portale online, consente di ricercare o dare ospitalità gratuitamente a viaggiatori di tutto il mondo. Ovviamente il couchsurfer deve adattarsi: un letto o una brandina potrebbero essere un lusso, più facilmente si troverà a dormire su un divano, o direttamente sul pavimento con il sacco a pelo. Ma viaggiare come couchsurfer, e Orth questo lo sa bene, ha un pregio che nessun’altra esperienza può dare: vivere a stretto contatto con le persone del luogo, persone comuni, che discutono di politica in piedi in cucina e hanno mestieri e stili di vita di volta in volta differenti (per quanto chi sceglie di ospitare uno sconosciuto tenda spesso ad avere una mente aperta e curiosa).

È questo aspetto che rende i reportage di Orth profondamente sinceri: dietro le porte chiuse delle case le persone confidano opinioni e aspetti del vivere quotidiano che, magari, intervistati pubblicamente o sul posto di lavoro non potrebbero esternare. Gli scambi sono schietti, gli incontri toccanti, spesso anche divertenti e Orth, per quanto parta con alcune tappe prefissate, è ben disposto a modificare il percorso su consiglio dei suoi ospiti.

La Russia dietro le porte chiuse di Stephan Orth

Abbiamo intervistato Stephan Orth in occasione della pubblicazione in Italia di La Russia dietro le porte chiuse (Keller, traduzione di Angela Lorenzini), reportage datato 2016, un viaggio di oltre 21.000 chilometri da Mosca a Vladivostok.

Per Keller, va ricordato, dello stesso autore è uscito L’Iran dietro le porte chiuse (2022), ed è in corso di traduzione Couchsurfing in China.

Come nasce la sua passione per i viaggi? La sua storia famigliare ha contribuito in qualche modo?
“I miei genitori hanno viaggiato molto in Europa, ma in un modo diverso rispetto al mio. Sono sempre stati interessati al patrimonio culturale, visitavano siti archeologici e cattedrali e, come si può immaginare, da adolescente non ero particolarmente entusiasta di accompagnarli: c’è addirittura una mia foto a Pompei in cui li aspetto leggendo un romanzo fantasy, visibilmente annoiato. Crescendo, ovviamente, ho iniziato a interessarmi anch’io alla cultura dei paesi in cui viaggiavamo, e viaggiare è diventato naturale. Ma la mia idea di viaggio è diversa”.

Ce la sintetizzi.
“Trovo più interessante conoscere le persone del luogo e capire attraverso di loro la società in cui vivono, senza partire con troppi piani e tappe prefissate, vedendo cosa succede via via”.

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Spesso, infatti, modifica il suo programma in base a quello che le propongono i suoi host o le persone che incontra.
“È importante avere in mente un itinerario al momento della partenza, ma anche saperlo cambiare se viene fuori qualcosa di più interessante o, perché no, anche di più pazzo… da fare. Ovviamente di solito le persone del luogo danno i consigli migliori, quindi cerco di assecondarli”.

E come sceglie i Paesi in per queste “indagini sociali in couchsurfing”?
“Quando si tratta di scrivere un libro cerco sempre Paesi che non siano perfettamente conosciuti al pubblico occidentale, magari con sistemi politici diversi da quelli democratici a cui siamo abituati. Non cerco le attrazioni turistiche, ma mi interessa parlare del funzionamento politico di un Paese e mi incuriosisce come si svolge la quotidianità in società differenti dalla mia. Insomma, cerco di tratteggiare un ritratto realistico, facendo in modo di entrare in contatto con persone molto diverse l’una dall’altra, passando del tempo con loro e raccontando le loro storie”.

Verso la fine del libro scrive: “Ognuno di noi, chi più chi meno, ha dei pregiudizi sugli altri Paesi, perché le informazioni che riceviamo in aggiunta alle nostre nozioni di base di solito descrivono situazioni eccezionali, non la quotidianità”. Aveva in mente degli stereotipi sulla Russia e sui russi che questo viaggio ha modificato o cancellato?
“Uno stereotipo molto banale: ero convinto che mi sarei trovato quasi ogni giorno in situazioni in cui sarebbe stato richiesto di bere – e molto -, invece non è stato così. Ogni tanto è successo, ma non è stata una cosa automatica o così scontata come invece mi sarei aspettato”.

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C’è qualche ricordo di questo periodo in Russia che la fa sorridere, ripensandoci?
“Purtroppo, devo dire che ad oggi, a causa dell’invasione dell’Ucraina e di quanto ha comportato, i ricordi di questo viaggio in Russia non riescono a farmi sorridere. Ma ovviamente ci sono state alcune esperienze indimenticabili. Una si è verificata proprio all’inizio del viaggio, quando sono stato ospitato a Mosca da un host, Genrich, che aveva un profilo di couchsurfing scritto con un linguaggio estremamente burocratico, pieno di regole e condizioni necessarie per poter essere considerati dei buoni ospiti… Nel suo profilo, Genrich si poneva in modo estremamente rigido e poco amichevole, ma ho comunque deciso di scrivergli, mi aveva incuriosito. Lui ha accettato di ospitarmi”.

E com’è andata?
“Quando l’ho conosciuto, si è rivelata una delle persone più amichevoli che potessi immaginare. Mi ha spiegato che aveva scelto di impostare in quel modo il suo profilo proprio per filtrare le richieste: non vuole ospitare chiunque, ma solo persone che ritiene meritevoli, e riuscire ad arrivare in fondo a tutte le sue istruzioni e mandargli un messaggio carino per chiedergli ospitalità è un buon inizio. E poi mi è stato di grande aiuto, mi ha mostrato molte cose e mi ha anche preparato una colazione con il miglior porridge che abbia mai mangiato. Con Gendrich alla fine siamo diventati amici, e questa è stata per me una grande lezione sulla differenza tra aspettative e realtà”.

Stephan Orth keller

Qual è stato l’elemento più interessante del viaggio in Russia?
“Ce ne sono stati molti, ma se dovessi scegliere una cosa in particolare, ho trovato molto interessante osservare la diversa mentalità e percezione del mondo di ciascuna persona. Questo viaggio risale al 2016, quindi nel libro forse mostro una Russia un po’ diversa da quella odierna, ma anche allora ho constatato come la percezione dell’Europa da parte degli individui che incontravo fosse molto diversa dalla mia”.

Ci faccia un esempio.
“Per esempio, molti sostenevano che la crisi dei rifugiati stesse distruggendo l’Europa, o che stessimo perdendo i nostri valori tradizionali. Durante questo viaggio ho notato come il sistema di propaganda in Russia sia effettivamente pervasivo e come i media veicolino una narrazione molto diversa della realtà. All’epoca per certi versi lo avevo trovato quasi divertente, ma oggi mi rendo conto quanto possa essere pericoloso”.

Nel libro fa infatti riferimento diverse volte alle fake news.
“Quello dei media, in Russia, è un sistema molto complesso, patriottico, che si focalizza sugli aspetti positivi del Paese e su quelli negativi del mondo occidentale. Il messaggio che viene veicolato oggi è che la Russia sia sotto una costante minaccia dell’Occidente, e questa narrazione ha un impatto forte sulla popolazione, tanto da creare un forte supporto per Putin. Dalle statistiche risulta che negli anni Novanta la maggior parte dei russi si ritenesse europea, mentre oggi questa percezione è cambiata”.

Nella pratica, come lavora ai suoi libri?
“Durante il corso del viaggio prendo un sacco di annotazioni e scatto molte foto, ogni ora, ogni giorno, in modo da ricordarmi più cose possibili. Poi, quando sono di nuovo a casa, subito dopo il viaggio, mi metto a scrivere. Cerco di farlo il prima possibile, cosicché lo stacco tra esperienza e scrittura non sia troppo ampio e i ricordi siano ancora tutti al loro posto. Per me è sempre bello selezionare gli episodi più interessanti, scartare quelli che lo sono meno e vedere come il racconto assume la forma di libro”.

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Tra i paesi che ha visitato per scrivere i suoi libri, quali ha trovato più interessanti?
“È difficile scegliere, perché ciascun viaggio è stato interessante di per sé. In Iran ho visto le differenze tra la dittatura politica di stampo religioso e la quotidianità privata in cui le persone riuscivano a ritagliarsi i loro spazi di libertà lontano da occhi indiscreti”.

E in Cina?
“In Cina la tematica principale si è rivelata quella dell’impiego delle tecnologie di ultima generazione. In Russia, invece, convivono molte visioni diverse della realtà: è un Paese estremamente multiculturale, in cui coesistono musulmani, buddisti, cristiani ed ebrei”.

Ha viaggiato anche in Arabia Saudita.
“Sì, sono stato uno dei primi a poter usufruire di un visto turistico per visitare il Paese. Insomma, ognuno di questi luoghi presenta aspetti molto particolari. Il prossimo luogo di cui scriverò è l’Ucraina: ci sono stato dopo l’inizio della guerra, quindi si tratta di un progetto un po’ diverso dai precedenti, ma in cui comunque ho utilizzato il couchsurfing per mostrare come si svolge la vita delle persone in una condizione come quella attuale”.

Ed è riuscito a trovare ospitalità nonostante la guerra in corso?
“Non è stato semplice trovare host, ma alla fine ho incontrato persone disposte a ospitarmi, e credo che per alcuni di loro farlo abbia rappresentato anche una distrazione dalla realtà della guerra, un modo per parlare di viaggi in un momento in cui alle persone non è possibile viaggiare. E ho trovato anche molta voglia di raccontarmi la situazione attuale in Ucraina”.

Quello che scrive ha sempre risvolti anche politici: come le sembra vengano accolti i suoi libri?
“La quotidianità è sempre, in qualche modo, anche politica, ed è questo che rende i miei libri politici. Anche perché riporto dialoghi e riflessioni sulla società o sui governi. Mi rende però sempre felice sapere che ho anche lettori che non sono assidui lettori di giornali”.

Perché?
“Spero di dare un’immagine realistica dei luoghi che visito, e di mostrare come si svolga effettivamente la vita quotidiana. Poi, certo, ricevo feedback diversi, e alle presentazioni si creano sempre dei momenti di discussione, che spesso vertono sulla situazione politica, ed è interessante ascoltare i diversi punti di vista”.

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In Russia ha chiesto a Nadja, la ragazza che l’ha accompagnato tra le montagne dell’Altaj, cosa le piacesse del suo Paese, e lei le ha risposto: “La vastità, la grandezza e la natura”. A lei, invece, cosa è piaciuto di questa terra?
“La spontaneità delle persone, la loro capacità di vivere nel momento senza pensare troppo al futuro. Questo è sicuramente un aspetto che è rimasto con me da quel viaggio. Ma devo purtroppo aggiungere che l’esperienza che ho fatto recentemente in Ucraina, l’aver visto i danni fisici e psicologici che ha comportato l’attacco della Russia a un’intera popolazione, ha rovinato molti dei ricordi positivi che avevo. Credo che ci vorrà molto tempo prima che riesca a capire di nuovo la Russia”.

Fotografia header: Stephan Orth (Credits Stephan Orth)

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