“Per scegliere i libri da fare è indispensabile il rapporto con l’altro, con chi viaggia in altre lingue e discipline o nella storia della letteratura italiana del passato, in cui varie autrici mi sono state spesso inaccessibili perché non disponibili o insegnate male… e poi devo molto a diverse donne che stanno ancora in un margine vivo dell’esperienza e che in questi mesi hanno avuto voglia di condividere quello che hanno appreso nel loro apprendistato letterario e femminista”. Claudia Durastanti ha accettato la sfida di curare il nuovo corso della Tartaruga, la casa editrice fondata nel 1975 da Laura Lepetit. La scrittrice ne parla in un’intervista a ilLibraio.it, in cui si sofferma sulle prime uscite (“La bellezza del marito – Un saggio romanzato in 29 tanghi” di Anne Carson e “La cagna” di Pilar Quintana) e sul progetto editoriale (“l’idea è pubblicare quattro o cinque titoli l’anno, dando ampio spazio a più forme: un testo di fiction (romanzi o racconti), uno di non fiction, un ibrido o anomalo, un ripescaggio e sempre una raccolta di poesie”). Non mancano le riflessioni sull’editoria di oggi (“Non amo la musealizzazione del passato, ma neanche il fanatismo del nuovo”), sul dibattito in corso nell’universo femminista, sulle autrici che vorrebbe pubblicare e su quello che rappresenta per lei il marchio che l’è stato affidato: “Se c’è qualcosa che vorrei preservare dell’esperienza di Lepetit è la genialità di essere arrivata nelle case di donne come mia madre, dove ho visto i miei primi libri della Tartaruga da bambina”. Infine, parla dei temi del libro a cui sta lavorando, “lentamente”, perché “ormai la tartaruga è il mio spirito guida in tutto…”

“Da diversi mesi ragionavano con Mario Andreose e Eugenio Lio sulla necessità di restituire un’identità autonoma alla Tartaruga, di vera e propria casa editrice, che facesse tesoro della sua storia ma che fosse in grado di parlare a nuovi lettori e, nello stesso tempo fosse distinta, nella sua proposta editoriale, da La nave di Teseo, pur dialogando con essa. La figura più adatta per questa impresa, per formazione, per sguardo internazionale, per storia personale, per passione e impegno, ci è parsa Claudia Durastanti”. Così, ad agosto 2021, Elisabetta Sgarbi, Direttore Generale de La nave di Teseo, aveva motivato la scelta di affidare alla scrittrice e traduttrice, nata a Brooklyn nel 1984, il nuovo corso dello storico marchio fondato da Laura Lepetit nel 1975.

Circa 10 mesi dopo arrivano in libreria le prime due uscite: La bellezza del marito – Un saggio romanzato in 29 tanghi di Anne Carson (traduzione di Chiara Spaziani) e La cagna di Pilar Quintana (traduzione di Pino Cacucci), finalista National Book Award e vincitore del Premio Biblioteca de narrativa colombiana.

Abbiamo parlato del nuovo corso della Tartaruga con la scrittrice e curatrice Claudia Durastanti, che dopo aver esordito nel 2010 con Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra (con cui ha vinto il Premio Mondello Giovani), ha pubblicato A Chloe, per le ragioni sbagliate (2013), Cleopatra va in prigione (2016) e La straniera (2019, finalista al Premio Strega 2020 e in corso di traduzione in oltre 24 paesi).

Ha dichiarato che non le piace “l’idea di rinascita – niente è morto – né quella di rilancio: mi sa di parola che sottintende un difetto antecedente, come se qualcosa fosse andato storto; è in fondo un concetto del marketing. Mi interrogo invece sul senso di reinvenzione nel tempo: Lepetit ha inventato qualcosa che prima non c’era, si tratta di tradurre la sua intuizione nel presente”. Con che spirito sta affrontando questo ruolo, nuovo per lei, di curatrice della Tartaruga?
“Mettendomi nella posizione di chi ascolta. Una curatela è un incarico un po’ diverso rispetto a quelli che ho attraversato nell’ambito editoriale. Ho scoperto che ciò che si chiede a una curatrice, e cioè di ‘avere intuizione’, nel caso della Tartaruga può nascere solo dalla conversazione con lettrici, accademiche, scrittrici, militanti, libraie, scout e chiunque stia nell’alveare dei libri. È come se avessi cambiato idea su cosa sia questa intuizione: non una facoltà magica che si sviluppa in solitudine anche se questo serve a fortificare delle abitudini di lettura, non una capacità mistica, ma il prodotto di una conversazione distillata. Per scegliere i libri da fare è indispensabile il rapporto con l’altro, con chi viaggia in altre lingue e discipline o nella storia della letteratura italiana del passato, in cui varie autrici mi sono state spesso inaccessibili perché non disponibili o insegnate male (ammesso che siano state insegnate affatto). Devo molto a diverse donne che stanno ancora in un margine vivo dell’esperienza e che in questi mesi hanno avuto voglia di condividere quello che hanno appreso nel loro apprendistato letterario e femminista; le uscite della Tartaruga saranno un riflesso spontaneo di queste conversazioni. Da quando Elisabetta Sgarbi mi ha affidato questa curatela, un compito che ho accolto con smarrimento positivo e una serie infinita di domande per imparare, non ho fatto altro che parlare. E rispondere lentamente alle lettere di chi chiede ascolto, questo mio malgrado lo ammetto: ci vuole tempo e pazienza per leggere e capire, sto andando senza fretta, tenendo a bada una congenita irruenza. Ma tutto il mercato editoriale attuale è irruente, affrettato; forse curare la Tartaruga significa anche contribuire a una piccola inversione di tendenza”.

Laura Lepetit, venuta a mancare il 6 agosto 2021 a 89 anni, ha fondato La Tartaruga ed è stata un’importante intellettuale femminista. In che modo cercherà da un lato di raccogliere la sua eredità, e dall’altro di differenziare la proposta editoriale rispetto alla Nave di Teseo (“pur dialogando con essa”), come le ha chiesto l’editore?
“Ripercorrendo la storia di Laura Lepetit attraverso la sua bellissima Autobiografia di una femminista distratta, e sentendola riflessa nelle voci delle donne che hanno avuto un rapporto di amicizia e intimità con lei (un’intimità non sempre pacificata; se si rileggono le pagine che Lepetit dedica al suo rapporto con Carla Lonzi si capisce che è importante preservare anche l’aspetto del conflitto tra pari, senza che l’esperienza del femminismo diventi da un lato una sorellanza acritica e passiva e dall’altro una guerra tra bande) ho provato spesso meraviglia: per l’intuizione di Lepetit, resa possibile anche dalla comunità che aveva attorno, di trovare uno spazio che non c’era e anche per la sua capacità di rileggere lo scontato, presentandolo in una nuova veste”.

Ad esempio?
“Se pensiamo che Virginia Woolf in Italia era considerata una grande autrice modernista, molto letteraria e meno politica, pubblicare Le tre ghinee con La Tartaruga nella traduzione di Adriana Bottini fu davvero una rivolta. Era un gesto che non solo creava uno spazio, ma lo riempiva di contenuti specifici e radicali. So che Laura Lepetit incoraggiava molto a scrivere, anche quando chi scriveva non sapeva bene dove stesse andando a parare. Questo presuppone sia una sensibilità istintiva, un po’ visionaria, ma anche un’attenzione molto alta, uno sforzo analitico preciso, un po’ condottiero. Sono caratteristiche personali, irripetibili, ma se c’è qualcosa che vorrei preservare della sua esperienza è la genialità di essere arrivata nelle case di donne come mia madre, dove ho visto i miei primi libri della Tartaruga da bambina: non vengo da una discendenza femminista scolarizzata, collettiva e militante, ma da qualcuno che ha scoperto certi testi di controcultura e di emancipazione in maniera solitaria, un po’ casuale, forse distratta. Lepetit pubblicava libri importanti, ma anche in qualche modo spontanei, non predicativi, aperti, belli; sarebbe importante preservare questa intensità. Sui cambiamenti, c’è da dire che oggi La Tartaruga non è una casa editrice che fa l’avanguardia e la fa da sola”.

In che senso?
“Come i Velvet Underground, che magari hanno venduto tre copie ma fatto nascere migliaia di band, Lepetit ha ispirato tantissime iniziative editoriali affini alla sua, i risultati sono ovunque; basta vedere i cataloghi delle case editrici, e dunque il suo è un insegnamento sempre più diffuso. Questo non genera un senso di malinconia e di esclusività in me, ma di gratitudine: La Tartaruga attuale è in buona compagnia (anche se il cinismo editoriale nel ripescare donne in quanto donne morte per assecondare mode istantanee dilaga, e bisogna creare un argine); questo garantisce anche maggiore tranquillità e libertà di manovra in un certo senso. Un aspetto interessante è vedere come La Tartaruga interagisce con La Nave di Teseo, che negli ultimi anni ha fatto un lavoro molto bello nel pubblicare voci di donne che scrivono di dissenso, critica postcoloniale o anti-nazionale (cito Adania Shibli, Maryse Condé e Dasa Drndic), e ha una narrativa straniera che non vive un rapporto di totale sudditanza rispetto alla letteratura angloamericana, anzi: questo è un aspetto esplorativo in cui mi riconosco e a cui mi allineerei istintivamente, inglobando sempre più lingue. C’è poi un’implicita tendenza interdisciplinare nel catalogo della Nave a cui si allinea La Tartaruga: come Elisabetta Sgarbi, ho una certa passione per le voci che si declinano in vari ambiti, dalla parola scritta al linguaggio visivo o quello musicale. Mi piace l’idea di presentare autrici in un’altra veste, con una mutazione di genere e forma espressiva. Infine, sul rapporto con La Tartaruga di Lepetit: ricostruendo il catalogo delle sue pubblicazioni (operazione non facilissima!) mi rendo conto che non ha senso mettersi in una posizione di rilancio, di cosa viene dopo, e neanche di rottura; bisogna affrancarsi un po’ dal pensiero genealogico. Non amo la musealizzazione del passato, ma neanche il fanatismo del nuovo. Le cose si possono stare accanto. Questa Tartaruga attuale possiamo anche metterla di lato. È una posizione felice in cui stare”.

Per le prime due uscite ha scelto un testo-pastiche in cui l’autrice canadese Anne Carson mescola amore, tango, seduzione e tradimento, e La cagna della premiata autrice colombiana Pilar Quintana, un romanzo in cui viene esplorato il disperato desiderio di una donna di essere madre. In che modo questi due libri sono rappresentativi della linea editoriale de La Tarturaga?
“Se vogliamo restare nell’ambito della mancanza, di chi sa inventare qualcosa che prima non c’era, e individuare una voce capace di creare un paesaggio interiore e fisico inedito, allora La cagna di Pilar Quintana è forse uno dei libri ‘più Tartaruga’ in assoluto: nel raccontare la storia di una voglia mancata, di desideri frustrati in un contesto selvatico e deprivato attraverso la figura di Damaris che reagisce alla violenza diventandone un canale a sua volta, Quintana si insinua nel rapporto essere umano e natura, donna e animale, con una ferocia indimenticabile, ha una lingua che opera davvero come un machete in una selva. È un libro che ho letto tempo fa e non ho mai dimenticato, e sono davvero felice che possa avere questa collocazione; è una scrittrice che crea uno squarcio, un duro assalto ai sensi. Anche La bellezza del marito di Ann Carson è un libro che non ho mai potuto dimenticare e abbiamo approfittato del fatto che fosse ancora inedito in lingua italiana, affidandolo a Chiara Spaziani che ha fatto un lavoro di sentimento. È un testo che si è imposto in maniera rampicante nella mia memoria: mi piaceva l’idea di inaugurare questa serie con un libro che, pur parlando di rapporti di coppia e dei cascami di un’educazione patriarcale nel concepire il proprio ruolo di marito, fosse capace di stare in una tentacolare contraddizione, recuperando una dimensione pienamente erotica del desiderio femminile, in tutti i suoi apici e i suoi abissi, senza avere paura. In questo si somigliano, e aprono la strada a testi altrettanto reattivi. Senza dimenticare il flusso con le pubblicazioni Tartaruga che ci sono appena state: Le signore della scrittura di Sandra Petrignani; Cortile a Cleopatra di Fausta Cialente”.

Anne Carson la bellezza del marito

Quali saranno le prossime uscite? A proposito, quante uscite all’anno sono previste?
“L’idea è pubblicare quattro o cinque titoli l’anno, dando ampio spazio a più forme: un testo di fiction (romanzi o racconti), uno di non fiction, un ibrido o anomalo, un ripescaggio e sempre una raccolta di poesie. È una questione sia di equilibrio sia di orientamento: la prossima uscita sarà il memoir della cineasta Chantal Akerman Mia madre ride, sempre per riprendere il discorso sulla possibilità di mostrare il lavoro di un’autrice nei suoi aspetti meno battuti o percorsi. Non penso sia un caso che valutando i primi titoli da prendere, abbia scelto anche il primo testo in prosa di una poeta afroamericana (leggendolo ho pensato al lavoro in prosa di Ocean Vuong) o appunto il memoir di Akerman, che conosciamo soprattutto per il lavoro documentaristico. Ci sarà poi il ripescaggio di un’autrice italiana che non conoscevo affatto, che mi è stata proposta da due curatrici, e dalle prime righe ho capito che l’avrei pubblicata a prescindere dal suo posizionamento nello spazio e nel tempo; è tutta voce, a prescindere dalla filologia. Ho appena finito di leggere due esordi molto interessanti, che anche se non dovessero finire in questo catalogo troveranno sicuramente una casa (una di loro viene da Abbiamo le prove, quell’esperimento avviato da Violetta Bellocchio anni fa, sembrano passati millenni, ma è stata un’esperienza importante) e continuo a esplorare i romanzi di autrici italiane al quarto, quinto romanzo o che sono in una fase di quiete e non pubblicano da tanto: c’è vita tra l’esordio e la morte. Spero di poter dedicare loro la giusta attenzione”.

La Tartaruga propone testi di narrativa e saggistica esclusivamente scritti da donne: quali autrici, di ieri e di oggi, le piacerebbe pubblicare?
“La casa editrice mi ha aiutata ad acquisire testi che hanno generato in me una ‘reattività romantica’, per dirla à la Fitzgerald, libri desiderati e pensati. Se devo indicare altre voci edite in italiano e non, direi Audre Lorde, Izumi Suzuki, Eve Babitz, Yuko Tsushima, Adrienne Rich, Viv Albertine, Etel Adnan; sono felice di tradurre Elizabeth Hardwick per Blackie, è una Tartaruga perfetta, ma questo rientra nel discorso di prima: la Tartaruga oggi è diffusa, disseminata. Sta per uscire Un fantasma in gola di Ghríofa Doireann Ní, per il Saggiatore, come Hardwick è un’autrice inclassificabile ed è una ‘Tartaruga dentro’. Per me questo non è un limite, sono libri e autrici che si parlano a vicenda, ampliano le biblioteche, si fanno compagnia. Idealmente vorrei pubblicare libri che spingono a comprarne altri, creando ragnatele. C’è poi Grazia Livi, già nel catalogo della Tartaruga storica, indicatami da Daniela Brogi la prima volta, che mi ha fulminata per il suo essere fuori genere, ha scritto personal essays molto eleganti e liberi. Maria Nadotti mi ha fatto scoprire Hospicing Modernity di Vanessa Machado de Oliveira, un saggio trasformativo sulle questioni ecologiche, cognitive ed etiche del presente che veramente cambia chi legge. Questo mi porta a pensare che per esempio Anna Tsing e Karen Barad potrebbero star benissimo nella Tartaruga che immagino. Bisogna esondare da certe tematiche più sicure e falsamente riconoscibili quando pensiamo alla scrittura femminista, ecco”.

pilar quintana la cagna la tartaruga

Come procede il lavoro sul nuovo libro? E a quali altri progetti sta lavorando, dopo gli apprezzamenti, anche all’estero, per La Straniera?
“Lentamente, ormai la tartaruga è il mio spirito guida in tutto! Sto lavorando su una parte rimossa, che era già affiorata nella Straniera, sulle mutazioni della tecnologia e della magia in Basilicata nel corso di un paio di secoli. Quando ero ragazzina e studiavo la questione meridionale, mi chiedevo se ci sarebbe mai stato quel mutamento dentro di me, su un piano intimo e privato, una svolta meridionale di pensiero. Ho sempre vissuto a est nelle città, forse non è un caso che io abbia iniziato a vivere a sud da adulta. E parla di petrolio”.

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