“Lungo” è un aggettivo o una preposizione? “Inoltre” è un avverbio o una congiunzione? In base al contesto, non sempre risulta facile capire a che parte del discorso appartengono tutte le parole della lingua italiana – Ecco un metodo per svolgere un’analisi grammaticale ragionata e senza errori, a prescindere dalla difficoltà della frase

Se vi è già capitato di trovarvi davanti a una parola italiana che, anche se conoscevate, non avete saputo collocare al volo nella sua categoria di appartenenza, non allarmatevi: che si abbia o meno dimestichezza con le regole dell’analisi grammaticale, infatti, può succedere anche ai migliori di esitare tra un aggettivo o un pronome, oppure tra una preposizione e un avverbio, o ancora tra un avverbio e una congiunzione.

L’importante, specialmente nei momenti in cui si è meno concentrati o più frettolosi, è trovare un metodo valido per evitare errori, da applicare un passo alla volta ragionando con lucidità nei contesti più ambigui della nostra lingua. Ecco quindi un vademecum per svolgere una corretta analisi grammaticale, a prescindere dalla difficoltà della frase in questione.

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Passo 1: isolare gli articoli

È questa, probabilmente, la parte del discorso più semplice da cui partire. Basta infatti trovare le occorrenze di il, lo, la, i, gli, le, un, uno, un’ e una, e assicurarsi che siano seguite da un nome, per avere già isolato alcuni elementi importanti della frase, distinguendoli poi in determinativi e indeterminativi, singolari e plurali, e maschili e femminili.

Passo 2: cercare le interiezioni

Dopo gli articoli, un metodo efficace per andare avanti consiste nel cercare tutte le interiezioni, ovvero quelle parole o quei gruppi di parole che manifestano una espressione emotiva – come per esempio Ah!, Giusto!, Che diamine! o Peccato! – e che non a caso sono spesso seguite da un punto esclamativo.

Passo 3: individuare sostantivi e aggettivi

A questo punto, diamo nuovamente un’occhiata agli articoli che abbiamo evidenziato e vediamo a quali sostantivi si riferiscono: può trattarsi di nomi propri (Venezia) o comuni (città), astratti (felicità) o concreti (scarpa), individuali (pecora) o collettivi (gregge), variabili (programma) o invariabili (serie), primitivi (uomo) o derivati (superuomo), o ancora difettivi (nozze), alterati (quadretto) o composti (pescecane), ma hanno tutti in comune la caratteristica di indicare un elemento di senso compiuto (un’idea, un sentimento, un’azione, un oggetto, un animale, una persona, e così via).

Accanto a loro, è consuetudine trovare ulteriori termini atti a indicarne una caratteristica puntuale: sono gli aggettivi, che sono quindi obbligatoriamente legati al nome a cui si riferiscono e che a loro volta si suddividono in qualificativi (bello), dimostrativi (questo), possessivi (mio), numerali (quattro), indefiniti (tanti, alcuni, nessuno), interrogativi (quali, quanti, che, inseriti in una domanda) ed esclamativi (quali, quanti, che, inseriti in un’esclamazione). Tanto gli aggettivi quanto i sostantivi, oltre a essere distinti nelle già citate categorie, possono essere inoltre di genere maschile o femminile e di numero singolare o plurale.

Passo 4: trovare i pronomi

Una volta scovati gli aggettivi, sarà semplicissimo trovare anche i pronomi contenuti nella nostra frase: la loro categorizzazione (proprio come il loro genere e numero) è infatti uguale a quella degli aggettivi (bello, questo, mio, quattro, tanti, etc.), con la differenza che i pronomi non accompagnano un nome, e si trovano pertanto isolati rispetto ai sostantivi. Per capirci: se scriviamo Ho comprato questo romanzo e non quello, dobbiamo considerare questo un aggettivo che si riferisce al nome libro, mentre quello è un pronome perché non ha accanto a sé nessun sostantivo.

L’unica informazione da non trascurare è che, rispetto agli aggettivi, esistono due categorie di pronomi in più: quelli relativi, il cui scopo è riferirsi a un nome già citato tramite le forme il quale, la quale, i quali, le quali, cui e che, talvolta precedute da una preposizione semplice; e quelli personali, suddivisi in pronomi personali soggetto (io, tu, lui/lei/egli/ella/esso/essa, noi, voi, loro/essi/esse) e in pronomi personali complemento (me/mi, te/ti, gli/lo, le/la, sé/si, ce/ci, ve/vi, loro/li/le, ne), dei quali oltre al genere e al numero va indicata la persona (prima, seconda o terza). Questi ultimi, peraltro, assomigliano in alcune forme agli articoli determinativi; per non entrare in confusione basta però ricordarsi che gli articoli, per essere tali, devono essere seguiti da un nome (es. Lo zaino), mentre i pronomi personali sono sempre seguiti da un verbo (es. Lo chiamerò domani).

Passo 5: riconoscere i verbi

Veniamo ora ai verbi, che possiamo riconoscere tenendo a mente che sono loro a esprimere l’azione del nostro enunciato, e che sono l’unica parte del discorso riconducibile a un infinito in -are (vd. amare), -ere (vd. credere) o -ire (vd. servire). Nel loro caso, in analisi grammaticale, bisogna dunque indicare che sono voce di uno specifico verbo di 1°, 2° o 3° coniugazione, per poi precisarne il modo (indicativo, congiuntivo, condizionale, etc.), il tempo (presente, imperfetto, futuro, etc.), la persona (prima, seconda o terza), il numero (singolare o plurale), il genere (transitivo o intransitivo) e la forma (attiva, passiva, riflessiva o pronominale).

Passo 6: distinguere avverbi e preposizioni

Ci troviamo ormai quasi al termine della nostra analisi, anche se il momento più delicato deve ancora arrivare. Fra le parti del discorso mancanti concentriamoci per adesso su avverbi e preposizioni, che sono entrambe invariabili.

Gli avverbi possono riferirsi a un verbo, a un aggettivo, a un altro avverbio o a un’intera frase, e la loro finalità è aggiungere una determinazione o una qualità, in modo simile a quanto si verifica fra aggettivi e sostantivi. Più nello specifico, in base alla loro funzione si parla di avverbi di luogo (qui, lontano, dentro, ci/vi), di tempo (ora, ieri, presto, sempre), di maniera (bene, peggio, volentieri), di quantità (più, troppo, niente) o di modalità (, neanche, forse, quasi), mentre in base alla loro formazione si parla di avverbi primitivi (male, oggi, molto), avverbi composti (in-oltre, al-meno, di-fatti) o avverbi derivati (lenta-mente, tent-oni).

Prima di individuarli nella nostra frase, però, passiamo un attimo alle preposizioni. Le più facili da riconoscere sono quelle proprie, perché si suddividono in semplici e articolate: le prime le abbiamo già citate in precedenza, sono solo nove (di, a, da, in, con, su, per, tra o fra) ed è quindi impossibile sbagliarsi; quanto a quelle articolate, si formano tutte dalla fusione delle proposizioni semplici con gli articoli determinativi (il, lo, la, i, gli, le), come possiamo osservare in del, dalla, nella, sugli, con lo, tra i, etc.

Esistono poi le preposizioni improprie, che di base potrebbero sembrare degli aggettivi (lungo), dei verbi (eccetto) o degli avverbi (dentro), e che per questo potrebbero porre dei problemi se non ci si affida a un buon metodo per riconoscerle. Ciò a cui bisogna prestare attenzione è il contesto, dal momento che una preposizione deve sempre essere seguita da un nome o da un pronome (a differenza di un avverbio o di un verbo), ma che essendo invariabile non concorda in genere e numero con il sostantivo/pronome (a differenza di un aggettivo).

Per esempio: nella frase Ho passeggiato a lungo, la locuzione a lungo è un avverbio di tempo perché aggiunge una caratteristica di durata all’azione, e non si riferisce in alcun modo a un sostantivo. Nella frase Ho passeggiato per una lunga via, capiamo invece facilmente che la parola lunga è un aggettivo qualificativo, perché stavolta aggiunge una caratteristica a un nome specifico (cioè via), con cui concorda in genere e numero. Se però consideriamo la frase Ho passeggiato lungo la via, noteremo che il termine lungo accompagna sì un nome (via), e di conseguenza non può essere un avverbio, ma non concorda in genere e numero con il nome stesso (che è femminile singolare), e di conseguenza non può essere neanche un aggettivo. Ne deduciamo allora che è una preposizione impropria.

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Passo 7: verificare le congiunzioni

Dopo aver portato a compimento i passi precedenti, non ci resta che verificare di dovere ancora analizzare solo le congiunzioni. Per esserne sicuri possiamo rammentare che, come dice la parola stessa, una congiunzione collega (o congiunge) due o più elementi con la stessa funzione: un aggettivo a un altro aggettivo, un sostantivo a un secondo sostantivo, oppure un’intera frase alla frase seguente.

Entrando più nel merito, in base alla sua forma, una congiunzione può essere semplice (e, o, ma, dunque, ), può essere composta (perché, benché) o può essere una locuzione congiuntiva (di modo che, visto che). In base alla sua funzione, invece, una congiunzione può essere coordinativa o subordinativa.

Le congiunzioni coordinative si dividono in copulative (e, anche, nemmeno), disgiuntive (o, ovvero, altrimenti), avversative (ma, invece, tuttavia), correlative (sia… sia, né… né), dichiarative (cioè, ossia, vale a dire) e conclusive (quindi, pertanto, allora, ebbene), mentre le congiunzioni subordinative si dividono in dichiarative (che, come), causali (poiché, perché), temporali (quando, mentre, finché), consecutive (così… che, tanto… che), concessive (seppure, benché, sebbene), condizionali (se, qualora, purché) e modali (siccome, come se).

Passo 8: tirare le somme

Se abbiamo seguito le istruzioni senza dimenticare niente, tutte le parti del discorso presenti nella nostra frase dovrebbero essere già state sottoposte a un’accurata analisi grammaticale.

Qualora ci fosse sfuggito qualche elemento, comunque, sarà sufficiente ragionare sulle parole da cui è circondato per collocarlo nella categoria di appartenenza, rileggendo se serve questa guida nell’ordine in cui è stata concepita, così da applicarne i ragionamenti per esclusione, senza inciampare in riflessioni sbrigative o in salti logici di sorta.